L’anguilla, la sirena
dei mari freddi che lascia il Baltico
per giungere ai nostri mari,
ai nostri estuari, ai fiumi
che risale in profondo, sotto la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello, assottigliati,
sempre piú addentro, sempre piú nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli di melma finché un giorno
una luce scoccata dai castagni
ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta,
nei fossi che declinano
dai balzi d’Appennino alla Romagna;
l’anguilla, torcia, frusta,
freccia d’Amore in terra
che solo i nostri botri o i disseccati
ruscelli pirenaici riconducono
a paradisi di fecondazione;
l’anima verde che cerca
vita là dove solo
morde l’arsura e la desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto pare
incarbonirsi, bronco seppellito:
l’iride breve, gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell’uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?
In uno specchio dell’Oceano Atlantico, tra le Grandi Antille e le Azzorre, un guizzare d’anguille si staglia nel Mar dei Sargassi, nella scenografia di una danza erotica, prolifica e suggestiva. Serpenti marini agili e liberi, le anguille hanno stuzzicato l’ingegno di grandi menti nel mondo della letteratura.
Nella poesia L’anguilla di Eugenio Montale, ad esempio, l’animale attraversa mari e fiumi di ramo in ramo e di capello in capello, spingendosi sempre più addentro, sempre più nel cuore del macigno, e si riproduce in un ambiente apparentemente sfavorevole. La descrizione visiva e affascinante che il poeta italiano fa dell’anguilla è per noi simbolo della cultura odierna che tenta ogni giorno la sopravvivenza in un contesto sociale ostile, dove si annichilisce tutto ciò che non si rivela utile in senso pratico. Il piacere di un arricchimento umanistico conduce l’uomo alla conoscenza della sua anima antica e del suo passato, di una storia comune che avvicina gli individui e li dirige verso un futuro che a oggi resta ignoto. Uno spiraglio su chi siamo stati permette la consapevolezza di chi siamo e apre uno scorcio su chi saremo. Guizzante e caparbia, la componente culturale della nostra società naviga, seppur talvolta con fatica, tra onde favorevoli e contrastanti, e proprio nel più oscuro degli scenari può produrre i frutti più felici.
È così che Mar dei Sargassi sceglie di navigare ed è a creature della medesima tenacia che apre le sue acque. È per chi ancora spera che la parola possa costituire la vera rivoluzione e lasciare un segno indelebile nel tempo. Segno di un’identità, un’orma che precede le tante che verranno, in uno sguardo più positivo verso ciò che sarà. Nell’era dei numeri, Mar dei Sargassi ritaglia uno spazio al coraggio delle lettere, alimentando la speranza di poter restituire l’antico prestigio all’espressione su carta della profondità umana, scavando con la penna negli abissi del proprio Io.
l’anima verde che cerca
vita là dove solo
morde l’arsura e la desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto pare
incarbonirsi
In un continuo processo di riadattamento a circostanze sempre nuove e diverse, l’arte letteraria riceve un perenne supporto dalla passione di tanti e si identifica nell’anguilla, che impara ad adeguarsi e a sopravvivere là dove in apparenza non si può.
Come nelle acque descritte da Montale attraverso immagini dai tratti sensuali, anche nel nostro Mar dei Sargassi si ricerca, ogni giorno, il momento perfetto per generare, diventare tutt’uno con la nostra penna e produrre i frutti migliori a partire da sensazioni, esperienze e opinioni, scattanti e pungenti quando opportuno, affrancati da vincoli e condizioni. Il fine è un ritorno alla libertà di informazione, un ritorno alla scrittura pura e onesta, mai corrotta dalle convenienze, nonostante in un ambito così difficile, a volte, questa possa sembrare l’unica strada possibile.
Ma nella desolazione e nello scoraggiamento – non casuale – delle lettere, la nostra voce si accende come una scintilla e risale in profondo, sotto la piena avversa, aprendo il canale a ogni realtà di rischi e abbandoni, ai luoghi afflitti dal pregiudizio e/o dalla precarietà, a ogni entità, persona e località che ancora crede in una rinascita.
Non è l’anguilla contro il mondo, che resta nel suo mare e dimentica le terre e le altre acque, ma arriva ovunque riesca, ovunque vi sia possibilità di accoglienza e di prolificità. Ogni angolo può divenire un paradiso di fecondazione, l’occasione di un legame e un’intesa non fini a se stessi, ma alla nascita di una novità e di una piccola meraviglia. Essere anguille significa aguzzare lo sguardo ed esplorare, aggregarsi, ricercare e offrire un sostegno, giungere ai fossi e ribalzare in alto, essere torcia ed essere frusta, mordere l’arsura e fecondare. Restaurare ciò che è stato abbandonato a sé e creare dove tutto è andato distrutto, in un continuum tra passato, presente e futuro, dove le anguille possono ricordare, credere e sognare.