Le origini della ricorrenza di Ognissanti sono lontanissime. Si rintracciano al tempo dell’antica cultura delle popolazioni celtiche la cui tradizione divideva l’anno solare in due periodi: quello in cui si registrava la nascita e il rigoglio della natura, e quello in cui la stessa entrava in letargo passando un periodo di quiescenza. I giorni d’inizio di questi due periodi erano quindi festeggiati. Il primo, durante il mese di maggio – quello della vita e, quindi, della rinascita della natura – e il secondo a metà autunno – quello della morte e della relativa quiete –, chiamati rispettivamente Beltane e Samhain.
Nello stesso periodo, presso i Romani, si celebrava un giorno simile, per significato, al Samhain, ossia la festa in onore di Pomona, in cui si salutava la fine del periodo agricolo produttivo, ringraziando la terra per i doni ricevuti. Quando Cesare conquistò la Gallia, le due feste pagane, celtica e romana, s’integrarono. I giorni per il festeggiamento, quindi, caddero, a seconda delle zone, in un periodo che si collocava tra la fine del mese di ottobre e i primi giorni di novembre. Solo in seguito si fusero in un’unica notte, precisamente tra il 31 ottobre e il primo novembre.
Questa notte, chiamata Nos Galan-Gaeaf, cioè notte delle calende d’inverno, era il momento di maggior contatto tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Con l’affermarsi del Cristianesimo, al significato di questa festa, prettamente agricola e pagana, se ne sovrappose un altro spirituale e religioso, attraverso cui si intendeva commemorare il mondo dell’aldilà, il cui contenuto risaliva proprio al Samhain dei Celti.
Nel VII secolo, con l’avvento al soglio pontificio di Papa Bonifacio IV, si tentò di cambiare la ricorrenza da pagana in cristiana, dandone così un significato puramente religioso, ma il popolo era ancora molto ancorato alle antiche tradizioni e si optò, quindi, per la compensazione. Il giorno di culto venne intitolato Tutti i Santi e fu fatto cadere il 13 del mese di maggio.
I primi resoconti scritti risalgono a Tertulliano e a Gregorio di Nizza (223-395 d.C.), ma solo le pagine redatte da Sant’Ephraem, morto nel 373 d.C., offrono una sicura testimonianza. Circa due secoli più tardi, e più precisamente nell’835, Papa Gregorio IV fece coincidere alla data della festa cristiana di Ognissanti quella pagana per sminuire ancor di più il peso della credenza precristiana. Il giorno della ricorrenza di Tutti i Santi cadde quindi l’1 novembre di ogni anno, in coincidenza del giorno successivo alla notte delle calende d’inverno. Ciò non bastò, tuttavia, a sradicare il culto pagano, e la Chiesa introdusse nel X secolo una nuova giornata, quella dedicata ai morti, il 2 novembre.
Durante i festeggiamenti del 2 novembre, venivano ricordate le anime degli estinti. I loro cari si mascheravano da angeli e diavoli e, come nella tradizione celtica, accendevano in loro memoria grandi fuochi. La notte di Nos Galan-Gaeaf viene, infatti, rievocata – soprattutto nei paesi di cultura anglosassone – in occasione di Halloween. Il significato di questa parola è proprio Vigilia di Ognissanti o di Tutti i Santi (All Hallows = Tutti i Santi + Eve = Vigilia).
La tradizione di Halloween non è poi così lontana dalle nostre usanze: in Calabria, ad esempio, è stata festeggiata sin dai tempi più remoti. Questo è quanto sostiene l’antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani che, nel libro Il ponte di San Giacomo, scritto insieme a Mariano Meligrana, rivela il rito praticato dai contadini calabresi, emigrati poi in America, che erano soliti svuotare una zucca e metterci dentro una candela aspettando così la vigilia di Ognissanti.
In questo modo, secondo lo studioso, essi affrontavano la paura della morte e il distacco dai propri affetti, una ragione antropologica per quel bisogno di stabilire un contatto, una “comunicazione” con i cari defunti.
In effetti, proprio in Calabria, particolarmente a Serra San Bruno, nel vibonese, resiste ancora il rituale del Coccalu di muortu. I ragazzini del paese intagliano e modellano la zucca riproducendo un teschio – che in dialetto serrese si dice proprio coccalu di muortu –, quindi girano per le vie con in mano la loro “macabra” creazione e bussano alle porte o fermano le persone dicendo la frase Mi lu pagati lu coccalu? (Me lo pagate il teschio?), che ricorda molto quel Trick or treat? (Dolcetto o scherzetto?) dell’usanza anglofona. Secondo la tradizione, furono proprio i primi cristiani a vagare per i villaggi chiedendo un dolce chiamato pane d’animo, ricambiando con preghiere rivolte ai defunti del donatore.
Antiche gesta, queste, spesso bistrattate e accusate ingiustamente di paganesimo e satanismo perché molto simili a quelle di Halloween. Non bisogna dimenticare, però, che le usanze celtico-irlandesi, attecchite e poi divulgate dagli Stati Uniti d’America, videro le proprie origini da culture cattoliche provenienti dal continente europeo.
