Da piccola non mi ha mai entusiasmato l’idea di andare al circo, quando il tendone di questa o quella famosa famiglia di artisti sostava nella mia città. So di aver solo fatto parte di una minoranza che non era attratta da pagliacci, numeri acrobatici e, men che meno, da quelli con gli animali perché il circo è stato uno dei divertimenti preferiti dalla maggior parte dei bambini.
Risalire alle sue origini significa fare un enorme balzo all’indietro, nella storia dell’antica Roma, quando era un luogo adibito a corse di cavalli, spettacoli equestri, ricostruzione di battaglie, esibizione di animali ammaestrati e prodezze di giocolieri e acrobati. Dopo la caduta dell’Impero Romano, compagnie di girovaghi iniziarono a viaggiare in Europa allestendo spettacoli consistenti perlopiù in giochi di abilità e rappresentazioni comiche o tragiche. Il genio di alcuni artisti si esprimeva nella costruzione di mezzi di trasporto tali da trasformarsi in palcoscenici viaggianti.
La prima esibizione circense in senso moderno risale al 1768 a opera dell’ufficiale di cavalleria britannico Philip Astley e prevedeva una pista circolare con platea per numeri di cavalli ammaestrati oltre a intermezzi comici con l’innovativo impiego di un clown. In quest’arte dell’intrattenimento, agli inizi dell’Ottocento, si distinsero le famiglie Caroli e Chiarini, generazioni di circensi che riscossero un grande successo, soprattutto in Francia e Germania.
Dobbiamo avanzare nel tempo fino al secondo dopoguerra per scoprire l’aggiungersi alla trasmissione familiare di scuole e compagnie di provenienza non tradizionale. In Occidente, il modello di approccio estetico di tipo teatrale nell’impianto degli spettacoli si deve al Cirque du Soleil. A partire dagli anni Novanta, infatti, il “circo contemporaneo” abbandona la sequenza dei singoli numeri per sostituirli con creazioni in cui le discipline e le tecniche si fondono completamente.
Del nostro immaginario non possiamo tralasciare quanto, nel tempo, l’ambiente circense abbia influenzato l’arte. L’interesse dei pittori verso il mondo del circo fu esaltato dall’avvento della macchina fotografica. Essa, infatti, permise di fare schizzi degli attimi più importanti delle esibizioni, impossibili da immortalare con l’uso di una semplice matita per la rapidità con cui avvenivano. Il pittore Edgar Degas (1834-1917) fu l’unico, tra i suoi colleghi impressionisti, ad amare la fotografia, proprio perché gli consentiva di fare numerosi schizzi sull’ambiente del circo. Dedicò, inoltre, svariati disegni a una famosa trapezista del tempo di nome Lala. Nel XX secolo, i pittori furono portati a considerare il circo “un mondo triste”, se non addirittura tragico, come il russo Marc Chagal (1887-1985) che nel suo quadro Rivoluzione, traendo spunto metaforico dalla fatica di un numero di equilibrismo, alluse alla precarietà introdotta dalla Rivoluzione Russa del 1917. Pablo Picasso (1881-1973) nel quadro Famiglia di acrobati scelse, invece, di disegnare figure circensi in momenti di riposo, ma come se recitassero su un palcoscenico teatrale.
Nel cinema, le atmosfere magicamente create dal grande regista visionario Federico Fellini, in alcuni suoi famosi film (Le notti di Cabiria, I clown, La Strada), hanno bene espresso la poesia del mondo circense e ispirato i lavori di registi stranieri. Il cinema, inoltre, ha significativamente posto la figura del clown al centro delle proprie narrazioni, creando una vasta e affollata galleria di personaggi a essa ispirati. Personaggi che hanno preso corpo proprio grazie alla natura del mezzo cinematografico e che sono riusciti a dare, in uno scambio virtuoso esemplare, nuove forme e modi della rappresentazione. Impossibile non ricordare geni come Charlie Chaplin, Buster Keaton, Harol Lloyd, Stan Laurel e Oliver Hardy, fra i tanti indimenticati protagonisti delle “comiche finali”.
Nella letteratura per ragazzi moltissimi sono i libri dove il protagonista non è una persona, ma un luogo: il circo. Flik, o tre mesi in un circo, romanzo di James Otis risalente al 1881 e tradotto in italiano nel 1882 dalla casa editrice Salani, narra le avventure di un bambino che si allontana da casa per aggregarsi agli artisti di un circo.
Icona indiscussa del mondo circense italiano è stata Moira Orfei, erede di una storica dinastia, che nel 1960 aprì l’omonimo circo e vi addestrò elefanti e colombe. Dopo la morte, avvenuta nel 2015, la sua attività è proseguita con il figlio Stefano Orfei Nones e con l’altrettanto celebre cugina Liana Orfei. Un’attuale importante figura del circo nostrano è Flavio Togni, altro noto nome nell’arte circense, che è risultato vincitore di un clown d’oro al Festival del circo di Montecarlo ed è titolare dell’American Circus.
In Italia, una serie di penalizzanti fattori ha contributo alla progressiva scomparsa dell’interesse per gli spettacoli circensi e, in particolare, nelle giovanissime generazioni sembra essere venuta meno l’idea di circo come del divertimento per eccellenza. Tanto è coinciso con il loro sempre maggiore coinvolgimento nell’utilizzo dei social network come forma di intrattenimento quotidiano, inevitabile conseguenza dei disagi provocati da una vita familiare impegnativa e quanto mai frenetica.
Vi è da dire inoltre che, secondo il rapporto Eurispes 2011, solo il 10.1% della popolazione italiana giudica positivo l’impiego di animali nei circhi. Di pari passo, tali attività sono fermamente contestate dalle associazioni animaliste, le quali ritengono eticamente inaccettabile che gli animali vengano usati per il divertimento umano poiché la detenzione, l’addestramento e gli spettacoli non sono compatibili con le caratteristiche comportamentali degli animali stessi. Ciò ha convinto alcuni Paesi dell’Unione Europea, solidali con tali proteste, ad abolirne l’uso.
Da ultimo, ma non meno importante causa a monte del problema, da Nord a Sud del Paese, vi sono le prolungate limitazioni causate dall’epidemia di Covid-19, con i circhi bloccati per arginare la diffusione del virus e risorse economiche non più sufficienti ad assicurare ai complessi circensi i necessari beni alimentari, ma soprattutto le provviste per sfamare gli animali.
È auspicabile quindi che, con alle spalle gli anni duramente segnati dalla pandemia, in un prossimo futuro i governi europei prevedano anche di stanziare risorse economiche volte al significativo recupero e rilancio dell’antica tradizione circense. Che i circhi tornino a far sognare bambini e adulti, ma con il solo impiego del grande potenziale immaginifico umano.
A queste condizioni, la piccola alla quale non piaceva andare al circo, forse, potrebbe ricredersi e scoprirsi un’adulta piacevolmente sorpresa, al cospetto dell’indiscutibile atmosfera poetica che l’ambiente circense esalta e che è stata magistralmente rappresentata nei secoli.
Contributo a cura di Anna Loffredo