Il governo dei migliori. Ce l’ha venduto così la stampa improvvisamente sintonizzata su un solo canale, tutta nell’unica direzione dell’uomo che is the best, the best the best – per dare i crediti al responsabile della svolta governativa –, in una comunione di pensiero e giudizio che manco il neonato governo ha ancora dimostrato di avere. Ma la squadra dei Ministri selezionati da Mario Draghi è davvero quanto di meglio l’Italia di tecnici, politici, allenatori, poeti, santi e navigatori ha da offrire?
Destra, sinistra, su, giù, centro / Fine del Mondo con palle in giramento. Era il 1994 quando Luciano Ligabue fotografava la politica del nostro Paese chiedendosi – in un canto che sapeva di liberazione – a che ora è la fine del mondo?. Ai merdaioli consigliava di finirsi la merce e, invece, di quella merce lì ce n’è sempre in abbondanza. E di merdaioli pure.
Le liste del Giudizio Universale (A reti unificate / sulla pagina 666), dettate da Piazza Affari e Confindustria, hanno svelato i nomi di cui tutti parlano ormai da giorni. Il trio schierato da Berlusconi ha – per ovvi motivi – rubato la scena, eppure concentrare l’attenzione soltanto sulle riesumazioni di Brunetta, Gelmini e Carfagna significa stare al gioco attrezzato dall’ex Cavaliere (con la complicità di Renzi e Lega) e distrarsi rispetto alla trazione liberal-destro-nordista del nuovo governo.
Perché se è vero che la Ministra per il Sud, Mara Carfagna, si è già preoccupata di far conoscere la propria posizione contro le misure assistenziali per la sua gente, come il reddito di cittadinanza (che a nostro avviso va rivisto, non cancellato), è altrettanto importante accendere i riflettori sulle poltrone che determineranno la strada che il Paese prenderà circa i temi relativi al Recovery Fund e che non sembrano essere state affidate a mani più inclini all’economia sociale, tutt’altro.
Tra tutti i Ministri, quello a cui Draghi ha assegnato la Transizione Ecologica e, dunque l’ufficio che gestirà la fetta più cospicua dei fondi europei per la ripartenza, desta le principali perplessità delle forze sociali del Paese, ormai palesemente rimaste orfane di qualche rappresentante in Parlamento. Simbolo del flop dei 5 Stelle – che ne hanno preteso l’attuazione durante le consultazioni con Draghi, per poi vederlo assegnare a un uomo vicino a Renzi – il neonato organo che unisce innovazione e ambiente è nelle mani di Roberto Cingolani, esperto di nanotecnologie e già direttore del dipartimento di tecnologia dell’azienda Leonardo di Finmeccanica, leader nella produzione ed esportazione di armamenti, non certo un imprenditore dal rinomato pollice verde.
Un tecnico non nuovo agli affari della politica, date le sue partecipazioni alla Leopolda di Renzi e ai meeting di Comunione e Liberazione, che è stato, fino al 2019, Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, un organismo privato che – come Potere al Popolo denuncia dal proprio sito – ha ricevuto circa 100 milioni all’anno di finanziamenti statali, le cui attività sono portate avanti da ricercatori precari nell’80% dei casi. Il CV di Cingolani non è proprio la miglior garanzia di competenza rispetto alle delicate tematiche a cui è stato affidato, tuttavia, non diamo neppure per assoluta l’idea che non possa esserlo.
Ciò che non gioca a favore della squadra dei Ministri del nuovo esecutivo è la totale assenza di dichiarazioni e progettualità rispetto alle manovre che intenderanno mettere in campo. In un Paese in cui il ruolo del gas metano nella produzione energetica è ancora assolutamente centrale, e grandi opere come gasdotti e trivelle sono state recentemente potenziate e persino scortate dallo Stato, il passato di Cingolani non consente di accordargli l’incondizionata fiducia che, invece, l’opinione pubblica si è già preoccupata di elargire oltre ogni misura condizionale verso la Draghi & co.
E se la politica è espressione della volontà popolare, beh, non si può dire che il Premier ne abbia tenuto conto quando ha pensato di tenere aperto il ponte con i rappresentanti del governo appena sfiduciato, dimostratosi non all’altezza della gestione della crisi sanitaria ed economica legata alla pandemia e fortemente deficitario per ciò che riguarda le tutele alla popolazione nella campagna vaccinale, una netta espressione di servilismo politico di cui ognuno avrebbe fatto volentieri a meno. La conferma del redivivo Dario Franceschini, tra i Ministri selezionati tra le forze politiche, è la peggiore delle notizie per tanti addetti ai lavori, scontenti della sua gestione dei musei quanto dei teatri, unici veri martiri delle misure anti-COVID degli ultimi mesi.
In questa analisi, merita una parentesi il Ministero per le Disabilità dato in custodia a Erika Stefani, della Lega Nord, che ricordiamo per la celebre foto in aula con il cartello NO IUS SOLI sbandierato in favore di fotocamera. Come ben ha fatto notare il consigliere toscano del PD, Iacopo Melio, come può una persona abituata a negare diritti, dalla cittadinanza italiana ai ragazzi nati e cresciuti sul suolo nazionale, all’aborto, decidendo così per il corpo di milioni di donne, essere sensibile nei riguardi di una categoria che – giustamente – si vede discriminata proprio dalla stessa istituzione dell’ufficio a lei dato in carico?
In linea con il recente passato, la squadra dei Ministri del governo Draghi è priva di qualsivoglia rappresentanza di voci dai territori, dalle forze sociali lontane dalle logiche di Piazza Affari e mercati, e l’unica opposizione è rappresentata da un’estrema destra che, invece, sposa gran parte degli obiettivi del nuovo esecutivo.
Serial killers, serial politici / Morti in diretta, i migliori casi clinici, cantava il Liga. Sono passati trent’anni e i sicari armati della politica sono sempre lì, sempre gli stessi, anche i morti in diretta non cambiano, cambia solo il motivo per cui li piangiamo. A che ora è la fine del mondo?