Sapete che gli Stati Uniti degli anni Settanta pullulavano di nazisti rifugiati? Non stupitevi perché è vero, anche se probabilmente non erano migliaia come viene romanzato nel serial. È questo l’inquietante assunto della trama di Hunters, nuova serie tv targata Amazon, disponibile in streaming dal 21 febbraio, che vede Al Pacino tra i suoi interpreti principali. Fu proprio il governo americano a offrire rifugio a molti scienziati nazisti per timore che finissero nelle mani dei sovietici. Clamoroso fu il caso di Wernher Von Braun – che incontreremo in un episodio –, lo scienziato e ingegnere tedesco che, con le sue ricerche missilistiche basate sulle bombe V2, permise all’Apollo 11 di decollare verso la luna. Come lui ce ne furono altri che la NASA mise sul proprio libro paga, il tutto facilitato dai servizi segreti americani che “sveltirono” le pratiche burocratiche per estradarli.
L’incipit del primo episodio è di notevole impatto: è il 1977, ci troviamo nel giardino di una ricca villetta mentre si svolge un tipico barbecue americano. Il mellifluo padrone di casa, Biff Simpson, è Sottosegretario di Stato. Colori sgargianti donano alla scena toni quasi favolistici. Arriva una coppia di ospiti, marito e moglie. Non appena vengono presentati al Sottosegretario, la donna, ebrea, inorridisce perché riconosce nel politico il macellaio, un feroce nazista colpevole di orrendi crimini. Dopo alcuni momenti di diplomatico diniego e minimizzazione, Simpson, come se nulla fosse, prende una pistola e fa fuori tutti, compresi la moglie e i figli. Questa scena fornisce già il tono e il registro narrativo che caratterizzerà buona parte della serie che si muove su un delicato equilibrio tra il grottesco, l’ironico, l’action e il drammatico, assestando, quando meno se lo aspetta, dei veri e propri pugni nello stomaco dello spettatore.
A introdurci e guidarci nel mondo dei cacciatori di nazisti che danno il titolo alla serie è Jonah – interpretato dal Logan Lerman della saga di Percy Jackson –, un rgazzo ebreo di 19 anni che vede la nonna, sua unica parente in vita, uccisa in casa propria da qualcuno che di primo acchito sembrerebbe entrato per una rapina. Fin dall’inizio è chiaro che le cose non sono così semplici e infatti, durante il funerale, Jonah verrà avvicinato da un enigmatico personaggio, Meyer Offerman – interpretato dal carismatico Al Pacino –, amico della nonna che, dopo alcune ritrosie, lo introdurrà nella colorita squadra di cacciatori di nazisti da lui messa in piedi per perseguire i criminali infiltrati nel tessuto della società americana. La missione di Offerman, però, non è consegnare le belve naziste alla giustizia, bensì eliminarli, spesso in modi creativi e cruenti, in una sorta di contrappasso rispetto ai crimini da loro commessi.
È qui che viene fuori il conflitto morale su cui si basa la vicenda: è giusto diventare belve per far fuori altre belve? Hunters non offre risposte né scorciatoie: sono i personaggi stessi e i loro comportamenti a porre lo spettatore davanti alla propria coscienza e a mettere eventualmente in crisi il suo senso di giustizia. A fungere da contraltare ai cacciatori c’è il personaggio di Millie Morris – l’intensa e brava Jerrika Hinton –, investigatrice dell’FBI che, per puro caso, finisce sulla pista dei nazisti e, conseguentemente, su quella dei cacciatori capeggiati da Offerman. La trama della serie prosegue dunque su questi due binari che vedono in parallelo l’indagine di Millie, la quale scaverà sempre più a fondo nelle magagne dei servizi segreti conniventi, e le missioni della squadra.
Il creatore della serie – prodotta tra l’altro dal Jordan Peele di Scappa Get Out (2016) – David Weil si è ispirato ai racconti della nonna che visse purtroppo l’esperienza dei campi di concentramento e che li riferiva al nipote come delle favole paurose. Come debito morale nei confronti della propria gente, Weil ha ideato e sceneggiato questa revenge story.
Ciò che colpisce in Hunters è la disinvoltura con cui si passa da toni molto grotteschi e sopra le righe, con alcune scene smaccatamente tarantiniane, a momenti decisamente più tragici come i flashback in cui vengono rievocati gli efferati delitti compiuti dai nazisti nei campi di concentramento. È su questi due piani dunque che oscilla la narrazione e anche l’apparato visivo della serie: dai coloratissimi anni Settanta, in cui lo showrunner David Weil ha inserito molti gustosi riferimenti pop, ai colori spenti e al tono drammatico delle scene ambientate ad Auschwitz. Si passa così, senza soluzione di continuità, da una presentazione fumettistica dei componenti della squadra in puro stile Suicide Squad (2016) – che a sua volta deriva da soluzioni tarantiniane che rimescolava elementi del cinema amati dal regista – a scene emotivamente molto forti, in stile Schindler’s list (1994). Non è un caso infatti che, nel quarto episodio, un flashback ambientato ad Auschwitz sia stato girato completamente in bianco e nero. Non solo, c’è anche un elemento della scena – non diciamo quale – colorato, proprio come il cappottino rosso del capolavoro di Spielberg.
