Ne Il giovane Karl Marx di Raoul Peck, l’autore tenta di sfuggire a quelli che sono i difetti risaputi del genere “biopic”, come l’afflato didattico e, peggio ancora, la celebrazione (o denigrazione) del personaggio storico di cui si racconta. Il regista di I am not your negro – opera con cui ha vinto l’Oscar 2017 per il miglior documentario – ci riesce in buona parte, perché sceglie di mettere in scena la nascita di una delle più grandi costruzioni teoriche e politiche della storia, unendola alla descrizione della vita quotidiana del suo autore principale, il giovane Marx, tra disperazione materiale, rischi fisici e umiliazioni morali.
La scelta appropriata di Peck si intuisce da una delle scene iniziali del film, ambientata negli anni vicini alla metà del XIX secolo, dove si vede un gruppo di poveri contadini in un bosco, tra cui donne e bambini, che raccolgono i rami che trovano per terra. Per le leggi vigenti in quel tempo, era una pratica consentita, ma in realtà avveniva spesso quello che viene rappresentato nella terribile sequenza filmica: i servi/guardiani della proprietà terriera arrivano sui loro cavalli e con le mazze e le spade colpiscono i disperati contadini in fuga.
La voce fuori campo del giovane Marx (interpretato dall’attore August Diehl), 26enne giornalista della Rheinische Zeitung – la gazzetta renana su cui scrive e che poi sarà chiusa dalle autorità prussiane – commenta la drammatica visione sostenendo che quando i più umili del popolo assistono a una punizione senza vedere una reale colpa, alcuni di loro, prima o poi, si vendicheranno.
Sarà questa la matrice storica che, unita agli studi filosofici e di economia, porterà il giovane Karl ad andare in esilio, seguito dalla giovane moglie Jenny von Westphalen (un’intensa Vicky Krieps), che lo seguirà per amore e perché lei, giovane rampolla di una nobile casata, vedrà nell’abbandono della nobiltà e delle sue ricchezze l’inizio di una scelta di vita davvero personale e libera.
Nel 1844, a Parigi, Marx incontrerà l’ancora più giovane Friedrich Engels, ammiratore dei suoi scritti, che vive una sofferta “contraddizione” esistenziale, tra il lavoro di contabile per le industrie tessili di proprietà del severo padre e la passione per gli studi filosofici, unita all’interesse per la storia della società industriale in pieno sviluppo e soprattutto per quella degli uomini, delle donne e anche dei bambini strappati dal lavoro nei campi e nelle botteghe artigiane, per essere sfruttati nelle fabbriche urbane. La sua curiosità lo porterà a scrivere La situazione della classe operaia in Inghilterra, opera molto apprezzata dal suo nuovo amico tedesco, con cui formerà un sodalizio fatto di passione culturale e progetti di rivoluzione sociale e politica contro le aberrazioni del capitalismo.
Dopo varie vicissitudini umane e duri confronti con gli studiosi dell’epoca, Marx ed Engels aderiranno alla Lega dei Giusti, che si trasformerà, grazie soprattutto al loro lavoro teorico, in Lega dei Comunisti, per la quale i due fraterni amici scriveranno, nel 1848, uno dei libri più famosi della storia: Il Manifesto del Partito Comunista.
La pellicola di Peck si ferma qui nella narrazione filmica. Esce nelle sale cinematografiche proprio a ridosso della data del 5 maggio, che quest’anno segna il bicentenario della nascita del filosofo e rivoluzionario di Treviri. Non ci racconta, di certo, cosa è avvenuto nel resto della sua vita e soprattutto della sua opera filosofica, economica e politica, il materialismo storico, di cui vediamo rappresentato lo statu nascenti, nei suoi aspetti personali e di sfondo storico, e soprattutto nel sentimento della Weltanschauung “marxista”, una nuova visione del mondo e delle relazioni tra gli esseri umani. A margine del commento di una discreta opera cinematografica, possiamo soltanto dire che quella di Marx, e in parte di Engels, è stata una tra le più grandi e controverse elaborazioni teorico-politiche di sempre, che ha prodotto notevoli conquiste sociali, all’insegna della solidarietà e della giustizia sociale e, in maniera indiretta, anche “realizzazioni” geopolitiche e storiche che spesso, purtroppo, hanno tradito le promesse filosofiche, umanistiche e di rivoluzione sociale, trasformandosi in nuovi e tirannici poteri statuali.