Partendo dall’autocromia, uno dei metodi più sviluppati fu il Dufaycolor, un sistema che operava la sintesi additiva usando un reticolo di piccoli filtri rossi, verdi e blu, che divenne molto popolare, ancor più delle autocromie negli anni Venti, in quanto più veloce nell’esposizione e più veritiero nella resa del colore. Questo metodo diede origine a procedimenti fotografici quali la pellicola cinematografica Polavision, creata dalla Polaroid nel 1977, e le diapositive a sviluppo istantaneo nel 1983. Anche la televisione a colori si basa su di esso.
Il dye transfer, invece, nasce dal principio della tricromia, usando tre matrici in gelatina imbibite di coloranti solubili che corrispondono al ciano, al magenta e al giallo; è possibile ottenere il positivo a colori sovrapponendo le tre matrici di selezione a contatto con la carta. Si tratta di un procedimento sottrattivo che permette di ottenere stampe positive da negativi o da positivi messo a punto dalla Kodak nel 1945 e in commercio dall’anno successivo. Questo procedimento viene tuttora applicato anche se, data la difficoltà nel mettere a registro i tre negativi per ottenere l’immagine, è poco usato.
Grazie a successive sperimentazioni, negli anni a venire furono messe a punto delle procedure denominate a colori cromogeni, che permettono di ottenere direttamente una stampa positiva a colori grazio allo sviluppo chimico. La struttura di qualsiasi supporto che sia in grado di realizzare un’immagine a colori è formata da tre strati sensibili alle tre tinte fondamentali e dalla relativa emulsione. Questo vale per le pellicole negative, per quelle invertibili (le diapositive) e per le carte a colori. Con l’operazione di sviluppo è possibile rilevare le zone esposte alle diverse tonalità.
Possiamo dividere i materiali fotografici cromogeni moderni in due tipologie: le pellicole negative e le pellicole invertibili. La struttura di queste pellicole è identica, sono entrambe composte da tre strati di emulsione sensibile ai tre colori fondamentali, nell’ordine blu, verde e rosso. Gli strati separati da filtri impediscono la trasmissione di tinte indesiderate in quelli successivi. Il primo sensibile è il blu, a cui viene posto un filtro giallo che va a bloccarne la luce così da evitare che vada a impressionare i sottostanti.
Quando si sviluppa una pellicola negativa a colori, ogni strato sensibile rivela un’immagine il cui colore è il complementare di quello del soggetto. Quindi il rosso visivamente sarà ciano, il blu sarà giallo e il verde magenta. È il trattamento chimico che differenzia le due pellicole: normale sviluppo per i negativi, trattamento di inversione per le diapositive. I copulanti, o formatori di colore, sono incorporati nell’emulsione di entrambe le pellicole.
Rispetto alle autocromie o alle Dufaycolor che sono prodotte con la struttura del mosaico colorato, nelle emulsioni moderne i colori sono formati dai copulanti, durante il trattamento chimico di sviluppo detto anche rivelatore cromogeno. La Kodak, nel 1935, produsse la pellicola invertibile Kodachrome (diapositiva). Nella sua emulsione, però, non furono sciolti i copulanti in quanto erano stati già aggiunti durante la fase chimica, molto complessa, dello sviluppo. I bagni chimici dovevano essere tre, uno per ogni colore. Il trattamento della pellicola, per questo motivo, avveniva in laboratori specializzati. Tuttavia, per cercare di eliminare tali difficoltà, nel 1940 l’azienda mise sul mercato una nuova pellicola invertibile, l’Ektachrome nella cui emulsione erano presenti i copulanti di colore. Anche l’Agfa, un’altra importante ditta di materiali fotografici, nel 1939 iniziò a produrre una pellicola invertibile, l’Agfacolor, che fu chiamata in seguito Agfachrome per differenziarla dalle pellicole negative a colori.
L’Agfa introdusse il primo negativo a colori nel 1939, la Kodak mise sul mercato la pellicola Kodacolor nel 1942. Successivamente toccò ad altre ditte produttrici di materiali fotografici. Alcuni tipi di materiali, procedimenti a diffusione e trasferimento di colore o istantanei, furono sperimentati da André Rott nel 1940 per Gévaert e Agfa. Materiali, questi, ripresi da Edwin H. Land, fondatore della Polaroid, che nel 1943 realizzò per la prima volta immagini a sviluppo istantaneo.
Nel 1965, infatti, furono messe in commercio le pellicole Polaroid, chiamate Polacolor, le prime a essere fabbricate con una tecnologia e una chimica del colore molto complesse, dotate di un supporto non solo composto dai tre strati sensibili ai tre colori fondamentali, ma anche da strati contenenti elementi chimici di sviluppo e fissaggio. Le immagini ottenute sono in copia unica ed è necessario, per realizzarle, utilizzare delle macchine fotografiche apposite. Le pellicole Polaroid vengono prodotte solo in alcuni formati, e i più commercializzati sono l’8×8 cm su supporto di 10×9 cm, ma anche il 6×9 cm. Nel 1976 anche la Kodak mise in commercio delle pellicole con caratteristiche simili, mentre la Fuji nel 1981.
Una differenza molto importante tra il colore e la fotografia monocromatica è questa: in bianco e nero suggerisci; a colore affermi. – Paul Outerbridge