Falliscono, ogni anno. Eppure, ogni anno, ci riproviamo. I buoni propositi sono quella lista di attività, obiettivi e idee che ci promettiamo di perseguire nei prossimi dodici mesi. Quando si avvicina Capodanno, infatti, abbiamo sempre la sensazione che si tratti di un nuovo inizio, della giusta occasione per dare una svolta alla nostra vita. E, puntualmente, tutto ciò che inseriamo nella lista fallisce perché la maggior parte degli obiettivi che ci poniamo è troppo: troppo grande, troppo esigente, troppo tutto insieme.
Ci aspettiamo un cambiamento che, dall’oggi al domani, non può avvenire e che richiede un lungo percorso di trasformazione. Per dimagrire non basta iscriversi in palestra, per avere successo non basta promettersi di rimboccarsi le maniche. Se, però, la maggior parte dei soliti obiettivi riguarda la vita personale, quest’anno voglio fare un esercizio creativo, provando a pormi solo buoni propositi sociali, progetti che riguardano il bene comune, una lista di azioni realistiche che permettano agli individui di avere realmente il potere di cambiare le cose.
La maggior parte di ciò che proprio non va nel nostro mondo non dipende da noi. Molte delle decisioni, delle azioni che possono impattare sullo status quo, appartengono a chi sceglie per noi. Eppure, non è solo attraverso il voto che si possono influenzare le leggi: l’opinione pubblica orienta costantemente l’operato delle istituzioni, non solo con prese di posizione ma anche, semplicemente, con i comportamenti, con le scelte quotidiane.
Il primo punto della nostra lista di buoni propositi sociali è l’ambiente. Abbiamo recentemente illustrato la disastrosa situazione climatica che si è creata nel corso dell’anno e il bilancio del 2022 è piuttosto spaventoso. Gli obiettivi di riduzione delle emissioni che sono stati stabiliti per evitare un aumento esponenziale del riscaldamento globale stanno fallendo. Si registrano dei cali, ma non sono abbastanza e l’impegno degli Stati, soprattutto di quelli industrializzati – e, dunque, più inquinanti –, non è incisivo quanto dovrebbe.
È vero che una buona parte delle soluzioni appartiene a chi legifera, a chi potrebbe costruire le infrastrutture per garantire energia pulita, a chi potrebbe piantare più alberi, offrire servizi efficienti e meno dannosi o a chi potrebbe rendere più stringenti le leggi relative alle emissioni. Ma sono tante anche le azioni che i singoli individui possono fare. Non si parla di spegnere le luci quando si esce da una stanza o di non lasciare in stand-by gli elettrodomestici. Non si tratta di fare qualche sacrificio limitando al minimo l’utilizzo di riscaldamenti e di aria condizionata, ma di operare scelte di vita e comportamenti di acquisto che diano un reale segnale di cambiamento.
Il più importante dei buoni propositi sociali per l’ambiente riguarda le scelte alimentari. Non tutti sono pronti a eliminare i prodotti di origine animale dalla propria dieta e, proprio come dicevamo, non è utile porsi obiettivi troppo difficili che poi si finisce per non rispettare. Una buona idea è, allora, tentare di ridurne il consumo il più possibile, non eliminandoli del tutto ma concedendoseli ogni tanto. L’allevamento è infatti una delle catene produttive più inquinanti, che consuma grandissime quantità d’acqua per ottenere pochi grammi di carne e che impiega molti prodotti agricoli per il mangime degli animali. Una buona idea è anche distinguere tra i prodotti più inquinanti e quelli più sostenibili, tentando di ridurre al minimo il consumo di carne bovina, per esempio, e preferendo la carne bianca.
Il secondo dei buoni propositi sociali dedicati all’ambiente riguarda proprio il nostro comportamento come consumatori. Informarci in merito ai prodotti e ai servizi che acquistiamo, sulla sostenibilità della loro produzione e orientare le nostre scelte in base a questo. In effetti, viviamo in un mondo capitalista, in cui sono le logiche di mercato a comandare, a influenzare le politiche e le scelte comuni. Per questo, i comportamenti d’acquisto, che a loro volta orientano il mercato, rappresentano il reale potere di ogni individuo, che con le proprie scelte può influenzare ciò che accade nel mondo molto più di quanto crede.
Anche per la questione relativa ai diritti dei lavoratori, i comportamenti d’acquisto possono fare la differenza. Se in Italia lo sfruttamento, il lavoro irregolare, la scarsa sicurezza e la rara tutela contrattuale sono la norma per moltissime persone, scegliere i prodotti e i servizi di aziende o anche piccole attività che invece tutelano i lavoratori è fondamentale. Porci qualche domanda, anche: chiedersi perché un prodotto costa meno di quanto ci aspetteremmo, comprendere se la sua produzione dipenda dallo sfruttamento dei lavoratori e sceglierne un altro – ovviamente all’interno delle proprie possibilità: può sembrare una scelta banale, ma se i comportamenti d’acquisto influenzano l’offerta, il mercato finirà per adeguarsi e anche i datori di lavoro più spietati si adegueranno alle condizioni che i consumatori esigono per non perdere clienti.
