C’era una volta, in un luogo non propriamente definito – a metà strada tra l’internet e la Padania – un villaggio di elfi felici e incazzati al contempo, un piccolo borgo di omini vestiti di giallo che vivevano secondo un rigido schema di regole che chiamavano codice etico. Chiunque, per far parte della grande famiglia virtuale, al cui capo sedeva il saggio Gianroberto Casaleggio, doveva sottoscrivere il patto che garantiva onestà e rettitudine di ognuno degli abitanti del paesino ribattezzato MoVimento e dominato, ogni sera, da cinque stelline dorate che accecavano, con la loro luce splendente, ogni uomo, donna, bambino, cane, gatto o uccellino della città.
Un bel giorno, però, il giullare di corte, conosciuto come il Grillo parlante, capì che alcuni degli amministratori dell’ormai grande paese – la cui popolazione cresceva di anno in anno – non seguivano alla lettera il codice etico, comportandosi male, tanto quanto tutti i cattivi che il MoVimento combatteva a suon di radunate in piazza al grido di Vaffanculo. La principessa Virginia, infatti, a comando dell’area più vasta e importante del regno, avrebbe ricevuto, da lì a poco, una letterina chiamata avviso di garanzia, assolutamente stigmatizzata e proibita sotto il cielo pentastellato a quel tempo.
“Che imbarazzo! Che vergogna!”, pensarono i vertici del MoVimento, che approfittarono della luce stordente delle cinque stelline per cancellare i versi incriminati e modificare, secondo le nuove necessità, le regole del codice, permettendo, così, alla principessa Virginia, di continuare nel suo lavoro, senza rendere scontenti i tanti amici sorridenti e sempre più incazzati che abbracciavano la causa pentastellata poiché delusi dai governanti che, fino a quel momento, avevano controllato città, province e regioni. Da quel giorno, tuttavia, nulla, nel paese del Grillo parlante fu più lo stesso. Un orco cattivo avrebbe presto cancellato ogni traccia di quell’isola felice, portando via, come un magico pifferaio, con frasi ancor più roboanti e ancor più incazzate, a Casaleggio e associati, tanti, tantissimi abitanti di un villaggio che ormai non aveva più senso d’esistere.
Si perdoni il tono fiabesco con cui il sottoscritto ha riassunto la genesi e lo sviluppo del partito più chiacchierato d’Italia, almeno fino alle elezioni dello scorso marzo. Tuttavia, l’elettorato grillino ha ampiamente dimostrato, nel corso delle ultime stagioni politiche, di essere facilmente incline ai raccontini fanciulleschi, alle storielle della buonanotte che restituiscono il sonno anche ai bambini più vispi. La realtà, però, è di ben altra fattura, ed è il caso – finalmente – che sorga giorno e suoni la sveglia.
È ormai vicenda nota quella dell’inchiesta aperta dal pm Patronaggio in seguito al caso della nave Diciotti tenuta chiusa nel porto di Catania per diversi giorni con a bordo 177 persone tra cui decine di minori e uomini e donne in gravi condizioni di salute. Dal momento in cui il governo Lega-5 Stelle è diventato non più un triste presagio ma una drammatica realtà italiana, Luigi Di Maio – Vicepremier nonché Ministro del Lavoro – e compagni hanno sbugiardato qualunque battaglia messa in campo nel corso degli anni precedenti alla loro scalata alle poltrone che contano, a partire dai 49 milioni di euro sottratti dal Carroccio di Umberto Bossi e Matteo Salvini (prima richiesti a gran voce da Alessandro Di Battista, poi prontamente scordati all’indomani della presentazione dell’attuale legislatura), fino, appunto, all’avviso ricevuto dal Ministro dell’Interno che, solo fino a qualche giro di calendario fa, avrebbe portato i pentastellati a chiederne le dimissioni.
Nel non lontano 2016, infatti, Di Maio chiedeva il ritiro di Angelino Alfano per lo stesso provvedimento giudiziario che ha raggiunto, oggi, Salvini. Allo stesso tempo, quell’anno, il leader pentastellato di Pomigliano dichiarava che un sindaco indagato per abuso d’ufficio avrebbe dovuto smettere la carica e non ricandidarsi. Non sorprende, certo, la svolta garantista né del MoVimento né del suo elettorato, che tutto scorda in nome della tifoseria calcistica con la quale appoggia qualsiasi sacra scrittura provenga dal quartier generale giallo-verde. Tuttavia, il repentino cambio di faccia, ormai adoperato senza vergogna, in ugual misura per i soldi spariti, per i voucher prima combattuti, ora reintrodotti in materia di norme lavorative, fino alle indagini giudiziarie, fa calare la maschera a quello che ha sempre rifiutato l’epiteto del partito, salvo poi prenderne le sembianze nelle sue versioni peggiori. Secondo il codice etico, inoltre – e i costanti proclami da perenne campagna elettorale –, l’ultima ipotesi attuabile dal MoVimento sarebbe stata quella di un’alleanza con la vecchia politica sempre combattuta, ora difesa anche a discapito dei suoi stessi militanti.
Già, torniamo a lui, il soldato Fico… qualcuno lo salvi. Anzi, si salvi da sé. È proprio all’attuale Presidente della Camera dei Deputati a cui dobbiamo, nei mesi recenti, gli ultimi sussulti di dignità di un gruppo politico che ha venduto la propria natura al migliore offerente. Roberto Fico, anche forte del suo ruolo super partes, ha infatti preso posizioni nette e condivisibili sia in merito alla questione Acquarius di qualche settimana fa sia per ciò che ha riguardato i migranti a bordo della nave Diciotti bloccata in Sicilia, tanto da guadagnarsi la medaglia al valore di una citazione su Twitter durante uno dei videomessaggi del Ministro Salvini, che lo invitava – con toni ben poco consoni al ruolo che ricopre – a starsene al proprio posto.
Si salvi, dunque, soldato Fico! Restare nel MoVimento che Le ha girato le spalle in nome di un’alleanza con un partito razzista, che fa dell’odio la sua unica propaganda, non fa onore a chi, come Lei, tenta di esprimere la propria opinione in quello che – almeno fino a che la Costituzione avrà un qualche valore – resta un Paese democratico e antifascista. Prendersi la responsabilità di vestire i panni della terza carica dello Stato italiano senza il peso del vessillo pentastellato a condizionarne azione e pensiero sarebbe, sì, rivoluzionario e lontano dal vecchio fare. Un’occasione da non perdere, un’occasione per dire no a un codice etico che del significato della straordinaria parola di cui si forgia non conserva più nulla.