Il Garante dei detenuti e delle persone private della libertà è un organismo statale indipendente che ha il compito di monitorare tutti i luoghi di detenzione, assicurando così che in questi spazi – che non hanno altre possibilità di controllo e in cui c’è una certa disparità strutturale tra custodi e custoditi – non avvengano abusi e le condizioni di vita siano rispettose della legge.
In Italia, questa figura è stata istituita solo nel 2013 con il dl n. 146, nonostante in tal senso fossero già stati assunti impegni internazionali e l’organo collegiale fosse presente in quasi tutte le democrazie europee e non (basti pensare che la prima elezione si ebbe in Svezia nel 1809!). Pur con trasformazioni che hanno interessato i suoi compiti nel corso di questi anni, il ruolo è attualmente ricoperto in 25 Paesi europei e la sua introduzione nello Stivale si è avuta sulla scia di numerose riforme successive alla sentenza Torreggiani, con la quale la CEDU condannò l’Italia per i trattamenti inumani e degradanti che avevano luogo nelle sue carceri.
In quell’occasione, la Corte di Strasburgo puntualizzò che la carcerazione non fa perdere al detenuto il godimento dei diritti sanciti dalla Convenzione, ma che anzi lo stato detentivo può e deve comportare una maggiore attenzione e tutela per la vulnerabilità della sua situazione. Il recluso si trova sotto la responsabilità totale dello Stato sul quale incombe l’obbligo positivo di assicurargli condizioni rispettose della dignità umana che non comportino uno sconforto che ecceda l’inevitabile livello di sofferenza insito nella detenzione stessa.
Si tratta, dunque, del rispetto della nostra Costituzione, del suo art. 27 che sancisce il fine rieducativo della pena e l’impossibilità di trattamenti contrari al senso di umanità, oltre che dell’art. 3 che pone tra i principi inviolabili dell’individuo proprio la dignità. Da qui, si evince facilmente l’importanza della figura del Garante in situazioni delicate e talvolta spaventose, come le carceri, le REMS, i centri di detenzione per migranti, le stazioni di polizia e, ancora, i reparti dove si effettuano trattamenti sanitari obbligatori o i voli su cui avvengono i rimpatri. Luoghi accomunati dalla privazione della libertà ai danni di individui che vivono uno stato di costrizione e, spesso, di sofferenza che necessita, quindi, di uno sguardo imparziale e terzo che è appunto quello del Garante, il quale può accedervi senza preavviso né autorizzazione. Proprio di recente, però, la sua figura è stata messa in discussione in una polemica che ha coinvolto Mauro Palma, Presidente dell’organo collegiale del Garante e fondatore dell’Associazione Antigone per i diritti dei detenuti, e il Sindacato di Polizia Penitenziaria SAPPE.
Andando con ordine, la miccia che ha scatenato lo scontro è stato un video promozionale della polizia penitenziaria trasmesso il mese scorso, suscitando non poche perplessità. Autorizzata dal Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Regione Lombardia, realizzato all’interno del carcere milanese di Opera e sponsorizzato da un ente privato di nome Omnia Secura Academy che lavora nel campo della formazione, la clip mostra inseguimenti, metodi di perquisizione e tiri al bersaglio, senza fare minimamente cenno al rapporto quotidiano che gli agenti di custodia instaurano o dovrebbero instaurare con i reclusi.
Il video – dal titolo Polizia, oltre il penitenziario – pur non essendo di promozione ufficiale, è stato realizzato con personale e materiale dell’amministrazione penitenziaria, per cui Mauro Palma si è sentito in dovere di chiedere spiegazioni al Ministro della Giustizia Bonafede per il messaggio che esso può trasmettere: un campo di battaglia, un carcere repressivo e punitivo, che dovrebbe essere stato cancellato da un pezzo, dalla Legge Gozzini del 25 ottobre 1986, che ha affermato il ruolo fondamentale della polizia carceraria nella rieducazione e nella riabilitazione di chi è recluso.
L’intervento di Palma, che si occupa da anni delle varie forme di privazione della libertà e di lotta alla tortura, è stato definito pretestuoso e rappresentativo, inoltre, della sua avversione nei confronti della polizia penitenziaria stessa. Si è addirittura rafforzata tale tesi affermando che non sia un caso che il Garante si costituisca parte offesa in ogni procedimento giudiziario contro le guardie carcerarie. Come se non bastasse, oltre a metterne in dubbio professionalità e imparzialità, il sindacato ha annunciato che proporrà una legge di iniziativa popolare o un referendum abrogativo per sopprimere la figura del Garante. Un’affermazione che ha destato scalpore poiché ridimensiona la necessità e l’indispensabilità di un simile ruolo all’interno di ogni sistema democratico che si rispetti.
