Grand Tour è l’espressione, come scrive Antonio Emanuele Piedimonte nel suo Napoli, usata da Richard Lassels nel suo The Voyage of Italy, pubblicato nel 1670, per descrivere un particolare tipo di viaggio all’estero che già dal 1630 si era diffuso tra le élite culturali europee. Queste parole indicavano il tipico itinerario di formazione e istruzione destinato ai rampolli delle case aristocratiche che provavano a diventare adulti. Il tutto vissuto tra le meraviglie dell’antichità classica, le bellezze artistiche e naturali, gli usi e i costumi di popoli lontani, in particolar modo meridionali.
I vulcani in eruzione, i demoni meridiani, gli echi delle usanze greco-romane, il sensuale languore del Mediterraneo, l’Italia tutta, con Napoli e la Campania in particolar modo, apparivano agli occhi di questi visitatori come un mondo nuovo, completamente diverso dal proprio. Come scrisse lo scrittore William Beckford, un posto per peccatori di una particolare specie.
Quando sarò morto tornerò a Napoli a fare il fantasma, perché qui la notte è indicibilmente bella. Sono tantissimi i presunti fantasmi che si vuole abitino le notti partenopee e, tra questi, potrebbe essercene uno famoso, come scrive ancora Piedimonte, quello che volle certificare in vita il suo intento di rifrequentare la città anche nelle scarne vesti di spirito. Si tratta di Hans Christian Andersen, grande scrittore nato il 2 aprile del 1805 su un’isola della Danimarca, che ebbe modo di conoscere bene sia Napoli che i suoi dintorni.
Il suo viaggio ebbe inizio nel 1833, quando da Copenaghen attraversò buona parte dell’Italia e soprattutto della Campania. Un’esperienza importante e indimenticabile che lo cambiò per sempre e lo ispirò, come aggiunge Piedimonte, nelle successive creazioni letterarie, nei romanzi e nelle fiabe. Tutto questo è attestato dai suoi taccuini di viaggio su cui annotava e disegnava le impressioni, dal primo all’ultimo giorno. Una testimonianza a cura dello scrittore e giornalista danese Hans Edvard Norregard Nielsen, tradotta in italiano per la casa editrice Fratelli Palomba di Roma da Marcella Rinaldi. Il viaggio verso Napoli risulta essere tra i più felici della sua vita. Non è difficile credere a un’affermazione del genere, perché come già per altri artisti e letterati nordici, la città partenopea e i suoi abitanti ebbero sul giovane un effetto perturbante e sconvolgente.
Il 24 febbraio, Andersen si avvicinò al vulcano, un’escursione tipica vissuta da tutti i visitatori a quel tempo, che gli fece vivere delle emozioni bellissime riportate nel romanzo L’improvvisatore: Nel crepuscolo me ne andai al porto, il Vesuvio gettava torrenti di lava che incendiavano l’aria, erano fiamme di un’intensità mai vista prima. Qualche giorno prima invece, il 18 febbraio, si era recato a Posillipo per la sua prima, lunga passeggiata: La spiaggia era cosparsa di rovine. Ischia galleggiava come una nuvola chiara sul mare. Scese poi più a Sud: Castellammare, Pagani, Cava, Paestum, raccontando di aver attraversato il fiume Sele su un ponte di barche. Napoli gli apparve come un mondo a parte: un paese diverso da tutti gli altri. […] Lazzaroni seminudi dormivano sdraiati sulla sabbia calda… bambini nudi tiravano a riva le barche… Incontrammo una quantità spaventosa di preti… Visitammo la grande fabbrica dei maccheroni… Il vino era traditore.
Non mancò un’escursione sulle isole, come scrive ancora Piedimonte: in prossimità di Capri l’acqua si fece così trasparente che sembrava aria, raccontò seduto alla scrivania dell’albergo Pagani di Anacapri. Sull’isola azzurra realizzò diversi disegni, così come a Sorrento e nelle successive tappe nei Campi Flegrei. Nel mese di maggio, però, il viaggio volse al termine. Quando arrivò a Roma scrisse infine: Dio mio, che città calma e spenta in confronto a Napoli. E ancora: Napoli mi ha dato i giorni più belli del mio soggiorno in Italia. E forse chissà, questi suoi pensieri potrebbero confermare la possibilità che un pallido fantasma danese si aggiri tra i vicoli di Chiaia e dei Quartieri Spagnoli.