Pochi giorni fa ascoltavo un podcast che parla di Israele e in particolare del livello di militarizzazione degli stessi civili israeliani. In un passaggio, si spiegava che chi è giovane e sano è obbligato a far parte dell’esercito e, in particolare, che chi è un soldato deve portare la propria arma con sé anche quando non è in servizio. Mi è tornata subito in mente una disposizione del cosiddetto nuovo pacchetto sicurezza, approvato alla fine dello scorso anno dal Consiglio dei Ministri e che tra quelle che vengono definite “tutele per le forze dell’ordine” introduce la possibilità per queste di portare con sé un’arma – diversa da quella d’ordinanza – anche quando non sono in servizio, senza una licenza apposita. Qualcuno ha parlato a tal proposito di Far West e, forse, non ci è andato così lontano.
Si tratta di tre disegni legislativi che il Governo ha proposto – utilizzando come strumento ordinario il decreto legge, in barba al principio costituzionale di separazione dei poteri – facendoli quasi passare inosservati e senza che questi creassero alcuna notizia, sopiti come siamo di fronte a simili iniziative.
Innanzitutto si introducono nuove fattispecie di reato: non solo si insegue ancora l’idea che un Paese che reprime sia più sicuro, cercando di razionalizzare la società attraverso il solo strumento penale – e abbiamo più volte spiegato, senza adeguati interventi sociali e educativi – ma soprattutto si trasfigurano gli stessi principi del diritto penale e costituzionale.
Si sceglie una categoria di persone da punire e si costruisce intorno a queste una fattispecie di reato: basti pensare all’introduzione del reato di blocco stradale, finora considerato un illecito amministrativo, se il fatto è commesso da un gruppo di persone o organizzato preventivamente o, in generale, se la fattispecie viene considerata “particolarmente offensiva o allarmante”. È chiaro che si vogliono prendere di mira gli attivisti ambientali come già era stato fatto qualche mese fa con la proposta della Lega di introdurre il reato di danneggiamento di beni culturali e artistici e l’inserimento dei reati di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici tra quelli che prevedono l’arresto facoltativo in flagranza.
Ma non sono di certo la sola categoria presa di mira: pensiamo all’estensione del termine – da tre a dieci anni – per revocare la cittadinanza agli stranieri condannati per specifici reati. Non si tratta che di un ulteriore modo per tenere sotto ricatto le persone non italiane che scontano il solo fatto di essere tali, in barba a qualsiasi principio di certezza del diritto.
La novità che vince il premio di più terribile è, però, quella che riguarda le norme relative alle donne incinte o con prole fino a un anno di età: per queste il Codice Penale prevedeva il rinvio obbligatorio della pena, a differenza che per le madri con prole fino a tre anni per cui il rinvio era solo facoltativo. La proposta governativa intende, invece, allineare le due discipline, rendendo il differimento facoltativo in entrambi i casi, consentendo di valutare se da questo derivi un “grave pericolo”: l’intenzione praticamente manifesta è colpire le cosiddette borseggiatrici perlopiù di etnia rom – che sono anche diventate oggetto di una campagna mediatica della consigliera leghista del Municipio di Venezia, la quale al grido di “Attenzione pickpocket” incita all’odio abusando della sua posizione istituzionale e verso cui il partito di Matteo Salvini aveva annunciato provvedimenti da lungo tempo.
Insieme a una serie di disposizioni che tutelano il personale delle forze dell’ordine ampliando la loro possibilità di utilizzare le armi e le maniere forti, si introduce poi il delitto di rivolta in istituto penitenziario, estendendolo anche ai centri per il rimpatrio e alle strutture per richiedenti asilo, completando di fatto l’omologazione di questi luoghi al carcere, a conferma che quella che viene posta in essere è una detenzione del tutto arbitraria.
Gli anni appena trascorsi avrebbero dovuto insegnarci qualcosa sugli istituti di pena, a partire dalla loro condizione di invivibilità: basti pensare che il 2023 si è concluso in una maniera tragica in termini di suicidi e sovraffollamento e che nei pochissimi giorni del 2024 si sono già registrati quattordici suicidi. Anziché riflettere sul sistema fallimentare che il carcere rappresenta, si incentiva il suo utilizzo e anzi si finisce per giustificare i terribili atti di violenza che gli anni della pandemia ci hanno messo sotto gli occhi.
Il solo strumento conosciuto per intervenire nella società è quello penale, soprattutto nei confronti di persone già marginalizzate in soccorso delle quali sarebbe necessario intervenire con una presa in carico strutturata e di lungo periodo, puntando alla loro autonomia e libertà. E invece si cavalca la paura e si prova a convincere le persone comuni che i nemici siano altri poveri e i più poveri ancora.
I disegni di legge dovranno essere approvati in Parlamento nelle prossime settimane, ma anche la sola ipotesi – non remota considerata la maggioranza di cui i promotori godono – è agghiacciante e va nella solita direzione della repressione, in particolare nei confronti di chi prova a ribellarsi alle autorità: questo non dovrebbe ricordarci tempi oramai passati ma che sembrano presi ad esempio dai nostri rappresentanti politici?