La scuola dal Quarto Quaderno
La scuola […] dovrebbe proporsi di immettere nella vita attiva i giovani con una certa autonomia intellettuale, cioè un certo grado di capacità alla creazione intellettuale e pratica, di orientamento indipendente.
Mai stati così lontani da questa definizione, anzi: la scuola attuale, tra differenze tra Nord e Sud, distanze tra centri e periferie, fragilità di risorse, non è mai stata così divisiva e inconsistente. Giovani che, nonostante la frequentazione a quella che definiamo scuola, non riescono a leggere e codificare un semplice testo in italiano, come dimostrano recenti ricerche, perdendo, in un solo colpo, quella capacità di adattamento e apprendimento degli antichi saperi e ogni confidenza verso la stessa lingua “letteraria” italiana. Una specie di analfabetismo alfabetizzato che diventa incomprensibile e rabbioso.
Non più dialetti, perché spappolati da gerghi privi di poesia e grammatica spontanea ma, neanche, una lingua unitaria, perché negata a chi non la apprende direttamente tra le mura domestiche. Un classismo bieco che, basta leggere le cronache, produce violenza e degrado. Stupirsi davanti a tanta demenziale brutalità dei ragazzi è da stupidi: una società che non educa, non insegna, non include è naturale che produca solo morte celebrale e cupo bullismo. Del resto, basta prendere un autobus in orario scolastico per capire che la prima priorità di un Paese civile è la scuola, mentre nel cupo declino dell’Italia dei banchieri le priorità sono i loro stipendi triplicati, le armi, le sovvenzioni ad amici e parenti e il perdurare all’infinito se stessi.
In una serie di famiglie specialmente delle classi intellettuali, i ragazzi trovano una continuazione e una integrazione della vita scolastica, apprendono come si dice nell’aria tutta una quantità di nozioni e di attitudini che facilitano la carriera scolastica propriamente detta; inoltre essi cominciano ad apprendere qualche anno prima dell’inizio delle elementari la lingua letteraria, cioè un mezzo di espressione e di pensiero superiore a quello della media della popolazione scolastica tra i sei e i dieci anni.
Questa distanza va aumentando e non diminuendo durante la formazione e stabilisce aprioristicamente i gradi di potenziale apprendimento dell’intera popolazione, creando nei fatti una difficoltà, se non impossibilità, all’evoluzione piena e libera dell’individuo: si arriva ad apprendere, più o meno, quello che il contesto familiare può apprendere e la scuola diventa un inutile parcheggio prima della mattanza del mondo del lavoro. L’attenzione di Gramsci alla scuola richiederebbe interi volumi di riflessione e ogni sintesi denota superficialità, però alcune considerazioni universali si possono fare.
L’asilo: l’importanza di creare i presupposti educativi a una carriera scolastica libera e piena. I bambini, di cui Gramsci era perdutamente innamorato, sono spugne e, attraverso una presenza scolastica continua apprendono velocemente codici e comportamenti diversi dalle famiglie di provenienza. Un’educazione che partendo dalla primissima infanzia indebolisce quadri familiari di povertà intellettuale o economica.
Gli insegnanti: il corpo degli insegnanti specialmente crescerebbe di molto, perché la efficienza della scuola è tanto maggiore e rapida quanto più è piccolo il rapporto tra allievi e maestri. È chiaro che l’idea della formazione in Gramsci assume i contorni di una scuola-collegio, con dormitori, refettori, biblioteche specializzate, sale adatte per il lavoro di seminario ecc. Le stesse risorse per l’edilizia scolastica, le attrezzature didattiche e non, hanno una voce consistente in un bilancio statale: dove non è il PIL a dettare agende politiche, ma l’evoluzione e l’educazione dei nostri giovani ad assurgere a scopo primario della politica.
La didattica: liberata dalle attuali forme di disciplina ipocrita e meccanica e con l’assistenza agli allievi non solo in classe, ma anche nelle ore di studio individuale, […] tende a creare i valori fondamentali dell’umanesimo, autodisciplina intellettuale, l’autonomia morale necessarie per un’ulteriore specializzazione, sia che essa sia di carattere intellettuale (studi universitari) sia che sia di carattere immediatamente pratico-produttivo.
Viene quasi da piangere a pensare alla devastazione della scuola italiana, viene voglia di vomitare bile e demagogia. Così meglio arrendersi alle meravigliose parole di Antonio Gramsci e tatuarsele sul cuore, come mete da raggiungere, da tentare di raggiungere.
Così scuola creativa non significa scuola di inventori e scopritori di fatti e argomenti originali in senso assoluto, ma scuola in cui la ricezione avviene per uno sforzo spontaneo e autonomo dell’allievo e in cui il maestro esercita specialmente una funzione di controllo e di guida amichevole.
Scoprire da se stessi, senza suggerimenti e impulsi esterni, una verità è creazione, anche se la verità è vecchia: in ogni modo si entra nella fase intellettuale in cui si possono scoprire verità nuove, poiché da se stessi si è raggiunta la conoscenza, si è scoperta una verità vecchia.
Contributo a cura di Luca Musella