È il 21 giugno 2028 e a Los Angeles è scoppiata la rivolta più grave che la storia ricordi a causa della privatizzazione dell’acqua da parte della Pro-Shield, multinazionale che controlla, anche politicamente, la città. Mentre gli scontri infuriano, alcuni personaggi si rifugiano all’Hotel Artemis, struttura ospedaliera di lusso attrezzata come un bunker ultra-moderno riservata ai criminali che hanno comprato l’assicurazione e così l’esclusiva per poter usufruire dei suoi servizi.
All’Hotel Artemis, infatti, non si entra se non si possiede un chip sotto pelle che va rinnovato ogni anno. A dirigere la struttura è l’Infermiera, ovvero una Jodie Foster volutamente invecchiata e imbruttita che funge da grimaldello narrativo per entrare nella vicenda. Le regole sono semplici: si entra disarmati, non si uccidono gli altri pazienti e si fa silenzio. Ad aiutare l’Infermiera a farle rispettare c’è Everest, di nome e di fatto, interpretato non a caso dall’enorme Dave Bautista, famoso per il ruolo di Drax ne I guardiani della galassia.
Queste le premesse di un noir fantascientifico a tinte pulp (scritto e diretto dall’esordiente Drew Pearce, già sceneggiatore di Iron Man 3 e Mission Impossible: rogue nation), le cui atmosfere apocalittiche da un lato ricordano la Los Angeles di fine millennio sconvolta da tumulti razziali che Kathryn Bigelow tratteggiò nel bellissimo Strange days (1995), insuperato thriller fantascientifico che aveva molte cose da dire su una società allo sbando – e le diceva bene –, incastrandole in una trama a orologeria che teneva lo spettatore allacciato allo schermo fino al catartico finale, dall’altro, l’ambientazione notturna futuribile, con unità di tempo e di luogo, nonché la situazione da assedio ricordano non poco certe atmosfere alla Carpenter, in questo aiutati dalle musiche di Cliff Martinez, forse il compositore attuale più carpenteriano che ci sia, famoso per le colonne sonore dei film di Nicolas Winding Refn. In ultima battuta, l’altro riferimento evidente è quello delle più recenti Notti del giudizio del famoso franchise cinematografico The Purge.
Nel corso dell’unica notte in cui si svolge il film, all’Hotel Artemis sopraggiungono vari personaggi che sembrano usciti da un manuale di sceneggiatura pulp: il mercante d’armi antipatico (Charlie Day), il rapinatore gentiluomo (Sterling K. Brown) che ha appena commesso una rapina in banca, accompagnato dal fratello (Brian Tyree Henry), ferito gravemente, di cui fa la balia, la bella e letale killer professionista (Sophie Boutella), una poliziotta che non dovrebbe essere lì (Jenny Slate) e infine il boss che domina la malavita di Los Angeles, interpretato da un sulfureo ed efficacissimo Jeff Goldblum. In più, come jolly, il figlio sbalestrato ed esagitato del boss, interpretato da Zachary Quinto, volto di Spok degli ultimi film di Star Trek. Inutile dire che ognuno di loro ha qualcosa da nascondere e che la situazione diverrà esplosiva.
Se le premesse di base sono ottime, lo sviluppo non procede senza intoppi perché i vari personaggi, purtroppo, sono soltanto accennati e le loro storie personali, che pure sono fondamentali nell’incrociarsi dei percorsi narrativi nel corso di quest’unica notte, non sono abbastanza approfondite da potersi affezionare a qualcuno o perlomeno a empatizzare con la storia. Su tutti tiene banco Jodie Foster che, con la sua solita maestria regge il film, supportata da un cast di prim’ordine in cui spiccano Bautista, Bautella e Brown, con Goldblum in un ruolo breve ma incisivo.
È curioso notare come la situazione narrativa di vari sconosciuti che si ritrovano in un hotel dalla dubbia fama rimandi decisamente a un’altra pellicola uscita contemporaneamente (ricordiamo che Hotel Artemis è del 2018 e solo adesso è stato distribuito in Italia) e cioè quel 7 sconosciuti a El Royale (diretto dall’omonimo Drew Goddard), ambientato nel 1969, in cui si mescolavano i destini di 7 personaggi che, come richiede il copione, avevano anch’essi molti scheletri nell’armadio. Sebbene ambientato negli anni Sessanta, anche 7 sconosciuti aveva una connotazione decisamente apocalittica, complice la presenza di un personaggio che era dichiaratamente ispirato a Charles Manson.
Tornando ad Artemis, come si diceva, il problema è la sceneggiatura che, sebbene supportata da dialoghi brillanti con qualche battuta fulminante da ricordare – tipiche delle storie pulp sopra le righe –, non riesce a sorreggere l’ottimo cast e, purtroppo, molti spunti interessanti rimangono tali. Anche il contesto sociale delle rivolte urbane fa solo da sfondo e non è valorizzato. L’ambientazione invece, sebbene limitata da un budget da B-movie, è decisamente suggestiva e, supportata dalla fotografia di Chung Chung-hoon e dalle scenografie di Rosemary Brandenburg, rende credibile e affascinante il mondo distopico in cui è ambientato il film. A nostro parere avrebbe potuto essere l’efficace episodio introduttivo di un’interessante e originale serie.