Possono cambiare la sostanza, il contenuto, il merito, ma che si tratti di sport o di editoria, lo stile rimane immutato, inflessibile e cinico, sia che di fronte ci sia la salute, sia che ci sia una partita di Serie A. Sia che si tratti del futuro di centinaia di giornalisti e, quindi, di interi nuclei familiari.
Parliamo del modus agendi degli Elkann, una delle famiglie più potenti d’Italia, domini incontrastati nel settore delle automobili, dello sport e, da qualche mese, anche dell’informazione. Non facciamo in tempo a commentare la posizione dettata da illogicità e prepotenza presa dai vertici della Juventus la scorsa domenica in occasione del big match di Torino, infatti, che nelle stesse ore scopriamo che i neopadroni de la Repubblica, de l’Espresso e de La Stampa sono in fase di trattativa avanzata per la vendita di diverse testate locali, senza che le dirette interessate siano state coinvolte. Parliamo de Il Tirreno, La Nuova Ferrara, La Gazzetta di Reggio e La Gazzetta di Modena, ossia tutti quotidiani appartenenti al Gruppo Gedi, che da decenni rappresentano sui territori voci inascoltate altrove, portando alla ribalta le notizie di cronaca locale che riguardano i cittadini più da vicino.
È inutile sottolineare che è nelle piene legittime facoltà di un editore la scelta di vendere, di svendere e persino di regalare un giornale, anche nel momento in cui per ragioni di mercato si intende dettare una linea diversa rispetto a quella solita, esattamente nello stesso modo in cui un domani potrebbe agire – cosa molto irrealistica – qualcuno che intenda acquisire dai discendenti degli Agnelli il loro impero economico. Così come è stato legittimo (per quanto discutibile) rimuovere Carlo Verdelli dal ruolo di direttore de La Repubblica lo scorso aprile, sostituendolo con Maurizio Molinari che sin da subito – e questo ci permettiamo di dirlo da lettori e osservatori esterni – ha cancellato il lavoro svolto dal suo predecessore che mirava invece a ripristinare i valori fondanti del quotidiano di via Cristoforo Colombo. In ogni caso, a nulla sono valse le parole del fondatore Eugenio Scalfari, figuriamoci le nostre.
Il punto qui è un altro. Come si diceva, una questione di stile: quest’operazione così rapida, che rischia di passare sotto banco, corrisponde all’aumento delle mire espansionistiche della famiglia torinese, che è interessata ad acquistare anche Il Sole 24 Ore, a oggi proprietà di Confindustria. Per farlo, è necessario restare sotto la soglia del 20% delle copie vendute, motivo per il quale bisognerebbe disfarsi dei piccoli giornali pur di acquistare un altro colosso. E qui la domanda sorge spontanea: fin dove vogliono arrivare i rampolli piemontesi? Dopo essere entrati in possesso della stampa storica del nostro Paese, come pensano di far conciliare quest’ulteriore maxi operazione con l’idea di pluralismo e di varietà di voci che contraddistingue – o meglio, dovrebbe contraddistinguere – la carta stampata? Già in questi mesi abbiamo potuto costatare i risultati della nuova gestione, che davvero poco hanno a che vedere con la scelta di campo di cui parlò Scalfari nel primo numero del 1976.
E ancora: questa trattativa viene condotta senza tenere in alcun modo conto non solo della volontà ma neppure dell’opinione dei vari soggetti in discussione, non avendo avviato – stando alle loro parole – nessun tipo di confronto interno per coinvolgerli nel processo. Eppure, rimangono pur sempre giornali che svolgono una funzione fondamentale a livello locale e dei quali l’editore non può non tenere conto. Soprattutto, manifestando in modo palese la mancanza di rispetto verso la storia del quotidiano e l’operato di chi ci lavora ogni giorno.
Chi tifa Juve ha sempre sentito parlare dello stile della sua squadra, che – almeno per chi scrive – è composto dalla passione e dalla grinta che gli undici in campo impiegano in ogni partita, fino alla fine. Queste caratteristiche, però, non coincidono con la carenza di eleganza adottata da tempo dai patron del team torinese. Già il licenziamento di Verdelli – avvenuto nello stesso giorno che qualcuno aveva indicato su Wikipedia come data della sua morte – a suo tempo ci aveva lasciato piuttosto sconcertati. Stessa reazione quando, in piena pandemia, FCA – avente sede legale ad Amsterdam e sede fiscale a Londra – ha ottenuto un prestito di 6.3 miliardi tramite il pacchetto Garanzia Italia, destinato alle imprese in difficoltà a causa del virus.
Ora, con quest’ultima perla, gli Agnelli-Elkann confermano ancora una volta di essere disposti a sacrificare dialogo e buone maniere pur di primeggiare, ingrandendosi sempre di più. Una mossa che probabilmente li arricchirà, da furbi imprenditori, ma che di certo non farà di loro dei buoni editori. Per giunta, senza stile.