Picasso, Hemingway, Fitzgerald, Matisse, Braque, T.S. Eliot: sono solo alcuni dei nomi degli artisti che si ritrovano per caso, o forse no, tra le strade di una meravigliosa Parigi negli anni Venti. Passati alla storia come i membri della generazione perduta, alcune delle pagine più appassionanti della letteratura, così come alcune delle tele più evocative che i musei di tutto il mondo ospitano, si devono a loro, al genio che li contraddistingue e all’arte che li abita ma, soprattutto, a una donna il cui nome ha il suono dell’indipendenza: Gertrude Stein.
Nata il 3 febbraio 1874 in Pennsylvania, America, da una famiglia ebraica di origine tedesca e rimasta ben presto orfana, terminati gli studi di psicologia prima e interrotti quelli di medicina poi, Gertrude sperimenta già in questi anni quelle che saranno le due costanti fondamentali della sua vita: la scrittura e l’omosessualità. Dopo la pubblicazione di alcuni articoli, infatti, si dedica al suo primo romanzo, Q.E.D. (Quod erat demonstrandum, Come volevasi dimostrare), reso noto soltanto nel 1950, postumo, con il titolo Things As They Are. Le protagoniste dell’opera sono donne che vivono relazioni amorose e conflittuali tra loro, ispirate a spaccati di vita vissuti dall’autrice. Se il lesbismo non è celato, però, sin da subito comincia a farsi spazio una narrazione che svaluta la trama, prediligendo un racconto che non racconta, una mescolanza di generi che si fondono e si annullano, una destrutturazione dei canoni tradizionali che la scrittrice non riesce a fare propri. Nasce una nuova modalità di scrittura, d’avanguardia pura, che segna il Novecento e ne cambia, insospettabilmente, le sorti.
Nel 1904, seguendo il fratello Leo, la donna si stabilisce finalmente a Parigi, al 27 di rue Fleurus, poco distante dal Jardin du Luxembourg, un indirizzo che diverrà meta di approdo inevitabile per le più intriganti personalità che il XX secolo avrà modo di conoscere. Al cospetto della Stein, infatti, si presenteranno tutti, o quasi, gli artisti di passaggio nella capitale francese, in modo particolare gli americani emigrati in Europa per i quali Gertrude, come racconta lo stesso Hemingway in Festa mobile, ispirata da una frase pronunciata dal proprietario di un’officina meccanica il cui dipendente non è riuscito a ripararle l’auto, inventerà l’espressione the lost generation, la generazione perduta, da lei salvata e stimolata.
Come un novello mecenate, colleziona opere d’arte, in particolare quelle di Matisse e Cézanne, ancora poco conosciuti, quest’ultimo autore del quadro appeso di fronte alla scrivania di Stein che a esso guarda nella stesura dei suoi scritti, mossa dalla visione che il pittore ha dell’arte, a suo modo anticipatrice, condizionandola, della pittura degli anni a venire. Gertrude, inoltre, si intrattiene con il futuro padre de Il vecchio e il mare, lo guida alla scoperta della sua penna, lo spinge a una forma scritta nuova, lei che è sempre stata avanti, sua consigliera e maestra, il modello più influente per l’apprendistato dello scrittore poi Premio Nobel che deve il ritmo dei suoi testi, quell’americano simile al parlato, insistente, vero, paratattico e senza fronzoli all’intellettuale sua conterranea e carissima amica.
Per Gertrude, tuttavia, gli incontri che cambiano completamente la sua vita sono due: quello con Pablo Picasso e quello con Alice B. Toklas. Entrambe le frequentazioni, infatti, permettono la maturazione della donna come artista e come persona, che con il primo finalmente ha l’opportunità di esprimersi davvero in tutta la sua visione futuristica dell’arte, mentre con la seconda vive un amore che la riempie e la svuota al tempo stesso, ma non per questo la indebolisce.
Pablo e Gertrude si cercano, si completano, parlano una lingua nuova e sconosciuta, l’uno su tela, l’altra su foglio, insieme, ciascuno a suo modo, partoriranno una forma d’arte moderna e rivoluzionaria. Non a caso, il quadro considerato da molti come il precursore del Cubismo è Ritratto di Gertrude Stein firmato da Picasso ed esposto ancora oggi al Metropolitan Museum di New York. Probabilmente l’unica, del suo secolo, a essere immortalata da ben venticinque differenti artisti.
Nel Novecento tutto si distrugge e niente continua, il Novecento quindi ha uno splendore tutto suo. Picasso è di questo secolo. Ha la singolare qualità di una terra che nessuno ha mai veduto, di cose distrutte come mai sono state distrutte. Picasso, dunque, ha il suo splendore.
Quella che lega i due è un’amicizia forte, fatta di stima e sostegno reciproco. Ciò che lui vede e dipinge, lei lo sente e lo scrive, fino a farne un piccolo libro in cui racconta del pittore e del suo essere fortemente spagnolo, caratteristica che rimanda alla singolare concezione della scrittrice secondo la quale tutto, quindi anche il fare l’arte, è condizionato dal modo in cui le strade sono frequentate. Di certo, Pablo e Gertrude passeggiano lungo le stesse vie dell’anima, le percorrono l’uno accanto all’altra, inconsapevolmente prima, inevitabilmente poi. Insieme e da soli, scompongono la realtà, ne inventano una tutta loro, la lingua e la pittura assumono un significato autonomo che si allontana completamente dal contesto reale, di cui non ha più bisogno. Così come in quadro cubista, anche nella letteratura steiniana si deve poter riconoscere la forma in generale, non l’oggetto nel particolare. Gertrude Stein compone arabeschi con cadaveri di parole, dirà del suo modo di scrivere Mario Praz, critico letterario, traduttore e giornalista italiano.
Il suo sperimentalismo sempre vivo e brioso porta l’intellettuale americana a comporre anche Autobiografia di Alice Toklas, la sua opera più famosa. Con un espediente del tutto singolare quale la narrazione attraverso gli occhi di Alice, sua compagna fedele, infatti, Gertrude racconta non la vita della donna che le sta accanto, come il titolo presupporrebbe, bensì la propria attraverso la voce di una narratrice che ben conosce, immedesimandosi e trasformando, dunque, l’amante nella sua biografa e se stessa in un personaggio. Per la prima volta, il linguaggio si apre a un pubblico più vasto che ne premia il tono pettegolo e curioso, spalancando le porte di uno degli appartamenti più invidiati di Parigi e non solo, crocevia di menti brillanti e personalità uniche, prima tra tutte quella di Stein.
Piccola, grassottella, dal fare mascolino ma così eroticamente intelligente, seduce uomini, quale Hemingway, e donne, come Alice, che la ama per più di trent’anni in modo cieco e talvolta asfissiante, al punto da pretendere l’allontanamento del primo. I numerosi tradimenti della scrittrice, infatti, non la tranquillizzano, non potrebbero, ma la addomesticano senza scalfirne la fedeltà e, come nel più classico dei matrimoni dell’epoca soprattutto, la sottomissione. Alice sopravvive al suo amore per molti anni, scegliendo di farsi seppellire accanto alla donna amata e di incidere il suo nome sul retro della lapide di colei che ha inventato l’arte moderna. La loro storia, così vera, così intensa, spesso ingiusta ma così spregiudicata per gli anni in cui si sviluppa, senza mai nascondersi, ancora oggi suscita polemiche e controversie causa un mondo poco avvezzo alla diversità. Una diversità che, nell’arte come nella vita, invece, contraddistingue e rende immortale Gertrude Stein, pioniera del futuro, profumo d’avanguardia, protettrice di una generazione perduta ma da lei salvata.