Bolsonaro è stato denunciato di fronte al Tribunale Internazionale dell’Aja. Di nuovo. Proprio ieri, nella giornata mondiale delle popolazioni indigene, AllRise (una ONG formata da avvocati europei) ha accusato il Presidente del Brasile di crimini contro l’umanità a causa della deforestazione perpetrata in Amazzonia. La dichiarazione di AllRise si apre col titolo d’impatto Il pianeta contro Bolsonaro, pianeta che diventa parte lesa in quanto le azioni del Presidente sono un attacco sistematico all’Amazzonia, alle sue foreste e ai suoi difensori, che provocano sofferenze in tutto il mondo.
È la terza volta che Jair Bolsonaro fa i conti con la Corte Internazionale di Giustizia: nel 2019 è stato accusato di incitamento al genocidio dei popoli indigeni dalla Commissione ARNS e dal CADHU (Collettivo di difesa dei diritti umani) e nel 2020 una causa simile è stata intentata dall’APIB (Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile). Al momento queste azioni sono ancora in valutazione. Secondo AllRise, però, questa sarà la causa che porrà fine alle azioni del Presidente e che (si spera) potrà creare un precedente contro altri leader globali.
«I crimini contro la natura sono crimini contro l’umanità. Jair Bolsonaro sta fomentando la distruzione di massa dell’Amazzonia con gli occhi ben aperti e con piena consapevolezza delle conseguenze. La CPI ha il chiaro dovere di indagare sui crimini ambientali di tale gravità globale», ha dichiarato Johannes Wesemann, fondatore di AllRise. Il team è composto da avvocati di alto livello, esperti di contenzioso presso l’Aja, e le basi giuridiche sembrano forti.
La dichiarazione si basa su uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Oxford che stima che le emissioni di gas serra in eccesso attribuibili al governo Bolsonaro potrebbero causare migliaia di morti per eccesso di calore in tutto il pianeta. La foresta amazzonica produce il 20% del nostro ossigeno e gli alberi sarebbero normalmente in grado di abbassare i livelli di CO2 presenti nell’atmosfera. Ma la deforestazione sotto il governo Bolsonaro è aumentata del 48%, e solo nel 2020 1085100 ettari sono scomparsi.
È stato stimato che le emissioni di CO2 causate dall’atto stesso del disboscamento sono superiori a quelle annuali di Francia e Italia, e la foresta ridotta all’osso non sarà presto più in grado di assorbirle. La connessione diretta tra queste emissioni e l’innalzamento del riscaldamento globale è la chiave del processo, in grado di configurare un reato contro tutta l’umanità. L’Istituto Nazionale di Ricerche Spaziali brasiliano (INPE) ha registrato un aumento dell’82% degli incendi da gennaio ad agosto 2019 rispetto all’anno precedente. Nei nove Stati che compongono la foresta amazzonica, bruciano più di 39mila roghi. Si sospetta il dolo in quasi tutti i casi.
Il governo Bolsonaro non sta agendo solo contro la foresta e i suoi abitanti, ma contro tutto il pianeta. Eppure, sembra che a lottare siano davvero in pochi. I media mainstream stanno coprendo poco e male la situazione, e non danno voce a chi da anni sta combattendo per tutti: le popolazioni indigene. Comunità che stanno manifestando incessantemente contro il decreto legge 490, una delle strategie principali del governo Bolsonaro per superare l’inviolabilità costituzionale delle terre indigene, far infiltrare gli agricoltori nelle riserve e disboscarle per coltivare soia.
Continue sono le lotte, i canti, le manifestazioni di questi popoli, che purtroppo cadono nel silenzio omertoso e assordante dell’Occidente. Peccato che le comunità indigene non stiano lottando per il loro piccolo giardino dietro casa, ma per il polmone verde del pianeta. Questo tentativo di AllRise è il primo atto davvero incisivo a loro sostegno. Ma dobbiamo sperare che il Tribunale Internazionale dell’Aja sia più veloce del Supremo Tribunale Federale del Brasile, che sta trascinando la decisione sul decreto legge 490 da mesi. Sedute interrotte, procedimenti rinviati, l’attesa sta diventando straziante.
E nel mentre aspettiamo le lungaggini processuali, l’Amazzonia brucia. I leader dei popoli indigeni spariscono misteriosamente. O vengono lasciati senza vaccini nel mezzo di una pandemia. Questa è una lotta contro il tempo e il tempo sta vincendo. Bolsonaro sta vincendo. Il Presidente se la ride, mentendo e prendendosi gioco dell’ONU. Durante la 76esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato di starsi adoperando per la neutralità climatica: «Stiamo già vedendo i risultati di questa importante azione. In Amazzonia, nel mese di agosto, abbiamo avuto una riduzione del 32% della deforestazione, rispetto all’agosto dell’anno precedente».
Dati totalmente falsi: la deforestazione nel mese di agosto 2021 è stata del 7% superiore a quella del 2020 ed è la più alta degli ultimi dieci anni. Anche un bambino può andare su Google a verificare. Ma così Bolsonaro ha dimostrato di non aver alcuna paura degli organismi sovranazionali. Come non ha paura del Supremo Tribunale Federale del Brasile, dato che ne minaccia i membri costantemente, il quale ha reagito con il solito discorso e una decisione che tarda ad arrivare.
Vorrei essere più positiva. Credere che questo processo salverà le sorti dell’Amazzonia. E forse lo farà. Ma non nel breve termine, questo no. E oggi, oggi nessuno, se non i popoli indigeni, sta impedendo che si arrivi quando il danno sarà già fatto. Non l’ONU, non le istituzioni del Brasile, non le Corti. Qualche articolo fa, scrissi che c’era aria di golpe in Brasile. Ma in realtà, Bolsonaro non ha bisogno di nessun golpe. Basta un poco di democrazia di facciata e il genocidio va giù, il genocidio va giù, il genocidio va giù…