La gestione amministrativa della città di Roma è spesso stata oggetto di discussione e di confronto, oltre che di litigio tra le forze politiche del Paese. Le vicende capitoline hanno, diverse volte, inciso sugli equilibri nazionali, sulle sorti del capoluogo laziale si sono combattute le più aspre e recenti campagne elettorali, condizionando, di conseguenza, anche il destino dell’esecutivo centrale. Che Roma sia il Comune d’Italia più complesso per ciò che riguarda l’esercizio delle varie attività di governo cittadino è probabilmente vero, mentre è un dato incontrovertibile che le sindacature alternatisi in Campidoglio abbiano contribuito a ridurre l’Urbe nelle indegne condizioni in cui giornali e televisioni la dipingono in ogni angolo dello Stivale e dell’intero pianeta.
Quella che, fino a qualche anno fa, era conosciuta da chiunque nel mondo come la Città Eterna, il luogo incantato dove il tempo si ferma, tra il fascino del Colosseo e la dolce vita di felliniana memoria tra i vicoli di Trastevere, oggi è sinonimo di degrado, d’immondizia ai lati delle strade di periferia, di buche del manto stradale, intolleranza verso le minoranze e debiti. La storia di Roma Capitale è stata troppe volte accostata a un pesante passivo accumulato dalle amministrazioni che, a rotazione, hanno svuotato le casse del Comune e lasciato buchi, al loro addio, per miliardi di euro, obblighi di cui lo Stato italiano si è ripetutamente preso carico.
Attualmente, il debito che grava sulla città e, dunque, sul Sindaco Virginia Raggi, è un enorme ammontare di 12 miliardi di euro, già trasferiti nel 2008 dal bilancio comunale a una gestione commissariale, una sorta di società terza a cui il Municipio capitolino è tenuto a versare 200 milioni all’anno, supportato dall’intervento dell’erario nazionale – ossia dalle tasse versate da tutti i contribuenti italiani – per altri 300. Di fatto, dunque, lo Stato già ha in carico il passivo romano, tuttavia, tramite un’apposita norma inserita nel decreto crescita previsto dall’alleanza Lega-MoVimento 5 Stelle, la gestione commissariale verrà chiusa entro il 2021 e l’enorme debito trasferito quasi per intero alle casse dello Stivale.
L’entusiasmo con cui il Sottosegretario al Ministero dell’Economia, la grillina Laura Castelli, ha annunciato il provvedimento, tuttavia, non solo non è affatto giustificato, ma suona come un’ingiustizia verso altri Comuni che non godono dei favori che il M5S ha pensato di elargire per un Primo Cittadino, guarda caso, anch’esso di giallo e stelline vestito. Innanzitutto, dal 2008 – ossia la data in cui il vecchio debito è passato alla gestione commissariale – Roma e le società controllate dall’Urbe hanno continuato ad accumulare impegni economici verso fornitori di beni e servizi, pertanto, la drammatica situazione a cui il governo oggi sta pensando di porre rimedio si abbatterà sulle future generazioni. Inoltre, la manovra ha già scatenato le ire dei Sindaci alle prese con problemi analoghi a quello fronteggiato da Virginia Raggi ma senza lo stesso supporto.
La città di Napoli è, infatti, l’esempio più adatto a fotografare la disparità di trattamento tra Roma e il resto d’Italia. Già reduce da un contenzioso con la scorsa legislatura a proposito dei fondi destinati al salvataggio delle aziende di mobilità pubblica del Piemonte – in larga misura maggiori di quelli elargiti al capoluogo campano, anch’esso in crisi per quanto riguardava la gestione dei trasporti – Luigi de Magistris ha sottolineato come, ancora una volta, dai banchi del governo si siano disposte azioni atte a favorire lo sviluppo del Centro-Nord a discapito di un Sud dimenticato dalle agende di Salvini e Di Maio, così come già accaduto con Renzi e Gentiloni, con l’aggravante di un placet concesso, guarda caso, a un esponente della stessa fazione di chi ha inoltrato il provvedimento.
Non più tardi di due anni fa, il governo bloccava le casse della città del Vesuvio e con esse la possibilità da parte di Palazzo San Giacomo di intervenire su beni e servizi essenziali ai napoletani a causa del Debito Ingiusto, un passivo maturato ai tempi del terremoto dell’Ottanta in Irpinia. L’ammontare dell’obbligo partenopeo di 2.7 miliardi (di cui 84 milioni per le vicende del sisma dell’avellinese), è stato alleggerito, al termine della scorsa amministrazione targata PD, di soli 63 milioni, una misura circa centonovanta volte inferiore rispetto al supporto offerto alla Capitale, a dimostrazione che nella disamina dei perché di tanti malfunzionamenti e deficit a carico delle zone del Mezzogiorno, in confronto ai cugini dell’oltre-Tevere, bisognerebbe imparare a leggere ben più a fondo tra le cause di tale margine di svantaggio.
Perché il governo non adopera verso Napoli e i Comuni del Sud quanto prodiga ripetutamente per Roma? La critica non è volta a minare l’efficienza capitolina o delle regioni del Settentrione, tantomeno a gettare sull’attuale Sindaco della Città Eterna le colpe di tutte le amministrazioni succedutesi in Campidoglio, nessuno escluso. Il debito, infatti, non può considerarsi prerogativa di Virginia Raggi e degli errori che, certamente, ha commesso e continua a commettere, relegando la Capitale a borgo in dissesto finanziario e strutturale. Dai partiti di centrosinistra alla destra targata Alemanno, chiunque ha fatto la propria parte per sfigurare il volto di uno dei luoghi più belli del mondo.
Ma è giusto che lo Stato si accolli il passivo delle città in difficoltà? Se l’azione dell’erario nazionale consente di offrire respiro ai Comuni che, tra mille difficoltà, dimostrano una gestione virtuosa delle risorse economiche a loro disposizione – a patto che sia così – e ciò consente di erogare servizi dignitosi ai propri cittadini, sbloccare concorsi di assunzione per cariche pubbliche, svolgere lavori di ristrutturazione e intervenire nelle periferie per tentare di metterle al passo dei quartieri più abbienti, la risposta non potrà essere che sì. È giusto che l’organo supremo, chi esige le tasse dei propri contribuenti, sia poi in grado di garantir loro il tenore di vita che meriterebbero. Il tutto, però, sempre letto in un’ottica di bilanciamento della ricchezza, della ridistribuzione, della messa al passo delle aree più arretrate dello Stivale con le zone del Settentrione.
Il salva-Roma, invece, è l’ennesima conferma della politica degli interessi, delle disparità, delle azioni a favore del consenso politico, della prossima campagna elettorale da portare a casa. Il governo è garante di tutti, della maggioranza che ne ha accordato il mandato come dei cittadini di altre fazioni. Invece, troppo spesso, i provvedimenti emanati dalle Camere portano vantaggi esclusivamente alle amministrazioni vestite degli stessi colori, delle stesse bandiere. L’esatto contrario della democrazia.