Vivere di sola luce si può? È realistico credere a un’esistenza che si fondi soltanto sulla pratica della musica, della meditazione e dell’apertura alle emozioni proprie e altrui, in un cammino verso l’accoglimento di se stessi e l’armonia generale? È possibile sottrarsi alla dipendenza dal cibo per vivere un’esistenza più naturale e sostenibile? Sono questi gli interrogativi che alcune correnti del pensiero moderno si pongono e che Gerda Bless, scrittrice olandese, esamina nel proprio libro Noi siamo luce, tradotto per il mercato italiano dalla casa editrice Iperborea (traduzione di Claudia Di Palermo).
Ispirata a un fatto di cronaca vero di un gruppo che decide di smettere di mangiare, la storia di Melodie – la protagonista del libro – è un’indagine della società contemporanea, degli estremismi che la contraddistinguono, delle nuove forme di irrazionalismo che deragliano in un bisogno atavico di appartenenza fino a distrarre la ricerca del bene da parte dell’individuo, sconfinando nel male più buio.
Quello dell’autrice Premio dell’Unione Europea 2021, e Premio dei librai olandesi, è un puzzle di voci straordinario, venticinque testimoni-narratori ricostruiscono a turno i fatti e s’immergono nella coscienza dei personaggi, portandone a galla le illusioni, i ricorsi all’autogiustificazione e i nuovi interrogativi. Abbiamo incontrato la giovane promessa della letteratura continentale in occasione del Salone del Libro di Torino:
Noi siamo luce si ispira a un reale fatto di cronaca. Perché questa vicenda ha colpito la tua curiosità e come ha preso forma nella tua mente?
«Ho letto di questa storia su un giornale e, immediatamente, due cose hanno attirato la mia attenzione. La prima era vivere di sola luce, liberare il corpo dalla schiavitù del cibo per crescere interiormente, non mangiare: mi interessava capire quale fosse la ragione per cui le persone compiono scelte così estreme. In fondo è così chiaro che dipendiamo dal cibo, dal nutrirci, dunque perché qualcuno ignora questa evidenza? Mi incuriosiva, quindi, immaginare quali potessero essere le relazioni che si erano instaurate tra le persone del gruppo coinvolto, perché si spingessero a continuare in questa sfida, e anche al di fuori di esso. Infine, mi sono anche chiesta la ragione per cui nessuno fosse in grado di fermarli».
Venticinque capitoli, venticinque voci diverse, un unico grande puzzle. Quanto è stato difficile ed eccitante dare voce a tutti gli elementi della storia, persino la luce del capitolo finale? E… esiste una soluzione dell’enigma?
«No, non credo esista una soluzione. Non saprei dire qual è. Mi sono molto divertita a dare voce a tutti questi elementi, anche se talvolta è stato difficile. Alcuni personaggi e alcune situazioni mi erano subito chiare, altre non mi riuscivano, non avevano una voce propria, distinta. Allora dovevo fermarmi, chiedermi perché non funzionassero, e finalmente trovare una chiave che fosse completa, chiara. Mi sono chiesta perché quella storia o quel capitolo andasse raccontato e, quando ho trovato la risposta, tutti i tasselli del puzzle, come dici, si sono incastrati».
Come mai fai spesso ricorso all’ironia?
«Credo sia proprio il mio modo di pensare, qualcosa che mi viene naturale, soprattutto quando scrivo: c’è sempre un secondo pensiero dietro ciò che scrivi o dici. È non prendere tutto troppo sul serio, nemmeno l’assurdità dei fatti, anche se l’argomento, in effetti, non è certo superficiale».
Il tuo libro parla della società di oggi, dei suoi estremismi, delle sue contraddizioni. La ricerca del bene che però rischia di sconfinare nel male e non riconoscerlo, o peggio normalizzarlo, come nel caso di Elisabeth, che muore di denutrizione dopo che il gruppo le è rimasto accanto senza chiamare soccorso. È così o, altrimenti, come la pensi?
«In effetti è molto difficile saper distinguere il bene dal male. Prima di Noi siamo luce avevo scritto una raccolta di racconti dello stesso tipo, un gruppo di persone che prova a far sì che le cose vadano in un certo modo ma, poi, qualcosa va storto. È stato difficile mostrare ai miei personaggi quale fosse la realtà. Faccio un esempio: Melodie e gli altri digiunano ma perdono peso. Se davvero – come credono – l’essere umano è in grado di nutrirsi solo di luce, perché allora perdono peso e diventano magri? Non dovrebbe accadere».
Per fare ciò ti sei servita anche di tanti stili letterari: c’è prosa, poesia, ironia.
«Credo mi aiuti molto scrivere a mano. Scrivo sempre prima a mano i miei racconti. In questo caso mi sono dovuta chiedere, per ciascuno dei miei personaggi, come avrebbero raccontato quella storia, quale fosse la voce di ognuno e questa ricerca ha combaciato, come dici, con diversi generi letterari. Non è qualcosa che avevo deciso a priori, ma che ho trovato sulla pagina. Scrivendo, pensi: “Ok, questo personaggio vuole parlare così, lui è poetico, un altro è ironico”, viene dalla narrazione».
Alla fine, Melodie dice: credevano di potersi nutrire solo di luce. Che cosa racchiude questa frase?
«Dopo tutto ciò che accade – e che non anticipiamo al lettore – lei continua a credere nella propria illusione, questo vuol dire che non c’è uno sviluppo del proprio pensiero. Non sempre quella che può sembrare una lezione poi insegna qualcosa, non è assolutamente vero. Forse ciò che accade addirittura la fortifica in ciò che pensa».
In Olanda, il tuo Paese, hai riscosso un successo straordinario. Come riesci a gestirlo e cosa ti aspetti da te stessa e dal tuo futuro come scrittrice?
«È stato bello ricevere tanta attenzione, soprattutto per il periodo che stavamo vivendo in cui non c’erano troppe buone notizie, era all’inizio della pandemia. Ho cominciato a ricevere buone recensioni e alla fine dell’anno, quando si pubblicano articoli sui migliori libri degli ultimi dodici mesi, Noi siamo luce era spesso in cima a molte di queste. Non si potevano fare molte attività, poi però abbiamo cominciato a tornare alla normalità ed è arrivato anche qualche premio. Devo ammettere che questa attenzione mi rende un pizzico nervosa per il mio prossimo libro, mi mette un po’ di pressione, ma è una buona sensazione».
Siamo in Italia, c’è qualcosa della nostra letteratura che ti piace o ti ispira?
«Ho un ricordo straordinario de La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano. Un libro eccellente, importantissimo per la mia crescita».