Oggi vogliamo parlarvi di una penna particolare, quella di Gennaro Matino, sacerdote napoletano che ha deciso di abbracciare la croce della sua missione in questa vita, perché l’attesa inerte della prossima proprio non faceva per lui.
Ben consapevole che la carità che predica è qualcosa che si prova sul campo, Matino ha condito i suoi trentasei anni di sacerdozio con iniziative di ogni tipo, impegnandosi a diffondere non solo il Verbo, ma anche la sua esperienza e il suo sapere perché, prima di essere parroco, lo scrittore non dimentica di essere uomo.
Il suo cammino, tutt’altro che prettamente spirituale, si muove tra la scrittura e la docenza universitaria. Insegnante di Teologia Pastorale presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e di Storia del Cristianesimo presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Matino è anche editorialista per l’Avvenire, Il Mattino e La Repubblica.
Prete moderno, aperto alle novità, rivolge il suo sguardo alla comunità tutta, senza dimenticare mai i giovani ai quali cerca di trasmettere il suo esempio anche e soprattutto fuori le mura della sua chiesa, la Santissima Trinità di Napoli. E tra i molti modi che ha trovato per raggiungere fedeli e non, non manca il social più cliccato del web, Facebook, una vetrina profana che però gli dà voce e grazie alla quale sa farsi sentire.
Autore di numerosi romanzi, si inserisce perfettamente nel clima di festa di questi ultimi giorni, con libri come Il Pastore della Meraviglia, annata 2007, Buon Natale Gentilezza, pubblicato nel 2008, e L’ultimo dei Magi, uscito l’anno successivo, nel 2009.
Quello che abbiamo scelto di commentare con voi è il primo della lista, una storia che riempie il lettore di meraviglia, proprio come il pastore da cui prende il nome. Il racconto si snoda a partire dall’esigenza di un bambino che, per la scuola, deve fare una ricerca. Il tema: raccontare il Natale.
Il bimbo potrebbe affidarsi alle enciclopedie, tuttavia riesce a trovare una fonte ben più preziosa: un uomo anziano, lo zio Peppe, sposato e senza figli, che non solo riesce a iniziarlo al meraviglioso mistero del Natale, ma diventa una vera e propria figura di riferimento, il nonno che il bambino inconsapevolmente cercava, l’affetto di cui entrambi avevano disperato bisogno.
Ma ecco il primo segreto che il gentile signore gli svela: l’enigma del presepe. Per farlo, parte proprio da lui, il pastore della meraviglia, che tra tutti è il primo testimone del miracolo della nascita di Cristo. Non è un caso che la sua statuina sia raffigurata a bocca aperta, incapace di proferire parola. Immobile, la bocca spalancata e gli occhi lucidi, trattiene il respiro per non sciupare quell’attimo eterno e unico, consapevole che nessuna descrizione potrebbe rendergli giustizia, capace solo di contemplarlo.
Inizia così una storia nella storia che porta il lettore a indossare i panni del bambino. Ora anche lui trattiene il fiato e, pagina dopo pagina, scopre il senso di tutte quelle figure che sembravano messe lì a caso e che, invece, hanno tutte un significato speciale.
Si scopre che la grotta rappresenta il ventre della terra e il bue e l’asinello sono Oriente e Occidente: da un lato pazienza e riflessione, dall’altro laboriosità. Insieme sono il simbolo delle due parti del pianeta, entrambe a sottolineare che Cristo è nato per tutti. Si svela, poi, che l’immancabile cantina piena di ubriachi rappresenta il male e Gesù vi nasce accanto, vicino fin da subito ai reietti, ai derelitti della società, i dimenticati che vogliono scordare la propria vita misera: il Bambino arriva per loro, nato per essere il Salvatore.
C’è, infine, Benino, rappresentante del sogno: lato spirituale in cui l’uomo non è schiavo della carne, oltre che simbolo di un momento importante, quello in cui Giuseppe riceve la visita dell’Angelo che lo informa del suo destino.
Il libro continua così, in una spiegazione affatto sterile, intervallata dagli scambi di battute tra Zio Peppe e la moglie Luisella. Ricco di sfumature, attraverso un racconto leggero e istruttivo, alla portata di tutti, è in grado di trasmettere messaggi diversi. Tra gli altri, l’importanza del confronto visivo, che nessuna tecnologia potrà mai colmare. La ricerca del bambino ha successo perché trae origine dalla vita, cerca e trova l’esperienza sentita di chi certe cose le sa perché ha imparato a custodirle dentro.
Su questo sfondo, il rapporto di mutuo scambio tra vecchie e nuove generazioni è un altro tema che Matino tocca volentieri, per ricordare che non si è mai troppo vecchi o troppo giovani per imparare qualcosa, creare nuovi legami. Così, la differenza d’età non è più un limite, ma l’occasione di arricchirsi nella mente e nell’anima: da un lato, il bambino con la gioiosa ebbrezza dei suoi pochi anni, dall’altro il vecchio che ha saputo conservare l’incanto e porta ancora con sé l’entusiasmo tipico di chi è pronto a donare tutto l’amore che ha tenuto in serbo, in attesa di qualcuno che lo volesse.
Quando anche l’ultima pagina è finita e il libro si chiude, resta dentro una sensazione di pienezza e appagamento, che condisce con significato nuovo l’incantesimo delle luci natalizie, dei pastori sul presepe, dell’albero con sotto i regali. Leggere Gennaro Matino a Natale vuol dire non cedere alla banale superficialità di chi vede questa festa come una buona scusa per far crescere il conto in banca dei padroni del mercato, significa vedere i doni come gesti di puro altruismo, così che una lettera scritta di cuore acquista un valore ben superiore all’ultimo modello di telefono. Il cenone non è più abbuffata, ma occasione per stare in compagnia, accantonando almeno per una sera i contrasti. Il presepe, infine, non è più un mucchio di sughero e colla messi insieme come va meglio, ma il simbolo unico di una nascita che riempie di meraviglia gli occhi di chi ha fede e di chi, pur non credendo, non sa spiegarsi quel calore nel cuore che del Natale è il regalo più bello.