La letteratura è sempre un atto politico, indica lo sguardo di un soggetto che reagisce o agisce attraverso la scrittura a un particolare contesto, a una ferita che lo ha segnato, a un conflitto che lo ha interrogato. In questo modo bisogna leggere anche il romanzo Lo scandalo della felicità di Pina Mandolfo. Una storia a volte riesce a essere un detonatore esistenziale perché può connettersi emozionalmente con le persone che leggono, riuscendo a far percepire in modo profondo e autentico la drammaticità di un destino.
Come afferma nel suo ultimo libro Alessandra Bocchetti (Basta lacrime. Storia di una femminista, 1995/2020, Vanda Edizioni) il guadagno enorme del femminismo per la nostra generazione è la ricerca della felicità delle donne, vero e proprio attacco al cuore del sistema patriarcale e alla sua implicita violenza esercitata sul corpo e sulla vita delle donne. Afferma Pina Mandolfo che può sembrare scandalosa infatti la ricerca di felicità di Anna Valdina perché resiste all’imposizione del silenzio, alla sottomissione monacale, alla sudditanza alle gerarchie religiose e familiari, praticando l’attesa con forte stoicità per non arrendersi alla supremazia ineluttabile dei maschi della sua nobile famiglia siciliana. Mandolfo confessa che la macchina creativa di questa narrazione parte proprio da questo processo identitario con la protagonista.
Il diritto alla felicità è il motore primo che ha ispirato la ricerca storiografica e il romanzo di Mandolfo. E la Principessa Valdina entra assolutamente a far parte del cerchio delle personagge, neologismo nato all’interno della SIL (Società Italiana delle Letterate) sia per la furiosa e affannosa azione di resistenza sia per la tenacia e il coraggio con cui ha condotto la sua battaglia, per la sua inalienabile volontà di esistere, per il linguaggio del corpo che esplode sulla pagina. Mandolfo con una prosa raffinata e coinvolgente narra la faticosa e imprevista alleanza tra donne, oltre il ceto e la condizione culturale. Un legame fondativo che stabilisce la rinascita esistenziale delle donne, “dato imprevisto dalla storia”, come afferma Carla Lonzi.
In questo testo la mortificazione familiare, sociale ed ecclesiastica delle donne costrette a scegliere la monacazione viene dipinta in tutta la sua violenza. Il romanzo storico al femminile non è mai neutro perché biografismo e autobiografismo si mescolano e la storia di una diventa la storia di tutte. Viene anche definito romanzo della memoria perché scava in un passato che sembra vuoto di storie di donne e quindi esprime con passione la volontà politica di ridare spazio e voce a volti da secoli muti, nella ricerca inalienabile della libertà. Storie di sopravvissute alla manipolazione del patriarcato politico, sociale ed ecclesiastico.
Il romanzo di formazione crea identificazione emotiva e affettiva, spinge verso un percorso di autocoscienza drammatica e trasformativa. Il grande successo di libri come Una donna di Sibilla Aleramo, L’amica geniale di Elena Ferrante, L’arte della gioia di Goliarda Sapienza, L’isola di Arturo di Elsa Morante, Poveri e semplici di Anna Maria Ortese, Rinascimento privato di Maria Bellonci e tanti altri, è dovuto proprio alla capacità di queste scrittrici di sondare l’animo delle donne e la loro volontà di vivere liberamente e di opporsi con forza e disperazione alla programmazione socioculturale di genere.
Rabbia, preoccupazione, indignazione e fierezza nelle voci delle donne che vengono recuperate attraverso la scrittura delle donne. Ognuna si può riconoscere nella personaggia e la narrazione diventa un grido di ribellione al silenzio e alla prevaricazione familiare dei maschi potenti che aderiscono alla logica patriarcale. Il passato del Seicento si mescola alle tragiche storie della nostra contemporaneità. E ogni storia riguarda ognuna di noi. Il tempo di ieri diventa il tempo di oggi. La nostra storia si mescola alla storia delle donne del passato.
Abbiamo bisogno quindi dell’opera di questa militanza politica tenace e irriducibile per completare il lento e faticoso cammino dell’emancipazione femminile e della liberazione dagli stereotipi di genere, che ancora opprimono le relazioni tra donne e tra donne e uomini. In Italia questo processo è iniziato in ritardo rispetto al resto d’Europa. Forte è stata l’influenza della Chiesa Cattolica, che sconsigliava alle donne attività fuori casa, le libere letture, l’istruzione e il lavoro. Bisogna fare un grande lavoro di legittimazione della voce delle donne all’interno delle istituzioni religiose, che ancora le costringono al silenzio e alla sudditanza nelle gerarchie ecclesiastiche, soprattutto cattoliche. Molto stanno facendo le teologhe femministe per denunciare la schiavitù nei monasteri, per recuperare il punto di vista femminile in ogni lettura biblica e in ogni testo sacro.
Le donne hanno ottenuto importanti diritti nella società civile. Nella realtà il percorso è ancora da completare e i casi numerosi di violenza domestica e di femminicidio fanno capire come proprio nell’ambito dei rapporti privati bisogna educare al rispetto, alla corresponsabilità, alla reciprocità e alla libertà, superando la tossicità delle dipendenze affettive. Ma come si reagisce a tanti secoli di cancellazione, di mortificazione intellettuale ed esistenziale?
La prima reazione disfunzionale è quella di non riuscire ad ascoltare i propri bisogni, aderendo all’abito della compiacenza e della simbiosi affettiva. È necessario quindi lavorare interiormente per superare la secolare colpa di esistere, per non cadere nella trappola della vittima, imparando ad esercitare la propria assertività. Altra reazione regressiva è l’adesione acritica al linguaggio maschile del potere inteso come dominio, controllo e sopraffazione. Bisogna comprendere il sistema valoriale trasmesso dal copione culturale dentro cui siamo cresciute, imparando a scegliere in libertà un codice rinnovato dalla differenza di genere, dall’amore verso noi stesse e dall’amore verso il mondo.
Come dice Pina Mandolfo, a volte una donna dimenticata e taciuta si “appella” a un’altra donna per prendere corpo e uscire dall’oblio. È un richiamo misterioso che, negli ultimi decenni, storiche, letterate, artiste hanno imparato a riconoscere e decifrare. Siamo una schiera che porta alla luce un incommensurabile patrimonio di vite celate per costruire finalmente una genealogia femminile: solo allora un millennio diverrà un giorno. Un giorno in cui altri e altre conosceranno le “sconosciute” nascoste negli scarti della storia.
E quindi è necessaria una poetica dell’elogio dell’altra, citando le sue parole, seguendo un richiamo che supera i secoli e le barriere transgenerazionali, che ha permesso ad Anna Banti di far conoscere la vita di Artemisia Gentileschi, a Sibilla Aleramo di liberare se stessa ispirandosi alla Nora di Ibsen, a Goliarda Sapienza di narrare la sua storia di riscatto e di libertà, a Grazia Deledda di parlare delle sorelle Pintor, a Elena Ferrante di dare voce e anima a Olga e alle amiche geniali, a Natalia Ginzburg di raccontare il suo lessico famigliare, a Dacia Maraini di ripercorrere la vita di Marianna Ucria, ad Anna Maria Ortese di animare di visioni profetiche e archetipiche i suoi cortili.
Bisogna essere riconoscenti e ringraziare le donne che si sono messe al servizio delle altre, cercando di recuperare ogni nome, ogni voce cancellata, riuscendo a restituire con generoso impegno quella bellezza creativa da tanto mutilata, quel patrimonio di conoscenze e di sapienza che poteva andare perduto.
Contributo a cura di Floriana Coppola