Il 2023 si è chiuso con le parole di Elon Musk che, dal palco di Atreju, in occasione della festa di Fratelli d’Italia, si è dichiarato preoccupato per il tasso della natalità nel nostro Paese, che a quanto sottolineano i dati ISTAT è ancora in costante calo. L’imprenditore sudafricano, inoltre, ha aggiunto, quasi fosse una minaccia, che l’Italia non è un posto favorevole in cui fare investimenti: è difficile aprire un’azienda nello Stivale se nei prossimi anni la forza lavoro sarà pressoché inesistente.
Sarebbe anche un discorso economicamente interessante e lo è proprio per la struttura economica che sorregge il modello occidentale ma, nel complesso delle leggi che (non) sono state fatte per migliorare il mondo del lavoro e nel contesto più ampio della festa di Fratelli d’Italia, quella di Elon Musk mi pare un’argomentazione abbastanza sterile e strettamente collegata alla linea generale che sta portando avanti la destra italiana.
Il 2024, infatti, si apre con le parole della Presidente Giorgia Meloni che, in conferenza stampa, dichiara di essere una delle donne più affermate del Paese ma che se qualcuna o qualcuno dovesse chiederle di scegliere tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e sua figlia, lei sceglierebbe sempre la seconda, perché – cito – la maternità regala qualcosa che niente altro al mondo può regalare. Inoltre, un traguardo (come quello della maternità) non può togliere l’opportunità di un altro (come un obiettivo di carriera).
Lungi dal commentare le sue affermazioni retoriche, colpevolizzanti, maschiliste e basate sul falso mito dell’essere madre, ciò che rileva è che siamo bombardate da un’unica richiesta, che suona come una supplica e che – per mezzo delle parole uscite dalla bocca della donna più potente d’Italia – rimbombano quasi come un monito a cui anelare: fate figli, voi donne siete al mondo per questo e il nostro governo vi supporterà in tutto e per tutto (falso, tra l’altro).
Proprio in contrapposizione a questo inno alla natalità e per contrastare l’urlo alla bellezza della maternità come unico obiettivo della nostra vita che sentiamo rincorrerci come un’eco, ho voluto fare una fotografia dello status quo dei diritti riproduttivi in Italia.
Non tutte le donne hanno il desiderio della maternità, non tutte lo considerano un obiettivo di vita (figurarsi sceglierlo come primario); non tutte hanno la capacità riproduttiva e, infine, moltissime non vogliono contribuire, con il proprio utero, alla moltiplicazione della prole destinata ad alimentare la forza lavoro di un mondo iper consumista e iper capitalista. Per tutte loro e per queste persone che scelgono di non avere figli, devono essere garantiti i diritti riproduttivi, il diritto all’aborto e la libertà della scelta di non procreare. Questa possibilità, che in Italia si è tentato di garantire con l’introduzione della Legge 22 maggio 1978 n. 194, sembra sempre meno assicurata.
La linea politica vigente, la storia culturale del nostro Paese, i retaggi cattolici, la capillarità di un movimento come quello dei Pro Vita & Famiglia, la struttura della Legge 194 stessa, stanno mettendo a repentaglio uno dei diritti principali delle donne, che è quello di abortire e di scegliere liberamente di farlo. Per tale motivo, ho fatto due chiacchiere con Vittoria del progetto Libera di abortire (@liberadiabortire su Instagram), a cui ho chiesto a fine 2023 una fotografia dello stato delle cose in Italia.
Vittoria, insieme a Obiezione Respinta, IGV ho abortito e sto benissimo e tanti altri progetti, associazioni e persone, da tempo porta avanti un grande lavoro di testimonianza sull’aborto, di consapevolezza su questo fondamentale diritto e soprattutto ha creato, con loro, un fronte di lotta e di contrapposizione alle politiche attualmente vigenti in Italia che, come scritto sopra, sono direzionate a unico obiettivo: quello di edulcorare la maternità, di innalzare il tasso di natalità e rendere l’aborto stesso un atto criminoso.
Vittoria ci racconta che il 2023 si è chiuso con delle notizie e dei dati molto preoccupanti. Innanzitutto, il Popolo della Famiglia sta portando avanti una raccolta firme per una proposta di legge sul diritto alla vita che mira a ottenere il riconoscimento e l’attribuzione di personalità giuridica al feto che renderebbe praticamente illegale l’aborto. Inoltre, sono state raccolte più di 106mila firme a favore di una proposta di legge di iniziativa popolare chiamata Un cuore che batte sostenuta da una rete di 15 associazioni anti-scelta (tra cui Movimento per la Vita, Orat e Laborat in Difesa per la Vita, Pro Vita & Famiglia, etc) per emendare la Legge 194 e inserire l’obbligatorietà dell’ascolto del battito cardiaco del feto come condizione per abortire. La proposta è stata depositata alla Camera dei Deputati e si attende ora la calendarizzazione, considerato anche il tema caldo per la politica dominante in Italia.
