«Non abbiamo pregiudiziali sul nome di Conte né sulle formule, l’unico paletto è che non andremo mai al governo con le forze sovraniste e populiste della destra». Così parlò Matteo Renzi, annunciando il ritiro dei Ministri di Italia Viva. Il resto è, tristemente, noto a tutti. Dopo le dimissioni dell’ormai ex Premier e la fallita esplorazione del Presidente della Camera che, in verità, non è parsa un’operazione condotta con molta convinzione e impegno nella ricerca di una maggioranza possibile, il Presidente della Repubblica – in una dichiarazione a tratti anche dai toni drammatici – ha sottolineato la necessità di un governo di alto profilo, identico auspicio di Silvio Berlusconi nel corso di un’intervista rilasciata pochi giorni prima al Corriere della Sera.
Una formula ritenuta indispensabile per un esecutivo che dovrà continuare a gestire una pandemia dai tempi imprevedibili e, soprattutto, il fiume di danaro proveniente dall’Europa, grande opportunità per la ripresa e il futuro dell’Italia. Un’espressione che, tuttavia, ha riportato alla mente quel mondo del credito dove periodicamente vengono calate dall’alto le eccellenze sul mercato con esperienze negli States, numerosi incarichi ricoperti, super manager, il più delle volte super banchieri dei crack, con epiloghi disastrosi per gli istituti di credito amministrati eppur liquidati con cifre scandalose.
Di uomini di alto profilo, nel nuovo governo che ha giurato sabato scorso, pur qualcuno c’è ma qualche dubbio è più che legittimo scorrendo la lista dei soliti noti, in particolare tra quelli espressione della politica, chiaramente suggeriti dai partiti di appartenenza e sicuramente non dal Presidente del Consiglio del quale, al contrario, saremmo costretti a dubitare capacità e caratura. Una distribuzione di incarichi strategicamente ineccepibile che ha conferito ai tecnici ruoli di primo piano, affidando loro i dicasteri per la gestione del Recovery Plan al fine di avere un ruolo centrale nell’ambito dei rapporti con i principali interlocutori europei e per assicurarsi l’appoggio dei partiti, evitando possibili operazioni di disturbo nella delicata fase di stesura del piano di gestione dei fondi stanziati.
Preso atto del riconoscimento di alto profilo di parte del precedente esecutivo presente anche in quello attuale, a contribuire ad alzare l’asticella della qualità e della competenza ha provveduto, per Forza Italia, l’inossidabile ex Cavaliere con tre fedelissimi, gli ex Ministri Brunetta, Carfagna e Gelmini, che gli hanno sempre garantito un voto per le sue leggi ad personam e il supporto necessario anche in occasione della bufala su Ruby nipote di Mubarak, unitamente all’attuale Presidente del Senato Casellati e alla leader dell’unica opposizione oggi in Parlamento Giorgia Meloni.
Anche l’europeista Matteo Salvini è soddisfatto dei suoi tre Ministri: Giorgetti, da sempre vicino agli istituti di credito, tanto da essere anche coinvolto e poi assolto per il crack della banca della Lega Credieuronord e tra i saggi nominati dall’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano; Erika Stefani, la parlamentare nota per il suo mega-cartello esposto nell’aula del Senato con la scritta NO IUS SOLI; e Garavaglia, l’ex Viceministro dell’Economia nel primo governo Conte, in verità l’unico avversario del gruppo di economisti dentro e vicini al Carroccio non convintamente europeisti.
Tornata al Ministero delle Pari Opportunità Elena Bonetti di Italia Viva dopo aver dato il ben servito al governo precedente assieme alla sua collega Bellanova, e questa potrebbe essere una scelta attribuibile proprio al Premier Mario Draghi.
Garantito l’alto profilo voluto dal Presidente Sergio Mattarella e posizionati i migliori politici e tecnici che il nostro Paese è capace di esprimere, dunque, occorrerà capire quali saranno i comportamenti del M5S rispetto ai temi caldi sulla giustizia e il reddito di cittadinanza. La tenuta dei pentastellati, che dovranno votare la fiducia al nuovo governo, è tutta da verificare, in particolare dopo la votazione sulla piattaforma Rousseau, ritenuta una vera e propria beffa da alcune decine di parlamentari vicini a Di Battista che, pur avendo preso le distanze dal MoVimento, ancora esercita un certo fascino su una parte consistente della base, seppur non propriamente simile a quello del Che cui è stato accostato più volte.
Come Eric e Patrice in Ritorno al passato, film francese del 1985, Renato Brunetta e Mariastella Gelmini si ritroveranno catapultati negli anni dei governi dell’ex Cavaliere, delle offese ai precari della pubblica amministrazione – siete l’Italia peggiore – e della gaffe del tunnel tra il CERN e il Gran Sasso dell’indimenticabile Ministro dell’Istruzione? E quanto durerà il silenzio di Matteo Salvini sui migranti per non scatenare le reazioni di PD e M5S nei giorni caldi della formazione del governo Draghi, iniziato con l’arrivo ad Augusta, in Sicilia, dell’imbarcazione Ocean Viking con 422 tra uomini, donne e bambini? Invocherà ancora l’applicazione del regolamento di Dublino?
Il vero quesito al quale, al momento, è difficile dare una risposta è se e quanto a lungo durerà la tenuta tra la componente politica e quella tecnica presenti a Palazzo Chigi. È pur vero che Draghi, da navigato ed esperto con grande conoscenza del mondo economico e bancario qual è, è abituato a puntare dritto agli obiettivi senza tanti riguardi per quanti eventualmente si troverà a remare contro e, sicuramente, non intenderà rovinarsi la reputazione e l’apprezzamento internazionale per i Brunetta e le Gelmini che si troverà di fronte.
Se non ci saranno ulteriori strategie di rottamazione dell’esecutivo in carica, dunque, la politica dovrà puntare comprensibilmente alle elezioni del 2023, ma non sarà disposta a favorire l’unica opposizione presente in Parlamento. Non lo consentiranno gli stessi Matteo Salvini e Renzusconi, mentre non si preoccuperanno più di tanto i giovani grillini, abituati con troppo ingenuità ad affidarsi alla macchina della verità per tanti e dell’inganno per una parte consistente della base. Il Partito Democratico, invece, con il suo sorridente Segretario, non avrà problemi ad adattarsi alle situazioni del momento, proprio come gli alleati pentastellati, affermando tutto e il contrario di tutto e chiudendo gli occhi dove è meglio non metterci il naso.
Più o meno, come sta già succedendo a Napoli dove, a proposito del citato Ritorno al passato, l’ex Sindaco Antonio Bassolino, anticipando le prevedibili mosse del suo partito e degli ormai disoccupati ex ministri partenopei, ha annunciato la propria candidatura a Primo Cittadino. Non pervenuto, invece, Nicola Zingaretti. E non è una novità.