Il mondo non si può fermare. La cosa più tragica è questo ricatto. Non possiamo scegliere tra la salute e il mercato, nessun paracadute, nessuna soluzione, se non una tragedia o un’altra.
Ci hanno spinto a indebitarci per decine di anni per ottenere un bene primario come una casa, o una piccola attività, con la rosea previsione che tutto sarebbe filato liscio, tutto sarebbe rimasto invariato. Ora è chiaro che questo si è rivelato il più grande inganno della storia dell’umanità. E, un po’, siamo stati ingannati perché ci faceva comodo quel limbo di presunto benessere che difendevamo egoisticamente a denti stretti.
Il treno ad alta velocità nel quale ognuno con la propria carrozza agghindata a festa faceva finta di niente alla fine si è scontrato contro il naturale muro dell’insostenibilità. Adesso ce la prendiamo con il muro, cerchiamo il cattivissimo colpevole che ha piazzato lì quel cemento armato che ha interrotto i nostri sogni di crescita smisurata, e mi dispiace moltissimo per coloro che hanno visto andare in frantumi il desiderio di essere novelli sultani del XXI secolo, avidi di tutto ciò che è superfluo e con una coscienza garantita dalla collettività infettata dallo stesso virus, quello che ti fa accettare l’idea che esista qualcuno che ha più privilegi e diritti di te perché con il duro lavoro se li è meritati, ha dato la vita per la sua azienda, merita un aumento.
Sì, merita… Come se nascere fosse una concessione speciale dell’amministratore delegato e vivere una dimostrazione di fedeltà nei confronti dello stesso, come se provare a mettere in dubbio la mancanza di logica e di senso di un’esistenza indirizzata verso il non rendersi conto di essere al mondo fosse una mancanza di rispetto a danno di chi invece accetta questa descrizione godendo della felicità fittizia che può regalare dare da mangiare ai propri vizi, a capo chino, contentissimo di essere nato nella parte giusta del mondo, e non dove si muore di fame, perché la parte giusta del mondo ha il diritto divino di godere del suo beneficio acquisito per nascita, di essere spensierata e ingorda mentre tutto intorno decade.
Ci hanno infettato con il virus della presunzione, quella che ci faceva credere che se avessi lavorato duro avresti conquistato un premio, come i cani da tartufo o degli animali da traino. Nessuno più sognava l’equità, la distribuzione equa della ricchezza, ma un premio da chi aveva la possibilità (la stessa che avevano i re con i loro sudditi) di sollevarti dal fango della normalità per regalarti una macchina più grande, una casa sfarzosa, un bel gioiello, per dimostrare che ce l’avevi fatta. Applausi e complimenti. Finalmente, avevi capito come sfruttare questo sistema a tuo vantaggio e chi non ce la faceva per indole o per colpa del luogo in cui è nato era un povero sfortunato.
Mai avrei pensato che il controsenso vivere per lavorare\lavorare per vivere arrivasse a questo punto critico, in cui l’irrazionale paura di perdere tutto materialmente supera di gran lunga la paura di morire o di far morire qualcun altro attraverso un contagio ancora pienamente in corso. Ancora più evidente è la psicosi collettiva di non riuscire a immaginare una descrizione della realtà diversa da quella imperante, ossia quella che spinge ai margini i sognatori e i diversamente pensanti quando non accettano il prestabilito, facendoli sembrare dei sovversivi, dei pazzi.
Solo dei pazzi, infatti, parlerebbero di parità e non di vittoria, di soglia massima di guadagno, di ridistribuzione, di tutela primaria degli ultimi e di rimettere al centro l’intuito, al quale la tecnica deve solo dare supporto e non il contrario. Eh, la vita è così, mi sono sentito dire tante volte, ma non voglio crederci, non di certo perché le cose cambieranno domani, ma per far sì che qualcuno, magari tra 100 o 200 anni, per caso troverà ispirazione tra quelli che hanno resistito e che non hanno vinto come coloro che sono passati dalla cassa, ma hanno vinto contro loro stessi, annientando dentro di sé quella strana voglia di accaparrare il più possibile potere, denaro e approvazione anche nelle maniere più subdole e scorrette, mentre tutto intorno muore. Ce ne sono tanti che hanno scelto di sradicare dall’anima quel sentimento marcio e tanti spero che lo facciano a loro volta.
Sono il primo nemico di me stesso e anche il più difficile da combattere.
Un contributo di Giovanni Sada