Vi ricordate quando Luigi Di Maio, affacciandosi dal balcone di Palazzo Chigi, esultava per lo stanziamento dei fondi per il reddito di cittadinanza? Dichiarava, allora, di aver abolito la povertà: da quel momento, molte cose sono cambiate, ma ciò che è certo è che la povertà non solo non è stata abolita, ma i poveri – complice la pandemia – sono aumentati a dismisura.
In base agli ultimi dati diffusi dall’ISTAT, la soglia di povertà raggiunta nel 2021 riconferma sostanzialmente i massimi storici toccati nell’anno della pandemia, in cui quasi due milioni di famiglie e quasi sei milioni di individui si sono collocati al di sotto della soglia di povertà. Dunque, nonostante l’aumento dei consumi, la forbice tra i pochi che detengono tutta la ricchezza in Italia, così come nel mondo, e i tantissimi in difficoltà economiche si è allargata sempre di più. Anzi, l’emergenza sanitaria ci ha tristemente dimostrato che i più ricchi hanno addirittura beneficiato di tale crisi (esempio emblematico è quello del vaccino, rimasto un vero e proprio miraggio nei Paesi con maggiori difficoltà economiche).
Abbiamo più volte sottolineato l’insufficienza delle misure rivolte alle fasce più povere della popolazione in questi anni, ma al di là di interventi emergenziali nessuno sembra essersi posto come obiettivo degli investimenti strutturali che agiscano sulle cause più profonde di una simile crisi. Anzi, a ben vedere, in questi ultimi giorni di campagna elettorale, come oramai da mesi, le uniche parole rivolte a chi è in difficoltà sono quelle di biasimo se è percettore di un sussidio e in particolare del reddito di cittadinanza, diventato fulcro di tutti i problemi della società italiana. Quello stesso strumento per cui, sole poche righe fa, raccontavamo gioviali festeggiamenti.
Ma in una tale vergognosa lotta tra poveri, quale sarebbe la colpa dei beneficiari? Quella di non produrre, semplice. Hanno però la fortuna di essere diventati il miglior capro espiatorio possibile per i nostri rappresentanti politici, che saltellano da una proposta di abolizione a una di modifica per renderlo più efficace. Come se non gli bastasse, per essere efficace, soccorrere migliaia di famiglie che, diversamente, in questi anni, avrebbero avuto poco o nulla da portare sulle loro tavole.
Disincentiva il lavoro, si legge un po’ dappertutto: sì, forse disincentiva il lavoro schiavista e sottopagato, ma ne dovrebbero essere contenti quegli stessi politici che si dicono al fianco dei lavoratori – salvo poi prediligere nei propri programmi elettorali misure tutte a vantaggio degli imprenditori (perché sono coloro che creano lavoro, come dei veri benefattori)?
Ho fatto un semplice esperimento: ho provato a cercare le parole povertà e poveri nell’accordo siglato dalla coalizione di centrodestra in vista delle prossime elezioni. Zero risultati, come se non esistessero o, meglio, come se non ci piacesse vederli. Alla parola sostegno mi illudo di trovare qualcosa: innanzitutto gli aiuti rivolti all’Ucraina, militari si intende. Poi il sostegno alla natalità e alla famiglia, quest’ultima esclusivamente tradizionale. Ancora, sostegno agli imprenditori e alle aziende. Ma ecco: sostegno ai bisognosi. E, sotto questa voce, pochissime e vaghe informazioni, nonché l’immancabile e scontato passaggio sulla trasformazione del reddito di cittadinanza in un reale strumento di inclusione sociale.
Nessun riferimento alla povertà, ai poveri e alle disuguaglianze neppure nei programmi di coloro che si definiscono di sinistra e che fanno capo al PD. Del resto, le politiche sulla sicurezza confermano l’indifferenza per la marginalità e i marginali: l’importante sembra essere non vedere i poveri e mantenere il decoro.
Un serio seppur ambizioso programma sul tema, invece, è quello di Unione Popolare, il partito capeggiato dall’ex Sindaco di Napoli Luigi de Magistris, che si propone come un movimento che ha tra gli obiettivi principali la riduzione delle disuguaglianze sociali e un’attenzione particolare alle fasce più deboli e marginalizzate della popolazione, dimenticate da tutti gli attuali rappresentanti politici che non fanno altro che riempirsi la bocca di diritti, quando è chiaro non sappiano neppure di cosa parlano. Solo incentivare una cultura di diritti consente di costruire una società più equa e giusta, ma evidentemente non è ciò che vogliono, perché diversamente non riuscirebbero a crogiolarsi nei loro privilegi ancora a lungo.
Probabilmente ciò che manca è una seria e consapevole presa di coscienza da chi queste fila affollate di poveri le abita. Non ci illudiamo sia cosa semplice, se si è stati abituati così a lungo a rimanere nell’ombra e a vergognarsi perché si ha bisogno del sostegno di uno Stato che in realtà sta solo facendo il suo dovere. Se si è abituati a pensare che si è utili alla società solo se si produce, solo se si corre alla stessa velocità di tutti gli altri, solo se si desiderano le cose che desiderano tutti gli altri. Un passo non semplice, non breve, non scontato, ma assolutamente necessario. Chi ha consapevolezza, ha potere.