In realtà, in Irlanda e in Scozia in principio si usava intagliare le rape, ma gli immigrati in Nord America utilizzarono la zucca originaria del posto, che era disponibile in quantità elevate ed era molto più grande, facilitando il lavoro d’intaglio. Questa tradizione era originariamente associata con il tempo del raccolto in generale, tuttavia fu associata specificamente ad Halloween verso la seconda metà del Novecento.
Lo sviluppo di oggetti e simboli collegati a questa ricorrenza si è andato formando con il passare del tempo e deriva da varie fonti quali i costumi nazionali, le opere letterarie gotiche e horror (come i romanzi Frankenstein, Dracula e Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde) e i film classici dell’orrore (come La mummia, L’esorcista e Shining). Tra le primissime opere su Halloween si ritrovano quelle del poeta scozzese John Mayne, che nel 1780 annotò sia gli scherzi fatti per l’occasione in What fearfu’ pranks ensue!, sia quanto di soprannaturale fosse associato con quella notte in Bogies (Fantasmi), influenzando la poesia Halloween dello scrittore Robert Burns. Tra i simboli prevalgono soprattutto elementi della stagione autunnale, oltre alle zucche, le bucce del grano, gli spaventapasseri e i frutti secchi con cui si ornavano le case. Nero, viola e arancione sono i colori tradizionali.
La spettacolarizzazione della società moderna ha accentuato l’aspetto noir e tutti i temi legati al male e all’occulto.
Fantasmi e scheletri sono mostri paurosi, ma in realtà rappresentano il collegamento tra la morte e la rinascita, assumendo il significato di reincarnazione dove la morte non costituisce la fine ma una parte del complesso ciclo della vita.
Il pipistrello, inoltre, rende molto suggestive le decorazioni per la festa perché è legato strettamente alla stregoneria. Ciò è dovuto al fatto che questi animali volano di notte e dimorano in caverne buie. Durante il Medioevo essi furono associati alle streghe quando si pensava che queste venissero supportate da demoni con sembianze animalesche. Il sangue del pipistrello, quindi, era utilizzato per la preparazione di pozioni magiche. In tante culture, comunque, il volatile non ha una connotazione negativa, anzi ci sono paesi in cui ha un significato prettamente positivo: gli aborigeni australiani, ad esempio, credono che ucciderlo accorci la vita, mentre in Cina e in Polonia esso è simbolo di gioia e felicità.
Un altro carattere distintivo della moderna festa è la presenza delle streghe, per questo motivo la notte di Halloween viene chiamata anche – soprattutto nel nostro Paese – Notte delle Streghe. Il termine deriva dal latino strix, con il quale si indicavano per lo più le civette, uccelli in cui, secondo la tradizione romana, sapevano trasformarsi alcune donne. Nella cultura anglosassone, invece, il termine diventa sinonimo di sapiente. Presenti da sempre nella letteratura non solo italiana, le streghe continuano a intrigare con la loro possibilità di creare bevande magiche che trasformino il corso naturale di cose e persone: nella tradizione di Halloween sono presentate accanto a un calderone, nero come la pece, in cui rimescolano misteriosi intrugli, dal profumo sinistro e dall’aspetto poco invitante. Il calderone è uno strumento molto potente che combina le influenze degli antichi elementi di Aria, Fuoco, Acqua e Terra. La sua forma rappresenta Madre Natura, e le tre zampe su cui poggia corrispondono ai tre aspetti della Triplice Dea, le tre fasi lunari e i tre numeri magici. Inoltre, è simbolo di trasformazione (in senso fisico e spirituale), di illuminazione, saggezza e rinascita. Legato alla figura della strega è anche il manico di scopa. Durante il Medioevo e il Rinascimento, infatti, si pensava che i manici di scopa fossero il primo mezzo di trasporto delle fattucchiere, le quali per volare usavano uno speciale unguento fatto di erbe velenose, grasso e altri ingredienti con cui, formulando un incantesimo, la strega cospargeva il suo corpo e il manico di scopa con questo unguento, rendendoli addirittura invisibili.
E che dire del dolce gufo! Durante il periodo medievale il volatile, come il ragno, il pipistrello, il gatto nero, si credeva avesse dei poteri oscuri. Si pensava, infatti, che fosse un demone sotto forma di animale e che accompagnasse le streghe nella notte di Halloween al Sabba o che, addirittura, fosse una maga travestita.
Non tutte le popolazioni, per fortuna, pensano al gufo come a un portatore di sventura: i Greci, ad esempio, lo veneravano come uccello sacro che accompagnava la dea della saggezza Atena e gli indiani d’America, ancora oggi, lo considerano il messaggero dell’aldilà.
Tra riti e credenze, quindi, la storia delle tradizioni ci mostra un sentire comune a tutte le culture. In fondo, sosteneva Jorge Louis Borges la morte è un’usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare.