È stato un rapido passaggio, dal tunnel ancora pieno di incertezze per la pandemia a quello sempre intasato dalle guerre omicide ciclicamente necessarie per svuotare gli arsenali per poi riempirli di nuovo, da un’economia sofferente a una fiorente, tutto apparentemente casuale o forse provvidenziale. A quelli della mia generazione il pensiero va all’azione profetica di Giorgio La Pira – «Bisogna disarmare l’economia» – e il suo attacco nel 1975 alla teoria della guerra come prosecuzione della politica con altri mezzi. A distanza di anni, con un possibile conflitto nucleare, gli equilibri mondiali sono tanto più a rischio e la pace sempre più soltanto una parola vuota.
A differenza degli anni del politico visionario, del profeta prestato alla politica, i leader mondiali risultano alquanto mediocri e per niente dotati di quel carisma necessario che, in positivo o negativo, ha sempre caratterizzato i grandi della storia. Torna alla memoria l’ottobre del 1962 quando il mondo rischiò l’esplosione di una guerra nucleare nella crisi di Cuba e a prevalere fu il buon senso con il ritiro dei missili da parte di Nikita Chruscev e il grande apprezzamento degli americani e dell’allora Presidente John Kennedy. A parti invertite va riconosciuto il timore di Putin per l’eventuale ingresso dell’Ucraina nella NATO e ritrovarsi, così, con i missili americani ai confini.
Grandi leader, quelli di un tempo – al di là delle rispettive posizioni –, contrariamente a quanti affollano la scena odierna. Avvenimenti che stanno mettendo ancor più in risalto la pochezza e l’inadeguatezza di una classe politica priva di volontà e di una visione capace di affrontare temi vecchi come i conflitti, tanti in territori lontani e quelli sempre più vicini, con modalità diverse e un unico denominatore comune: gli interessi economici e la necessità di far girare senza sosta il mercato delle armi a opera di molti Paesi – tra i quali il nostro –, gli stessi che partecipano poi a operazioni militari in nome di una pace che ha sempre generato morti innocenti e distruzione.
Gli eventi di queste ore, la repressione, le migliaia di arresti di manifestanti a Mosca e la follia criminale scatenata da parte di chi da anni fa massacrare e incarcerare giornalisti e dissidenti – il 2004 segnò l’anno record con cinquantaquattro operatori dell’informazione uccisi – riscuotendo simpatie anche dalle nostre parti, con qualche politico famoso per le sue magliette a tema (come quella con l’immagine di Vladimir Putin esibita a Strasburgo) e indubbi post sui social: Cedo due Mattarella in cambio di mezzo Putin!; Putin difende i valori europei e l’identità cristiana. Ma, si sa, Matteo e Giorgia, i due enfants prodige della destra italiana son fatti così. Oggi, però, è un altro giorno e domani si vedrà, e allora meglio smarcarsi. Anche il silenzio di Silvio Berlusconi la dice lunga sui rapporti di buona amicizia e sugli interessi reciproci. Per l’ex Cavaliere parla il portavoce Tajani ripetendo la solita giaculatoria.
Chi invece ha sin da subito mostrato i muscoli è l’imprevedibile Enrico Letta che, incontrando l’ambasciatore ucraino in Italia, ha tenuto ad assicurare che il nostro Paese sosterrà l’Ucraina con un aiuto concreto, un sostegno militare e non una proposta di soluzione diplomatica di pace. Ma il Segretario del Partito Democratico ha voluto sorprendere ancora di più denunciando il corrispondente RAI a Mosca Marc Innaro il quale giorni fa, nel corso di un collegamento, ha sommessamente fatto notare che a espandersi maggiormente non è stata la Russia ma la NATO, invocando, quindi, la repressione in stile russo a danno del giornalista.
L’Italia deve condannare la guerra di Putin, fermare l’espansione della NATO in Ucraina, lavorare per il ritiro russo e la creazione di uno Stato che sia centrale nella stabilità e nella sicurezza europea ma fuori dalla NATO, ha commentato invece l’ex Sindaco di Napoli e presidente del movimento demA. C’è poi chi è convinto che Putin non sia un invasore: La Russia non sta invadendo l’Ucraina. Giustamente chiede garanzie sulla sua neutralità. A parlare è il filo-putiniano Alessandro Di Battista che ancora non si capisce cosa voglia fare da grande e quale sia il suo rapporto con il MoVimento, tra uno spaesato Giuseppe Conte e un sempre più agguerrito Luigi Di Maio impegnato a non perdere il comando della nave in tempesta e soprattutto a cercare di non far danni al Paese con le sue improvvide dichiarazioni.
Un governo dei migliori sulla scia di quelli precedenti, schierato con gli alleati senza alcun apporto di novità in quanto a proposte concrete di negoziato per una pace possibile che tenga conto delle rispettive ragioni a evitare una reazione dalle conseguenze inimmaginabili. Una posizione del tutto passiva e silenziosa come quando negli anni dal 2004 al 2020 l’espansionismo della NATO è passato dai sedici ai trenta Stati membri posizionando armamenti in Polonia e nei Paesi Baltici ai confini con la Russia.
L’aggressione russa, violenta e ingiustificata, e i metodi repressivi in atto nel Paese non contribuiranno di certo a riportare la questione al tavolo della ragione per il raggiungimento di un’intesa che tenga conto delle istanze delle parti e l’annunciata allerta delle forze di deterrenza nucleare da parte di Putin rischia di far precipitare ogni possibile proposta di compromesso basata ovviamente sul rispetto delle singole convenienze.
La pace, anche se è parola troppo grande e impegnativa, un giusto compromesso, è l’unica strada possibile per regolare il rapporto tra i popoli a evitare stragi che – guarda caso – coinvolgono unicamente i cittadini inermi, vittime innocenti di poteri e interessi che afferiscono una parte esigua di questo martoriato mondo dove a pagare sono sempre gli stessi, dove – tra l’altro – le disuguaglianze economiche e sociali crescono, dove – come confermato dal rapporto Oxfam – ventisei ultramiliardari detengono più risorse della metà più povera del pianeta.