Will è un ragazzo americano di umilissime origini proveniente dalla California. Sopperisce con straordinario impegno e forza di volontà a ciò che Dio non ha saputo donargli nella vita. Lo stesso Dio che Will cerca e anela intensamente nella speranza di curare una madre depressa. E sempre lo stesso Dio che lascia un buco enorme quando, un pomeriggio, un refolo di vento rivela a Will la sua non esistenza.
La Scrittura lascia intendere che non c’è speranza per gli apostati, quale io sono: avendo conosciuto il Suo amore, e avendoLo poi ripudiato, non ho nessuna possibilità di salvezza. Vivo fuori dalla Sua grazia. Ma ci ho provato: questo conterà qualcosa, Signore, quando non compilerai l’elenco finale, concedendo una vita che non puoi dare perché, non esistendo, ci hai abbandonato?
C’è poi Phoebe, ragazza di origini coreane che nasconde dietro la sua popolarità ferite profonde e mai rimarginate che tenta di anestetizzare con alcol e rapporti occasionali. Il fantasma di un pianoforte che ha abbandonato quando, ascoltando lo Studio n.5 di Libich, ha capito di non poter essere la più brava. E, in particolar modo, il vuoto lasciato dalla morte di una madre amorevole della quale si sente totalmente responsabile.
Ma ciò di cui ero avida erano le chiacchiere dopo il sesso, le verità che si dicono a letto. Mi nutrivo di dolore. Ingurgitavo lacrime. Se fossi riuscita ad assorbirne a sufficienza, non ci sarebbe più stato spazio per le mie. […] Phoebe, ah, che ragazza adorabile, dicevano tutti, ma forse adoravano semplicemente il loro sé riflesso.
Will e Phobe si incontrano al college e si amano di un amore bramoso e incerto, immaturo perché nuovo per entrambi. Procedono per tentativi ed errori nella loro relazione sul cui sfondo si intravede la figura, dapprima sfocata, poi sempre più definita di John Leal.
John è un attivista che ha aiutato i dissidenti coreani a raggiungere clandestinamente Seul fino al giorno in cui è stato scoperto dai servizi segreti nordcoreani e rinchiuso in un gulag. Scampato miracolosamente alla prigionia, non dimentico dell’esperienza vissuta, decide di tornare negli USA a fare proseliti e fondare un gruppo chiamato Jejah.
John subodora il vuoto quando lo incontra e promette di saperlo riempire, così riesce a convincere Phoebe a entrare nel suo gruppo. Ma Will, grazie alla sua precedente vita, sembra aver sviluppato gli anticorpi ai giochi di magia e all’abracadabra – come li definisce – di John Leal. Anticorpi che Phoebe sembra non avere e che la porteranno a un progressivo allontanamento dal ragazzo.
Will, però, non si arrende e prova a contrastare l’ascendente che John ha su Phoebe con l’amore e coinvolgendola in un rapporto di coppia che si rivela, come tutti, imperfetto. Quello che lui vede, lei ignora. Essendo lui vaccinato sa quanto possa essere illusoria l’impressione che un credo risolva tutti i propri problemi.
Gli incendiari (Einaudi) è il primo romanzo di R.O. Kwon, dove le due lettere stanno a indicare il suo nome inglese, Reese, e quello coreano, Okyong, autrice nata in Corea del Sud e trasferitasi all’età di 3 anni negli Stati Uniti. C’è molto di lei in questa storia: quando annuncia di essere agnostica alla sua religiosissima famiglia, lascia tutti basiti, interrompendo con loro ogni rapporto che verrà riallacciato solo dopo l’uscita del libro. Laureata in Economia alla Yale University, capisce ben presto che non è questa la strada che può renderla felice. Dopo una breve parentesi come consulente gestionale in un’azienda decide, quindi, di iscriversi a un master di belle arti al Brooklyn College. Attualmente scrive per testate prestigiose come The New York Times e The Guardian.
La prosa della Kwon è asciutta e quasi priva di riferimenti culturali esterni – canzoni, libri, cinema –, ma proprio per questo è potente ed evocativa. I suoi personaggi sono guidati esclusivamente da una personalissima ricerca del senso delle cose. I capitoli si alternano dando voce ai tre protagonisti principali – Will, Phoebe e John – e alla loro visione parziale delle cose. Il vuoto è il filo conduttore nonché la ricerca di riempirlo da parte di tutti, mentre ogni cosa brucia.
Brucia Will di amore per Phoebe e di rimpianto per la sua fede perduta.
Nella solitudine non ci può essere perdita, e un vantaggio secondario della fede che rimpiangevo in momento come quello era la facilità con cui, vedendo Cristo in ogni volto, riuscivo ad amare. Mentre l’odio è un’arma a doppio taglio, il perdono è un balsamo, e spesso avevo nostalgia, come di un amico, del ragazzo pacifico che ormai non avevo più ragione di essere.
Brucia Phoebe di un senso di colpa mai sopito che cerca, in tutti i modi, di riempire con una religione che non le appartiene fino in fondo.
Il suo bisogno di Cristo era, da cima a fondo, razionale. […] Mancando di vera fede, Phoebe poteva aver deciso di sopperire con l’azione, e dimostrare così la fede che spasimava di avere.
Brucia John Leal di un fanatismo religioso del quale si sente unico e vero profeta. E tutto è permeato da un fumo denso e scuro con il quale inizia e si conclude un romanzo potente e dalla forza perturbante.
Contributo a cura di Giuseppe Carotenuto, libraio:
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