Questa iniziativa di legge, supportata da tantissime istituzioni locali, fa molta rabbia perché tutta la comunicazione è stata basata sulla finta retorica di garantire una maggiore consapevolezza alla donna rispetto all’interruzione volontaria di gravidanza, ma sappiamo benissimo che si tratta, ancora una volta, di istituzionalizzare una forma di violenza medica e psicologica. In più, la proposta di ascoltare il battito del feto si basa su una profonda disinformazione: infatti, nella fase iniziale della gravidanza – ovvero quando si verifica la maggior parte degli aborti – i feti non hanno ancora un cuore funzionante ma sono solo dei gruppi di cellule che inviano segnali elettrici. Quindi, quello che si farebbe ascoltare alla donna o alla persona con utero non sarebbe un reale battito cardiaco, ma un suono riprodotto dal monitor per rappresentare gli impulsi elettrici. Far ascoltare questo suono ha un solo obiettivo: traumatizzare la persona gestante e indurla a non abortire.
Tutte le realtà e le associazioni che si occupano di diritti riproduttivi in Italia hanno portato avanti una contronarrazione attraverso le testimonianze di tantissime donne che hanno già subito questo tipo di violenza: a oggi infatti molte strutture e ospedali in Italia costringono la persona gestante all’ascolto del battito cardiaco come pre-condizione per ottenere il certificato e poi interrompere la gravidanza; lo scopo pertanto è quello di codificare un atteggiamento già in essere e assestare un colpo definitivo alla Legge 194.
Sappiamo benissimo quanto la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza sia stata un compromesso storico ed è quindi una legge insufficiente, che si presta molto bene a essere attaccata. Ha sicuramente il grande merito di aver arginato la piaga delle pratiche clandestine di IVG ma non ha mai creato un vero e proprio diritto all’aborto.
Vittoria cita alcuni passaggi della 194, come la settimana di riflessione, la possibilità per il personale anti-scelta di entrare e lavorare nei consultori, l’impostazione della legge stessa in cui si dichiara sin da subito che l’Italia tutela la vita sin dal concepimento – non si parla infatti di una legge sull’aborto ma di una norma sulla maternità consapevole. Tutto questo apparato ha fatto sì che in quarantacinque anni l’aborto si tramutasse nei fatti in un percorso a ostacoli e a inizio 2024 le prospettive non sembrano rosee. Sappiamo bene infatti che non bisogna tutelare la Legge 194, ma superarla.
Le associazioni e le persone attiviste per i diritti riproduttivi hanno contrattaccato con una proposta di legge su iniziativa popolare per chiedere l’affermazione del diritto di scelta e autodeterminazione, per far sì che la libertà riproduttiva non incontri più ostacoli morali e amministrativi e possa essere accessibile per chiunque decida di interrompere una gravidanza. Si è cercato anche di introdurre un cambiamento del linguaggio, dismettendo l’uso della parola “donna” e introducendo la locuzione “persona gestante” con l’obiettivo di raccontare che superare la Legge 194 non significa solo eliminare l’obiezione di coscienza, la settimana di riflessione, ma anche proporre l’idea di un diritto all’aborto contemporaneo, che può riguardare diverse identità, anche quelle non binarie e delle persone trasgender, senza escluderle da un linguaggio normativo che andrebbe a codificare per loro una situazione di impotenza.
Questa proposta non ha raggiunto il numero di firme necessario per la sua continuazione in Parlamento, a causa anche delle grandi difficoltà comunicative, culturali e legate alla mancanza di una struttura capillare come quella dei Pro Vita & Famiglia. I movimenti per i diritti riproduttivi, però, non si fermeranno. A fine 2023 si è mobilitato un intergruppo parlamentare, moltissime associazioni e persone sono sempre più sensibilizzate sul tema del diritto all’aborto, il racconto continuo delle testimonianze continuerà e sarà necessario combattere in modo strutturato e compatto, anche in vista dei prossimi appuntamenti elettorali degli Stati Uniti e di molti Paesi europei che hanno senz’altro al loro centro il futuro dell’interruzione volontaria di gravidanza.
Il 2024 è appena iniziato. Vittoria, insieme alle altre reti di associazioni e progetti, dichiara che è pronta a lottare, in modo ancora più intenso. Il nostro compito è schierarci, a favore della libertà personale, dei diritti delle donne, del diritto all’aborto, del diritto a non sottoporsi a una violenza medica istituzionalizzata.
Buona lotta a tutte e tutti.
Contributo a cura di Clara Marziali