Oggi che festeggiamo il 70esimo compleanno dei Peanuts, cari lettori, finalmente possiamo confessare di amare ancora, e per sempre, Charlie Brown, in un tempo dominato da eroi e supereroi dotati di poteri speciali con i quali combattono i cattivi che vogliono puntualmente distruggere città o addirittura l’intero pianeta. Bella forza vincere sui malvagi e la violenza del mondo quando si hanno muscoli d’acciaio o fantastici superpoteri! Noi preferiamo l’umana, troppo umana gracilità e il senso di inadeguatezza di Charlie Brown e i goffi tentativi di essere “normale” di un bambino che non sa competere nella società della performance e della competizione in tutti i campi della vita sociale.
Il fumetto Peanuts, realizzato da Charles M. Schulz a strisce giornaliere e tavole domenicali, fu pubblicato negli USA per la prima volta il 2 ottobre del 1950 su giornali come il Washington Post e il Chicago Tribune e poi ininterrottamente fino al 13 febbraio 2000, il giorno seguente la morte dell’autore, a 77 anni d’età. L’appuntamento quotidiano divenne presto famoso in tutto il mondo, fu tradotto in venti lingue, comparve in più di settanta paesi e in oltre 2500 giornali e riviste.
In Italia, Peanuts arriverà soltanto nel 1963, pubblicato in volumi dalla Milano Libri di Giovanni Gandini, che poi dall’aprile del 1965 farà uscire la rivista Linus, che avrà un notevole successo di pubblico e di critica artistica e letteraria. Intellettuali come Umberto Eco, per esempio, da tempo riflettevano sulla rigida contrapposizione tra cultura alta, vale a dire la poesia, l’arte e la narrativa o la saggistica e quella bassa dei prodotti della cultura popolare e di massa, che riguardava la produzione della tv, del cinema, il romanzo popolare e il fumetto.
I personaggi dei Peanuts sono conosciuti da tutti e, nonostante Charlie Brown sia il più noto, anche gli altri della famosa compagnia non sono per niente minori. Come Linus, il suo grande amico, ansioso e intellettualmente preparato, e Lucy, sorella di Linus, bambina bisbetica, che tende a invadere costantemente il campo d’azione degli altri due. Tranne quando diventa romantica e si dedica vanamente a imbastire dialoghi con Schroeder, un bambino pianista amante di Beethoven. Quanto detto vale anche per Piperita Patty, una bambina super sportiva e iperattiva, tranne che a scuola, innamorata di Charlie, da lei chiamato Ciccio. Infine, c’è Snoopy, il bracchetto che indossa gli occhiali da sole e diventa Joe Falchetto, per trasformarsi poi nell’Asso della Prima Guerra Mondiale, sfidante del mitico Barone Rosso.
Charles M. Schulz è considerato, insomma, il papà dei Peanuts, un termine imposto dagli editori che lui odiava e che si può tradurre con noccioline, un modo corrente di indicare i bambini. L’autore disegnava senza l’aiuto di collaboratori, una vera e propria sfida artistica e personale: un’impresa terribilmente seria, come diceva a chi gliene domandava la ragione. La motivazione, forse, consisteva nel tentativo di salvaguardare l’essenza dei personaggi e l’ambiente psicologico e sociale che caratterizzava l’originalità delle storie e dei dialoghi talvolta aforistici. L’ambientazione fisica, invece, consisteva in un’anonima cittadina americana, formata da case con giardino e una scuola elementare.
Di certo, l’inadeguatezza esistenziale di Charlie Brown non è quella disperata – e di salingeriana memoria – che caratterizzerà il rifiuto o anche la rivolta intellettuale e morale, presente nella letteratura e nell’arte americana tra le due guerre e soprattutto dal secondo dopoguerra del Novecento, contro la società capitalista e consumista e l’americanizzazione della vita sociale che diventerà un dominio planetario.
Il modello del benessere materiale e del malessere esistenziale, in effetti, è anche lo sfondo non disegnato da Schulz ma ben presente nel retrogusto amaro del suo sguardo ironico, rappresentato in più di 17mila strisce del suo universo a fumetti. L’umorismo sottotraccia del creatore di Peanuts può essere visto come una malinconica critica sociale e interpretato come resistenza alla mediocrità, alla volgarità e all’implicita violenza dell’american way of life che andava, intanto, alla conquista del mondo.
Il bambino Charlie Brown è un loser, invece, e non ha mai vinto nulla. Neanche una partita di baseball che pure continua a giocare. Il nostro antieroe non può, non sa, ma neanche vuole adeguarsi alla vittoria dei bulli del suo tempo e dell’arroganza dei potenti assunta a modello da imitare. E noi continueremo ad amarlo così com’è: uno che perde sempre ma continua a giocare, fino alla fine.
Buon compleanno, Charlie Brown!