Se le rievocazioni del campo di concentramento sono tragiche e penose, quando la squadra di Offerman entra in azione, invece, la narrazione vira sull’action ironico con tanto di citazioni come in una scena di assalto a una banca svizzera, gestita da un complice dei nazisti. Uno dei cacciatori, l’attore frustrato Lonnie Flash – interpretato dal Josh Radnor di How I met your mother –, minacciato dalle guardie giurate, urla Attica! Attica!, le stesse parole che Al Pacino, asserragliato in una banca nel cult Pomeriggio di un giorno da cani (1975), rivolgeva alla polizia, in riferimento alla rivolta del carcere di Attica del 1971 soffocata nel sangue. Ecco che in una sorta di movimento circolare, all’interno della serie si rende omaggio allo stesso Pacino, protagonista di quell’irripetibile stagione cinematografica.
I riferimenti pop non finiscono ovviamente qui e li ritroviamo per esempio in una metafora che sottende un po’ tutta la serie e che viene ripresa spesso nell’arco degli episodi. Il giovane Jonah è un appassionato di fumetti, Batman in particolare, e infatti non è raro che rifletta sul lato oscuro del famoso vigilante di Gotham City e ne riveda le ombre riverberare nelle azioni del suo mentore, Meyer Offerman, le cui scaltrezza ed efferatezza fanno concorrenza a quelle dei nazisti. Ci sarà perfino un confronto tra Offerman e Simon Wiesenthal – interpretato dal grande Judd Hirsch, protagonista tra le altre cose della serie-cult Taxi (1980-83) – in una scena in cui il famoso cacciatore, realmente esistito (ma perseguì quei criminali con metodi legali), prende le distanze dai sistemi del “collega”. Tale momento diventa dunque occasione di riflessione anche per chi guarda la serie.
Se tarantiniano è il gusto grottesco con cui vengono affrontate le scene action, nonché la sagacia dei dialoghi, in particolare alcune battute della finta suora, ex agente dell’MI6 Sister Harriet – interpretata da Kate Mulvany –, è proprio la squadra di Offerman che non può non rievocare quei Bastardi senza gloria che facevano strage di nazisti nella pellicola del 2009 del celebre regista.
Le vicende di Jonah e della squadra di Offerman sono molto avvincenti, pur essendo diluite nell’arco di 10 episodi di un’ora ciascuno. Non tutti i personaggi però sono caratterizzati bene: l’attore fallito Lonnie, la scassinatrice di colore Roxy – Tiffany Boone –, pettinata come la Pam Grier dei film della blaxploitation degli anni Settanta, e il reduce del Vietnam Joe Torrance – interpretato da Louis Ozawa Changchien –, sebbene appariscenti e divertenti, non vengono approfonditi, restando così sbiaditi.
Rimangono invece nella memoria gli adorabili coniugi Mindy e Murray Markowitz, esperti di armi, interpretati rispettivamente da Carol Kane – anche lei presente in Pomeriggio di un giorno da cani e in Taxi – e Saul Rubinek – il giornalista pavido ne Gli spietati (1992) di Clint Eastwood, per dirne una. Il loro arco narrativo viene esplorato adeguatamente e risulta emotivamente molto carico e interessante. Di più non possiamo rivelare.
Alcuni nazisti, in verità, risultano un po’ macchiettistici, mentre paradossalmente il più inquietante risulta un giovane americano, Travis Leich, votato alla causa del Führer, interpretato dal glaciale Greg Austin. È lui che sintetizza al meglio la sociopatia, il sadismo e lo sprezzo per la vita altrui che i prigionieri dei campi di concentramento hanno purtroppo conosciuto così bene. Lui è il villain della serie che si stamperà maggiormente nella memoria degli spettatori. Inoltre, stupisce un po’ l’eccessiva facilità con cui i cacciatori riescono a penetrare in ville sorvegliate, banche o fabbriche.
Asso vincente di Hunters è, ça va sans dire, Al Pacino che dona al suo Meyer Offerman tutta l’ambiguità e il carisma del caso. Il personaggio oscilla con credibilità dal ruolo del mentore affettuoso, o nonno putativo, al cospiratore dai metodi efferati che non esita a scendere allo stesso livello dei nazisti per dar loro una punizione esemplare.
In conclusione, Hunters è una serie sghemba ma coraggiosa, che osa mixare i generi e i toni del racconto toccando un argomento molto delicato in maniera altalenante, non sempre gestendo al meglio questa mescolanza che ad alcuni potrebbe risultare indigesta ma che, in realtà, ne è la cifra caratteristica e originale. La serie dialoga disinvoltamente con l’immaginario pop di cui è imbevuta e al quale rende omaggio con un certo gusto della citazione – con qualche storpiatura di troppo, come nella presentazione della squadra – e affronta un tema doloroso da un punto di vista originale e disturbante. Nonostante alcuni evidenti difetti, non sarà difficile lasciarsi avvincere dalla narrazione che prosegue spedita verso un finale davvero sorprendente, con rivelazioni clamorose che ribalteranno tante cose e con eventi che rilanciano una seconda stagione che, se riconfermata, sicuramente troverà molti appassionati a seguirla ancora.