Manfredonia (FG), 42˚ di massima. Vento bollente, finestre sbarrate. Tapparelle chiuse, bidoni e stendini che volano. I gatti sono stesi a terra, incapaci di fare due passi. Io, non ne parliamo. Sono di fronte al computer, cerco di concludere il mio articolo. Di colpo, mi arriva una telefonata. È mia madre: «Vieste brucia».
«Cosa?» balbetto. «C’è un incendio, stanno evacuando Baia San Felice» attacca mio padre. «Tutto: campeggi, lidi, hotel. Noi però siamo in città, il fuoco qua non arriva, tranquilla». «Non potete venire via?» chiedo, in panico. «No, tutte le strade sono bloccate». E che cazzo, dovevano andare a mare proprio oggi?
Cerco notizie e scopro da pochi quotidiani – tutti locali – che c’è un incendio enorme e le fiamme sono arrivate a lambire delle strutture ricettive. Sono stati evacuati duemila turisti da tre hotel, assieme a tutto il personale. L’incendio non si spegne, c’è un solo elicottero, nessun Canadair. La polizia e i vigili del fuoco fanno ciò che possono coi mezzi che hanno.
Seconda telefonata. È mia sorella: «Puoi tenere il bambino mentre noi andiamo su con la macchina?». «Ma dove volete andare, è tutto bloccato. Poi mamma e papà stanno bene, sono in centro città, non alla baia». «Come al solito non sai niente: l’incendio è arrivato da noi, dobbiamo andare a salvare gli animali».
I miei genitori, quando ero bambina, hanno comprato una masseria vicino a Monte Sant’Angelo. O meglio, hanno comprato un rudere e un pezzo di terra spelacchiata. E poi l’hanno trasformato costruendo, piantando alberi, riempiendolo di animali: cani, asini, conigli, capre, pecore, oche, galline, una cavallina. Mia sorella si fionda in auto e corre, ma i carabinieri la bloccano: nessun mezzo può salire sulla montagna.
Io sono basita, non ci credo. L’incendio era lontano, com’è possibile che sia arrivato qui così velocemente? Tra noi e Vieste ci sono ettari ed ettari di boschi, di campi, di montagna. Scopro che i focolai sono due: uno sulla costa, uno nel cuore del Parco Nazionale del Gargano. Le fiamme stanno divampando in tutta Valle Carbonara, da Ruggiano a Bosco Quarto, esattamente dove c’è casa nostra.
Siamo bloccati, tutti, non possiamo fare nulla. Le ore passano, nell’impotenza. Penso alla Sicilia: senz’acqua, senza elettricità, da una settimana. Le fiamme che arrivano in città, i roghi unica luce nella notte. Aria irrespirabile, fumo, cenere. Vento bollente, acqua bollente dai rubinetti, cavi che scoppiano. Cibo che va a male, sudore, puzza. Impossibile lavarsi, impossibile lavorare, impossibile aprire negozi e farmacie. Impotenza di fronte alla distruzione.
Penso alle sale operatorie chiuse, agli anziani soli, ai cadaveri carbonizzati, all’inferno in terra bollato come disagi in Sicilia. Penso al fuoco che tocca il sito di Segesta e la chiesa di Palermo e che non fa notizia perché ci sono fiamme e fiamme, mica parliamo di Notre-Dame. Penso alle strade e agli aeroporti bloccati (tranne per certi jet) e all’impossibilità di scappare.
E se ci lasciano soli, come hanno lasciato soli loro? Ho paura, e quando ho paura divento egoista. Non penso ai siciliani, penso solo a casa mia. E se le ore passano, e non arrivano i Canadair? Se i miei cani muoiono, e muoiono tutti gli animali? Se bruciano i noci, i ciliegi, la lavanda e l’origano? Se del luogo in cui sono cresciuta resta solo una distesa nera e arida?
Alla fine, accade il miracolo. Le ore passano e passa il fuoco: brucia la terra, alcuni alberi, le colline e i campi attorno a noi. Ma lascia vivi gli animali, lascia integra la casa. Le fiamme vengono domate, la polizia e i vigili del fuoco lavorano senza sosta e ce la fanno. È tutto nero attorno a noi, ma stiamo tutti – davvero tutti – bene.
