Una persona allunga il suo cellulare e mi fa: «Guarda questa pubblicità dei gelati. Te la ricordi?». Il video, palesemente vetusto, degli anni Ottanta circa, mostra dei bambini che leccano gelati in modo parecchio equivoco, tanto equivoco da essere allarmante. Lo spot di cui parlo ha anche una canzoncina come colonna sonora, altrettanto ambigua: Mordi mordi mordi lecchi lecchi lecchi succhi, Eldorado Gelosuccosi.
Ora, niente di male, fino a qui. Il problema sono le immagini che scorrono: una montagna di doppi sensi, di gesti a sfondo sessuale, parecchio grotteschi se pensiamo che i protagonisti sono ragazzini e ragazzine e che lo spot è davvero andato in onda in quegli anni (parliamo del 1983). Per non accontentarci, lo slogan aggiunge Eldorado, gelati per bocche super. Mi domando, oggi, se questa pubblicità potrebbe essere trasmessa. Sono certa di no.
Allora, cogliendo l’assist, ho fatto mente locale: da millennial nata a fine anni Ottanta, spot come questi erano quasi all’ordine del giorno. Dimentichiamo, forse, il ghiacciolo più triviale di sempre, il Calippo? Voglio dire, già la sua forma si presta a doppi e tripli sensi, poi ci mettiamo anche la pubblicità del 1988: una spiaggia assolata, ragazzi e ragazze allegrissimi, e il Calippo che viene sfregato tra le mani perché bisogna scollarlo dalle pareti di carta del cono. Se questo non bastasse, i protagonisti cominciano a degustarlo a occhi chiusi come se stessero facendo un minuzioso lavoro di “carezzamento”. Il Piedone poi, col suo alluce di cioccolato – paradiso per i feticisti – e il Twister con la sua forma tubolare, penso non abbiano aiutato nessuno, né a mangiarli né a renderli protagonisti di uno spot.
Non è da meno Algida, restando negli anni Ottanta: chi ricorda la pubblicità dei ghiaccioli alla frutta Fruit Cocktail? Belle ragazze che si denudano addentando gelatini, perché pare brutto mangiare un gelato all’ananas senza far vedere le tette, mentre il claim entusiasta urla: Prendi la frutta per il manico!. Che dire. Ricordo anche una delle prime pubblicità per il Cornetto Algida: un ascensore, un ragazzo. D’improvviso entra una bella figliola sosia di Britney Spears o di Emma Bunton Baby Spice, che tira fuori dalla borsa il gelato e poi comincia a spogliarsi. Si spogliano tutti, in realtà, guardandosi come lupi affamati.
Se poi ci spostiamo dal regno del gelato a quello dei giocattoli (chissà perché il pattern è che più sono dedicati a bambini peggio venivano messi in scena): chi non ricorda il famoso Cicciobello? Bambolotto in tutto e per tutto simile a un neonato paffuto – tanto che è diventato di uso comune appellare i giovani un po’ in carne proprio “Cicciobello” – si presentava con tutta una serie di skills, come aprire la bocca, fare pipì, muovere le articolazioni eccetera. Ma chi invece ricorda la sua controparte nera? Ebbene, signori, parliamo dell’Angelo Negro (perdonatemi, ma ambasciator non porta pena): era chiamato proprio così il Cicciobello dall’incarnato scuro, amorevolmente abbinato in pubblicità a un bambino bianco, mentre un bambino nero teneva tra le braccia il suo opposto. Direi raccapricciante, un tantino colonialista no?
Restiamo in tema: celeberrimo lo spot anni Novanta di Ferrero Rocher con la signora aristocratica in auto vestita di giallo che fa al suo autista: «Ambrogio, avverto un leggero languorino […] la mia non è proprio fame, è più voglia di qualcosa di buono» e poi, quando il buon Ambrogio tira fuori da un cassetto in mogano che pare intriso di luce divina, «Bravo, pensi proprio a tutto». Ora, a parte l’anacronismo di una donna che si fa portare a spasso da un’autista nemmeno ci trovassimo nel romanzo Emmanuelle di Arsan, è palese che quel languorino, espresso con voce flautata e sensuale, nasconda dei doppi sensi. Però, voglio dire, qui ci potremmo anche passare sopra.
Non possiamo passare sopra, invece, alla pubblicità della Motta del Tartufone: siamo nel 1985 e un uomo nero vestito da maître fa la sua entrata in una festa. Questo spot andava in onda solitamente durante le feste natalizie: a nessuno è mai venuto in mente che il parallelismo tra il colore della pelle dell’uomo e il panettone ricoperto di cioccolato fossero un problema? Evidentemente no.
Il tema “languorino” pare essere condiviso dall’altrettanto famoso cavallo di Dufour, le caramelle alla frutta: come dimenticare il “cavallo goloso”? E però non è questo lo spot più equivoco del marchio: nel 1986 ingaggiò niente meno che Edwige Fenech. L’attrice, in una mise provocante, apre la dispensa e le caramelle si mettono a saltellare urlando scegli me, scegli me! con tanto di emozione incontenibile da parte di quelle al limone che non se la tengono ed esplodono fuori dall’astuccio. La pubblicità si conclude con ammiccamenti e la frase Dufour, l’amour.
Parecchio più spinto (oggi proprio non potrebbe andare in onda) lo spot della vernice antiruggine verde Fernovus Saratoga: la musichetta con tanto di tromba, due donne, una cameriera in abiti succinti che nemmeno nei più fulgidi sogni di Tinto Brass e la sua “padrona”. Stanno verniciando una specie di gazebo in metallo e a un certo punto compare un uomo “piacente” (ma davvero?) con lo sguardo da maliardo che domanda: «Cosa state facendo?». La compagna lo informa che sta verniciando e che Giovanna, la cameriera, la aiuta; lui si tocca il mento e dice «Brava, Giovanna, brava».