Il Garante, infatti, deve essere punto di riferimento per tutti coloro che sono a contatto con il mondo della detenzione, vigilando sul benessere della popolazione penitenziaria, agenti compresi. Per questo, Antigone ha lanciato un appello a cui hanno aderito singoli e associazioni da tutta Italia per denunciare il pericoloso attacco sferrato ai suoi danni. Donato Capece, Segretario del SAPPE, si è però difeso affermando che l’oggetto della polemica era un video di esercitazione e ha accusato Palma di essere contro la formazione perché vuole agenti impreparati e inermi di fronte ai detenuti. Ha sostenuto, inoltre, che ai detenuti sono già garantiti tutti i diritti che spettano loro, dall’integrità fisica a quella mentale, fino ad arrivare alla tutela dei rapporti familiari e sociali. Eppure, i dati raccolti da chi annualmente visita le carceri italiane sono ben altri e, con certe affermazioni, gli agenti di custodia dimostrano di guardare a modelli detentivi sempre più arcaici, anziché rivolgere lo sguardo a Paesi che hanno realmente messo al centro dei propri sistemi penali la rieducazione e l’aspetto umano.
Purtroppo, tali polemiche hanno numerosi precedenti: basti pensare a quelli riguardanti Palma e il personale di polizia penitenziaria assegnato all’ufficio del Garante o all’amara sfilza di commenti e minacce che lo stesso ricevette sulla pagina Facebook delle guardie carcerarie in occasione di un rapporto sulle criticità del 41 bis di qualche anno fa. Dure polemiche non sono mancate, inoltre, per la nomina a Garante dei detenuti della città di Napoli di Pietro Ioia, ufficializzata dal Sindaco de Magistris il 9 dicembre scorso.
Al centro dell’attenzione c’è stato il passato del nuovo Garante – fondatore dell’Associazione Ex detenuti organizzati Napoli e, a sua volta, ex detenuto di Poggioreale –, che è stato accusato di essere figura sbilanciata e parziale dal Sindacato di Polizia Penitenziaria USPP che ha chiesto un’indagine conoscitiva poiché, a suo avviso, esistono chiari motivi per revocare l’incarico anche attraverso azioni legali che dovrebbe intraprendere il Ministro della Giustizia. Il Presidente dell’USPP Giuseppe Moretti e il Segretario campano Ciro Auricchio ritengono infatti che si tratti di una nomina illegittima, fatta dal Sindaco senza consultare il Consiglio Comunale e senza individuare le caratteristiche morali e l’integrità personale che la figura deve possedere.
Il tutto è stato montato ad arte per divenire strumento di propaganda politica dallo stesso senatore Matteo Salvini che si è recato in visita alla Casa Circondariale di Poggioreale a sostegno degli agenti. Ho raccolto il grido di allarme di un carcere sovraffollato che grida al mondo lo SCHIFO per la nomina di uno pseudo Garante dei detenuti con una carriera di spacciatore di morte alle spalle: questo è ciò che è apparso sui suoi social subito dopo la visita, ribadendo quanto il pregiudizio sia incalzante e che chi esce dal carcere è marchiato a vita, senza poter ottenere una seconda possibilità.
Al di là di tali sterili polemiche, però, la figura del Garante – nazionale, regionale o cittadino che sia – è presidio di legalità all’interno dei luoghi di reclusione e fondamentale tutela per chi vive privato della libertà. A coloro che in queste dispute si tuffano come fossero il miglior mare in cui sguazzare, invece, andrebbe ricordato che i detenuti, in Italia, sono più di 60mila – a fronte dei 50mila posti ufficialmente disponibili nei luoghi di detenzione –, che la recidiva è di circa il 70% – a dimostrazione del fallimento del fine rieducativo della pena e del sistema penale nel suo complesso – e, ancora, che i corsi di formazione, dunque le opportunità offerte negli istituti penitenziari, sono praticamente nulli.
Andrebbe ricordato, inoltre, che le peggiori torture e le atrocità sono denunciate esattamente lì, nei nostri centri di detenzione. Solo così, guardando oltre il proprio naso – e oltre il proprio tornaconto elettorale –, ci si potrà accorgere che lo SCHIFO invocato a gran voce dal carcere sovraffollato non è per la nomina di questo o di quel Garante, ma per l’umanità che a ciascun individuo viene strappata quotidianamente all’interno delle tristi mura circondariali.