Non per molti va così. Gli allevatori non sono stati così fortunati, né i pastori, i caprai e i contadini. Hanno subito grossi danni, perdendo raccolti e animali. Prati, colline, boschi e valloni sono neri come la pece. Per ricostruire i boschi ridotti in cenere dal fuoco ci vorranno fino a 15 anni con danni all’ambiente, all’economia, al lavoro e al turismo, stima la Coldiretti. Sento alcuni amici: i turisti sono scappati da Vieste, le camere sono vuote. Cominciano ad arrivare le telefonate di disdetta per il resto dell’estate.
Accendo il telegiornale, di noi non si parla. Siamo, al massimo, un trafiletto alla fine di un servizio sulla Lombardia e sulla Sicilia. E di quest’ultima si parla poco e male, sempre in coda alle notizie principali. Amici da tutta Italia mi scrivono che del Gargano non sanno nulla, erano rimasti a Rodi e Corfù e al terribile titolo Cosa fare se avete prenotato?.
Nemmeno io so nulla della Calabria. Eppure, ci sono roghi ovunque anche lì. Tutto il Sud è in fiamme e la copertura mediatica è inesistente. E non fraintendetemi: ciò che sta succedendo al Nord è terribile e se ne deve parlare più che si può. Ma com’è possibile che non ci sia spazio anche per il restante del Paese? Deve per forza scapparci il morto?
L’informazione non dovrebbe essere una mera spettacolarizzazione della morte e del dolore. Se di catastrofi si deve parlare, lo si deve fare con uno scopo: comprenderne l’origine. Dare visibilità a tutto il Paese non è solo una questione di par condicio, ma vuol dire dare ai cittadini gli strumenti necessari per capire cosa sta succedendo davvero.
Perché dobbiamo ammettere che no, non è tutto normale e confrontarci con la ragione dei roghi e della grandine: il cambiamento climatico. «Ma gli incendi al Sud ci sono sempre stati!» diranno i cari negazionisti. Sì, nella mia terra ci sono sempre stati incendi dolosi e colposi. Lo cantava anche Caparezza nel 2008: fuma persino il Gargano con tutte quelle foreste accese, turista tu balli e tu canti, io conto i defunti di questo paese.
Ma no, le fiamme non si sono mai propagate così velocemente, arrivando a lambire strutture turistiche e incenerendo decide di ettari di bosco e campagna. Il favonio bollente e il caldo torrido, la siccità e la sterpaglia secca hanno amplificato un incendio che normalmente sarebbe rimasto localizzato e sarebbe stato spento in poco tempo.
Nel 2022 la Sicilia ha registrato da sola la metà degli incendi di tutta Italia, con oltre trentacinquemila ettari arsi. Intere pinete e boschi secolari sono andati in fumo. Nel 2023, l’inferno è arrivato alle città, mietendo vittime umane. Non c’era mai stata una crisi così forte da compromettere l’elettricità di case, scuole e ospedali per una settimana intera.
«È perché non si fa prevenzione!» diranno ancora i negazionisti. È la stessa obiezione che è stata posta a riguardo delle inondazioni in Emilia Romagna, ed è verissima. L’Italia è un Paese fragile e abbandonato a se stesso, proprio per questo l’inasprimento degli eventi metereologici avversi deve preoccuparci: non siamo pronti a ciò che verrà.
La Sicilia, consapevole della sua fragilità di fronte al cambiamento climatico, aveva chiesto tre mesi fa un rafforzamento delle sue risorse, sia umane che economiche. Come ogni anno i rinforzi non sono arrivati, né in Sicilia né nel resto del Sud. Ancora una volta è stato necessario ricorrere ai Canadair semi-privati, ma a caro prezzo: ogni anno si spendono circa trenta milioni per lo spegnimento aereo degli incendi in Sicilia.
Sì, perché di Canadair in Italia ce ne sono solo diciotto. Sono di proprietà del corpo nazionale dei vigili del fuoco ma, dato che mancano le strutture logistiche e i piloti addestrati, vengono gestiti dalla Babcock Mission Critical Services Italia. L’azienda privata si fa pagare quindicimila euro l’ora per l’intervento di un Canadair e cinquemila l’ora per quello di un elicottero.
Al contrario, l’Italia possiede trecento aerei con funzioni “combat”: AMX, Tornado, Eurofighter e F35 di proprietà dell’aereonautica militare. In sostanza, siamo preparati per uno sbarco alieno nel nostro territorio o per lo scoppio della WW3, ma non per gli incendi che andranno ad aumentare di proporzioni ogni anno seguendo l’innalzamento delle temperature.