Saratoga però non si ferma. Chi non ricorda lo spot del silicone sigillante? Un jingle rimasto nella storia, una donna che cantava in tono mellifluo Saratoga, il silicone sigillante e ben due versioni dello stesso spot, uno del 1986 e l’altro del 2006, entrambi con protagoniste una donna nuda che fa la doccia in un box ben chiuso dalle perdite d’acqua.
Simili, ma non per questo ci stanchiamo di dirlo, le recenti reclame di Amica Chips. La marca di patatine in busta ne ha combinate delle belle nel corso nel tempo, l’ultima proprio quest’anno, con uno spot che ha indignato tutto il clero e compagnia. Partiamo però dall’inizio: siamo nel 2006 e Amica Chips pensa bene di ingaggiare Rocco Siffredi, il re della patata. Il setting è una piscina assolata piena di belle donne in costume, e Siffredi, in vestaglia di seta rossa, ammicca alla camera: «Io, di patatine, ne ho prese tante» dice, «gustose, fragranti, non ce la faccio a stare senza, le ho provate tutte […] ma nessuna è come questa». In sottofondo va la canzone Daddy Cool e lo spot termina con il claim A chi piace la patatina.
Nel 2014 Amica Chips ne presenta un’altra in cui compare persino una sosia di Ornella Muti: doppi sensi a gogò anche qui. Ma quella che ha fatto più discutere è proprio la pubblicità di quest’anno: una fila di suore in bianco va a prendere la comunione, ma invece dell’ostia il parroco dispensa patatine. Apriti cielo. Bloccata per blasfemia, segnalata dallo IAP, un’associazione di matrice cattolica che sta per Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria. Persino mia madre si è indignata, mandandomi su WhatsApp un link per raccogliere firme per cancellare lo spot.
Passiamo ora alla Mental: sono gli anni Ottanta, vediamo una coppia seduta, lui che pare la controfigura brutta di Vito Corleone, lei ovviamente sua moglie. «Io ce l’ho profumato» dice l’uomo, con accento siciliano; lei esclama, lui spiega: «L’alito! Ce l’ho profumato con Mental».
Lo spot più assurdo però, in barba a ogni decenza e buon senso, è andato in onda come annuncio pubblicitario del 1988: la ditta Il Cincillà mandava in tv questo spot informando i telespettatori che, nel caso fossero stati interessati a comprare animaletti “graziosi e prolifici”, poteva fornire una famigliola di ben cinque femmine e un maschio, così da farli riprodurre il più velocemente possibile in modo da poterli scuoiare per creare la pelliccia dei sogni. Ci tenevano anche a sottolineare che offrivano un servizio di sostituzione gratuita dei cuccioli in caso di morte o sterilità. Lascio a voi i commenti.
Questo pezzo si intitola “spot che oggi non potrebbero più andare in onda” eppure negli ultimi anni, anche recenti, ne abbiamo avute di pubblicità equivoche: ho già menzionato Amica Chips, ma che dire della pubblicità di Fonzies del 2013? Bloccata dal Comitato di Autodisciplina (non mi chiedete cos’è perché non lo so) presentava un ragazzo adolescente che si guarda in basso e urla: «Ma’, oggi due centimetri più lungo!» con tanto di mamma e nonna orgogliosissime di questo evento epocale, e il paese tutto che viene a saperlo grazie a degli altoparlanti montati su una macchina. Poi, lo spot chiarisce che bisogna trovare nella confezione il fonzie più lungo per vincere una vacanza, un weekend lungo.
Ancora più grottesco lo spot con protagonista niente meno che Emanuele Filiberto del marchio FumOk del 2013: parliamo di una decina di anni fa, anche in questo caso. Il principe sfumacchia una sigaretta elettronica, enunciandone i pregi, ad esempio il fatto di non dover uscire a fumare fuori al freddo, di rinunciare alla tosse, di poter fumare all’interno. Fuma come un principe, dice la vocina in sottofondo e poi la perla di Filiberto: «FumOk, più benessere, più fiato, più sesso». Ora, io non gliela darei neanche se mi facessero una statua d’oro in Piazza Plebiscito, non so voi.
E infine abbiamo due spot di prodotti simili: le Air Action Vigorsol e le Frisk. La prima, del 2003, se la ricorderanno tutti, che vedeva un ragazzo magicamente dotato di capezzoli estensibili, un qualcosa di assolutamente inguardabile, grazie alla “freschezza glaciale” delle gomme da masticare (inoltre, nessuno ha mai fatto caso alla pronuncia volutamente equivoca di “air action” come “erection”?).
E le Frisk nel 2006: un autobus, un ragazzo e tre ragazze, due delle quali con le tette ballonzolanti. L’ultima granitica: le tette non si muovono. Il ragazzo le nota, ingoia una Frisk e pare ricevere una sorta di dono della verità a tutti i costi. Urla: «Sono finteeee!». La reclame poi lancia: «Freschissime Frisk. Non temere di aprire bocca».
Sicuramente questo non è un articolo esaustivo, ma la domanda di fondo resta: per vendere un prodotto, di qualsiasi tipo, bisogna sempre e solo infilare doppi sensi, tripli sensi, nudità ed eccessi vari? A quanto pare, vent’anni fa non ci si poneva proprio il problema, non sapevamo neanche cosa fosse il politically correct.