«Per far arrivare i treni in orario, se vogliamo, mica c’era bisogno di nominarlo capo del governo, bastava farlo capostazione». Era il 1987 quando Massimo Troisi ironizzava sul periodo più buio della storia italiana, sul ventennio fascista e quell’antica diceria secondo cui quando c’era LVI (Mussolini) i treni arrivavano in orario. Frase ripresa spesso anche da chi l’ideologia che muoveva l’azione del Duce non l’ha mai condivisa per richiamare alle deportazioni, oggi – con riferimento a chi ne ha tante volte confessato la mancanza e si è sempre detto ispirato da quel modo di fare politica – non potrebbe essere rispolverata perché, nonostante ideali e metodologia affini, i treni guidati dal governo italiano sono tutti, costantemente in ritardo.
Nel dicembre 2008, l’Italia completò un lungo processo di ammodernamento della propria rete ferroviaria con l’introduzione dell’alta velocità. I viaggi tra Milano e Roma si ridussero fino a tre ore (ancora l’attuale tempo di percorrenza per i convogli no-stop), facendo pensare e sperare in un futuro in cui pendolari, viaggiatori e turisti avrebbero preferito il treno all’aereo. L’Ansa titolava Finalmente l’Italia fa qualcosa che funziona bene, con nove Frecce su dieci che arrivavano puntuali (dati forniti dall’azienda). Ammesso fosse tutto vero, quindici anni dopo, la situazione è cambiata drasticamente.
La puntualità dei treni ad alta velocità è notevolmente peggiorata. Secondo la relazione sulla qualità dei servizi di Trenitalia del 2023, il 98% arriva con un ritardo compreso tra zero e 60 minuti, inclusi quelli che arrivano in orario. Un metodo straordinario di RFI per coprire i dati reali, una finestra di sessanta minuti che sotterra sotto la polvere un numero spaventoso di disagi arrecati ai viaggiatori italiani.
Un’analisi dettagliata effettuata dal Corriere della Sera il 15 gennaio scorso su alcune delle tratte principali del Paese (Venezia-Milano, Milano-Roma, e Roma-Reggio Calabria) ha evidenziato una situazione grottesca. Sulla tratta Venezia-Milano, il 94,2% dei treni è arrivato in ritardo nel periodo preso in esame, sulla Milano-Roma l’84% dei treni ha subito ritardi, con punte di 30 minuti per alcuni convogli. Anche sulla Roma-Reggio Calabria i ritardi sono significativi, specialmente per i treni serali, con punte del 60%.
A far luce sui ritardi ci ha pensato la stessa Trenitalia nel proprio bilancio annuale: I valori di puntualità registrati nel 2022 […] per il segmento AV risulta sotto obiettivo, si è registrata una flessione di performance più accentuata nei mesi centrali dell’anno, da ricondurre ad un generale incremento dei volumi del traffico e all’aumento dei guasti dell’infrastruttura e al materiale rotabile, correlati al caldo anomalo. A tradurre il linguaggio comunque cauto dell’azienda ci ha pensato la diretta concorrente, Italo, che ha spiegato come i problemi di RFI rallentano tutti i collegamenti nazionali: Le cause dei ritardi sono così distribuite, il 16,1% per cause esterne; il 61,4% per colpa di RFI; 13,1 per colpa di altre compagnie; il 9,3% a causa di Italo stessa.
Infrastrutture vecchie, in alcuni casi fatiscenti, e traffico dei viaggiatori triplicato dal 2008: queste le cause principali, a cui, però, va aggiunto qualche rigo di chiarimenti che – manco a dirlo – Trenitalia omette. Nei momenti di punta, viaggiano 12 treni all’ora per senso di marcia, il problema a un convoglio finisce, inevitabilmente, per rallentarli tutti. Il binario su cui viaggiare è unico e se nel 2009 i treni in circolazione erano 16.439, oggi quel dato è salito fino a 51.358, il che vuol dire, sì, linee intasate ma anche un’altra cosa: i treni non viaggiano mai al pieno della loro capienza. Che senso ha tutto questo? Uno soltanto: il guadagno dell’azienda che, nel frattempo, ha sempre aumentato i costi dei biglietti.
A peggiorare ulteriormente la situazione, Trenitalia ha annunciato lavori di potenziamento per tutto il mese di agosto 2024 che comporteranno modifiche significative alla circolazione, con ritardi previsti fino a due ore e numerose cancellazioni. Le tratte più colpite saranno la Torino-Milano-Venezia, la Milano-Bologna e la direttissima Roma-Firenze. Dal 12 al 18 agosto, sulla Milano-Bologna, ci sarà una parziale interruzione della linea con aumenti dei tempi di viaggio fino a 120 minuti. Insomma, prendere un treno vuol dire trascorrere intere giornate per spostarsi da un punto a un altro del Paese.
Alle sporadiche e inspiegabilmente tenui reazioni politiche, si è aggiunta la preoccupazione del Codacons, sottolineando che questi disagi si aggiungono ai numerosi problemi tecnici riscontrati già a luglio, con episodi drammatici di treni fermi anche oltre cinque ore senza aria condizionata. Dal 26 luglio all’1 settembre, Trenitalia – fa sapere – ha previsto un potenziamento dei servizi nelle stazioni con maggiori afflussi, aumentando la disponibilità di bus sostitutivi, personale di assistenza e distribuzione di kit e acqua ai passeggeri. Se non si tratta di una presa in giro, facciamo fatica a capire.
Così come facciamo fatica a capire la totale mancanza di informazione sull’argomento, la latitanza dei nostri colleghi con una eco ben maggiore della nostra nel denunciare i disagi, la totale inettutudine delle opposizioni, delle associazioni, persino lo sconforto dei viaggiatori stessi, rassegnati a questo incredibile stato di cose anziché combattivi e incazzati a chiedere conto.
E chiedere conto vuol dire pretendere le dimissioni di Matteo Salvini, il Ministro delle Infrastrutture piazzato in quel ruolo – che evidentemente non gli compete – per il solo gusto di vederlo giocare a fare il capo cantiere cattivo che chiude i porti ai disperati che cercano un punto d’approdo in Italia, un ufficio da cui emanare ordini contro ogni carta dei diritti umani pur di dimostrarsi come l’uomo al comando, un uomo capace di nulla se non di disastri lampanti come quello che coinvolge il sistema ferroviario italiano.