«Va bene, ma al Nord c’è la grandine, come ce la spiegate?» insiste l’amico negazionista. In un articolo passato, abbiamo già spiegato il perché alluvioni e fenomeni metereologici avversi sono causati dall’innalzamento delle temperature, nonostante caldo e freddo sembrino in contrasto. La spaccatura che sta vivendo il nostro Paese – cronache del ghiaccio e del fuoco – è l’esatto specchio di un meteo innaturale che altera il ciclo dell’acqua.
Il vapore acqueo che si accumula nell’atmosfera a causa delle temperature elevate nel Sud Italia – la famosa siccità – deve avere una valvola di sfogo (dato che l’acqua sul nostro pianeta deve sempre restare costante): quella valvola è il Nord Italia. Questi fenomeni, trattati separatamente – come i media stanno facendo in queste ore – non hanno senso perché si spezza la concatenazione logica tra loro.
E forse è proprio la ragione per cui certe emittenti ignorano i roghi del Sud, trasmettendo solo il minimo sindacabile delle informazioni. Dopotutto la televisione italiana sta diventando il parco giochi dei negazionisti: l’esempio più lampante è il match tra Luca Mercalli (climatologo di chiara fama) e Francesco Borgonovo (vicedirettore de La Verità) a Cartabianca: a entrambi è stato dato lo stesso spazio, come se l’opinione di un giornalista possa avere lo stesso peso di quella di un esperto.
Andrea Giambruno (compagno di Giorgia Meloni) ha da poco affermato su Mediaset: «Nessun catastrofismo, nessun effetto del cambiamento climatico: è estate e fa caldo, come sempre». Nel frattempo, cinque persone morivano vittime dei fenomeni climatici estremi: una sedicenne in provincia di Brescia, tre persone tra le fiamme dei roghi che ancora divampano intorno a Palermo e in Sicilia, una nel Reggino.
Disinformazione, omissione di notizie: ad altri, questo tentativo di manipolazione dell’opinione pubblica sarebbe costato il tesserino. La posizione familiare di Giambruno fa pensare che ci siano dei chiari interessi politici nell’alimentare il negazionismo. Se la cittadinanza si rendesse conto della realtà, il governo sarebbe costretto a mettere dei paletti all’inquinamento e allo sfruttamento illimitato delle risorse operato dalle grandi aziende che sostengono da sempre Forza Italia.
Eppure, anche qui c’è economia ed economia. Perché tutti i piccoli imprenditori stanno soffrendo le conseguenze del cambiamento climatico. Fate un salto a Vieste – tanto quest’estate troverete posto – e rendetevi conto delle conseguenze del rogo.
Entrate nella reception di un hotel qualsiasi di Baia San Felice, mentre i ragazzi gestiscono le telefonate di disdetta delle prenotazioni. Camminate tra le camere danneggiate dal fuoco. Fate un giro nelle aree verdi – o meglio, nere – dei camping. Parlate con i ristoratori, i bagnini, i camerieri, i gestori di villaggi turistici e lidi. Chiedete se si sentono fiduciosi per le settimane di maggiore affluenza del nostro territorio.
Com’è, non volete sentire cos’hanno da dire i commercianti, i lavoratori dello spettacolo, le guide turistiche? O gli allevatori, i contadini, i pastori del Gargano? Domandategli se tutti i loro animali stanno bene, se porteranno le loro verdure o i loro formaggi made in Italy a qualche mercatino questo weekend. E perché non chiedete agli agriturismi immersi nel “verde” quando riapriranno per un bel pranzetto tradizionale?
Ogni rogo costa agli italiani oltre diecimila euro all’ettaro tra spese immediate per lo spegnimento e la bonifica e quelle a lungo termine sulla ricostruzione dei sistemi ambientali ed economici delle aree devastate, stima ancora la Coldiretti. Con buona pace della “tutela dell’economia”.
Il Gargano è il territorio che ho voluto raccontare in questo articolo, essendo il mio. Ma so che facciamo parte di un quadro molto più grande, che va da Nord a Sud. Danni molto più gravi sono stati subiti in altre regioni, perdite non solo economiche, ma umane. Non sono qui per strapparvi un paio di lacrime, ma per farvi realizzare che, se è capitato a casa mia, può capitare anche alla vostra. Non c’è più tempo: dobbiamo svegliarci.