Fin qui, abbiamo analizzato azioni concrete da mettere in pratica nella vita quotidiana per cercare di migliorare, nel nostro piccolo, il mondo per tutti. Esiste però un’altra serie di azioni utili alle questioni sociali che, per quanto apparentemente più semplici, sono in realtà più difficili da compiere. Si tratta di azioni più che altro mentali, si tratta di esporsi, di prendere posizione, di porsi domande e mettere in discussione le certezze spesso basate su stigma e stereotipi a cui tutti siamo soggetti. Sono le azioni più difficili, ma forse anche le più efficaci.
La questione di genere è, per esempio, uno dei più grandi problemi della nostra società. La parità, infatti, è ancora lontana a causa di tanti fattori: quelli culturali, che ancora attribuiscono alle donne la responsabilità del lavoro di cura e alimentano il sistema di potere che causa le violenze; e quelli strutturali, che rendono le donne e il loro inevitabile ruolo di madri delle lavoratrici indesiderate e, dunque, persone economicamente non indipendenti.
Anche i singoli individui, da soli e tutti insieme, possono cambiare le cose, con un attivismo quotidiano che, se portato avanti con convinzione, può fare la differenza. Prendere posizione nel quotidiano, combattere i comportamenti tossici, figli di una mentalità patriarcale, provare a capire cosa si nasconde dietro le discriminazioni sono azioni potenti, soprattutto se fatte da tante persone. Questo aspetto non riguarda solo la questione di genere, ma anche gli altri tipi di discriminazione in cui ci imbattiamo. Anche in questi casi, gli interventi necessari sono culturali e strutturali.
Le persone disabili, per esempio, oltre a vivere uno stigma di cui la società fatica a liberarsi, in Italia, non hanno il diritto di viver, perché le barriere architettoniche rinchiudono in casa più di tre milioni di persone. Solo un terzo delle scuole garantisce l’accessibilità, per non parlare di stazioni e luoghi turistici, tutti elementi che, negati, impediscono l’inclusione sociale, non solo privando dei loro diritti le persone con disabilità, ma anche favorendo la creazione dello stigma.
La situazione non è diversa per altre tipologie di minoranze. I dati dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, per esempio, registra una media di 7 casi al giorno di discriminazione, di cui il 69% per motivi etnico-razziali. I dati Istat, invece, indicano che una persona appartenente alla comunità LGBTQIA+ su cinque ha subito violenze sul lavoro, che il 74% dei giovani ha subito almeno un episodio di bullismo omotransfobico e che il 50% ha avuto problemi in famiglia. E, allora, tra i buoni propositi sociali per il nuovo anno non può mancare la promessa di intervenire se si assiste a episodi di discriminazione, di far notare qualunque commento inconsapevolmente discriminatorio ai nostri interlocutori e di ascoltare le istanze delle minoranze di cui non facciamo parte.
Mostrare attenzione a certi temi non può non avere un peso, anche politico. Così, mantenere l’attenzione alta in modo costante è un altro dei buoni propositi sociali da porsi quest’anno. Finiamo per parlare di migranti solo quando i giornali ci mostrano qualche dato o le foto dell’ultimo barcone. Eppure, siamo consapevoli che ci sono naufragi ogni giorno, che le persone disperse in mare ci muoiono sempre, non solo quando i media ce lo ricordano.
Combattere lo stigma è l’azione più difficile tra quelle che possiamo fare. Ma è fondamentale per quelle categorie di persone ancora terribilmente marginalizzate. Si pensi al tema della salute mentale, che vive un costante aumento di casi sebbene non sia ancora garantita una tutela per chi non può permettersi cure private, ma sopravvive ancora a un grande stigma, che a sua volta allontana le persone dall’assistenza di cui avrebbero bisogno.
E si parla di stigma anche per la popolazione carceraria, che vive in pessime condizioni: è la categoria che maggiormente ricorre al suicidio, eppure una delle più difficili da riabilitare socialmente, che si porta la condanna cucita addosso. Anche in questo caso, un’azione quotidiana, imparare a mettere in discussione gli stereotipi che ognuno di noi ha dentro di sé, è l’azione più preziosa che possiamo fare.
Alle barriere strutturali di una società ancora imperfetta, si uniscono inevitabilmente quelle sociali e culturali. La maggior parte delle discriminazioni, della mancanza di diritti e anche delle difficoltà della politica a adeguarsi a un mondo moderno con esigenze molto più complesse della semplice sopravvivenza degli individui, dipende da problemi di tipo culturale. Ed è dunque solo attraverso azioni culturali che si possono influenzare le grandi decisioni. Sembrerà banale o inutile, ma se a intraprenderle sono tante persone ogni giorno, inevitabilmente faranno la differenza.
Dire ciò che pensiamo, evidenziare qualche inconsapevole atteggiamento discriminatorio, imporci di superare gli stigmi che noi stessi abbiamo interiorizzato, può davvero cambiare le cose. E, forse, il fatto che si tratti di buoni propositi piccoli e quotidiani, realmente accessibili a tutti, li renderà un po’ più realizzabili.