Che i giornali e la libertà di stampa sarebbero stati sotto attacco lo avevamo già capito quando gli attuali partiti di maggioranza erano ancora all’opposizione, ma che si attivasse il sistema del tutti contro uno speravamo proprio che ci fosse risparmiato.
L’ennesima stroncatura alla stampa è arrivata, stavolta, dal Vicepremier Di Maio durante una diretta Facebook, il suo mezzo di comunicazione preferito: «Per fortuna ci siamo vaccinati anni fa dalle fake news dei giornali e si stanno vaccinando anche tanti altri cittadini, tanto è vero che stanno morendo parecchi giornali tra cui quelli del gruppo L’Espresso (da due anni sostituito con il Gruppo Gedi, ndr) che, mi dispiace per i lavoratori, stanno addirittura avviando dei processi di esuberi al loro interno perché nessuno li legge più perché ogni giorno passano il tempo ad alterare la realtà». Prontamente, il Presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, Carlo Verna, ha dichiarato l’emergenza della libertà di stampa, sottolineando che nessuno si deve illudere di poter cancellare con qualunque provvedimento di legge il giornalismo.
È paradossale leggere che proprio il Ministro del Lavoro, colui che dovrebbe provvedere a incrementarlo, quasi gioisca alla notizia che alcuni giornali stiano avendo difficoltà di bilancio causate dalle poche vendite, a detta sua perché pubblicano troppe fake news e sono servi di determinati partiti. Ma, forse, Luigi Di Maio, che si sta giocando il tutto per tutto con il reddito di cittadinanza, vuole che questo abbia talmente tanto successo da desiderare di offrirlo anche a coloro che saranno poi licenziati dal gruppo editoriale.
Battute a parte, quello dei pentastellati è un astio di lunga data: per tutti gli anni all’opposizione, la Casaleggio Associati è stata convinta che i quotidiani nazionali come La Repubblica prendessero finanziamenti pubblici e, già all’epoca, aveva promesso che li avrebbe tagliati tutti. Una volta salito al Colle, però, controllate le carte, Di Maio ha dovuto fare i conti con le fake news dichiarate da lui stesso in precedenza: i giornali più importanti non ricevono soldi statali, proprio per non essere manovrati dal potere politico in carica. Quale sgarbo avrà mai fatto, dunque, La Repubblica a Luigi? L’aiutarlo a prendere coscienza di tante grandi incoerenze nelle sue manovre oppure aver smascherato i 49 milioni dei suoi colleghi di governo?
Eppure ci sono alcune società che sfuggono all’ira funesta grillina. Una fra queste è il Gruppo Editoriale Il Fatto, proprietario de Il Fatto Quotidiano, gruppo dal quale l’ex compagno di partito di Di Maio, Alessandro Di Battista, viene stipendiato per un documentario dedicato alla sua ultima esperienza nel continente americano. Sì, perché se con i suoi seguaci Di Battista ha giustificato il viaggio, e quindi la sua conseguente assenza sulla scena politica italiana, con la voglia di scoprire il cambiamento attraverso le periferie del mondo, la realtà è ben altra: al grillino, infatti, è stato offerto anche di girare un reportage per iLoft, piattaforma online di proprietà proprio del Gruppo Editoriale Il Fatto, che vuole offrire contenuti in abbonamento su un’applicazione apposita.
L’opinione pubblica, però, non è sempre così prevedibile e manovrabile e quindi, di tutta risposta alle ultime dichiarazioni del Vicepresidente, è scattata una protesta a supporto dei giornalisti e di tutti gli altri lavoratori del gruppo sotto attacco che ha contribuito all’accrescimento delle vendite. Dunque, così come è successo negli ultimi giorni con il valore dell’opera di Banksy, che lo stesso autore ha fatto distruggere per ribellarsi alla commercializzazione dell’arte causando così il raddoppiamento del valore del quadro, La Repubblica e l’Espresso hanno venduto di più dopo le dichiarazioni del Ministro del Lavoro, almeno la settimana scorsa. Se l’attuale governo avesse imparato di più dal passato, dunque, avrebbe capito che la stampa serve chi è governato, mai chi governa.