Nella città della pace che, per prima, si è liberata dell’occupazione nazista, alcuni signori in doppio petto sono venuti a parlare di armi e guerra, scortati da caccia a bassa quota. Sono i Ministri della Difesa che lo scorso weekend si sono riuniti per la prima volta a Napoli in occasione di un G7 ad hoc voluto dalla Presidenza del Consiglio italiana. A Palazzo Reale, dove si è tenuto il meeting, hanno presenziato anche il Ministro della Difesa ucraino, Rustem Umerov, l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell e il Segretario generale della NATO Mark Rutte. Fuori, in una città blindata, i manganelli hanno risposto alle voci di dissenso. Nulla di strano nel Paese che non conosce opposizione.
Il G7, che ha tenuto alta la tensione in tutta Napoli, si è concluso con una Dichiarazione Congiunta che ha toccato alcuni dei temi più caldi di questi mesi: Ucraina, Medio Oriente e Indo-Pacifico. Una dichiarazione di cui non si è parlato quasi e che, invece, sa molto di attacco e poco di difesa, quando non condita di parole vuote dai toni propagandistici.
Se nel primo caso è stato ribadito un sostegno incrollabile al Paese guidato da Zelensky, condannando la Russia che ha messo in atto una posizione di confronto e destabilizzazione su scala globale, ricorrendo anche a guerre ibride e all’uso irresponsabile della retorica nucleare, e nell’ultimo è stata sottolineata la preoccupazione per la situazione nei mari della Cina orientale e meridionale – con particolare riferimento alla stabilità nello Stretto di Taiwan e alle azioni della Corea del Nord –, è ancora una volta l’atteggiamento nei confronti di quanto sta accadendo in Medio Oriente a chiederci di entrare nel merito dell’ennesimo torto alla gente di Gaza.
Il capitolo in questione si apre così:
Esprimiamo la nostra preoccupazione per l’escalation in Medio Oriente. Ribadiamo la nostra ferma condanna dei brutali attacchi terroristici perpetrati da Hamas il 7 ottobre 2023. Chiediamo un cessate il fuoco immediato e la rapida liberazione di tutti gli ostaggi. Questo attacco ha innescato una spirale di violenza, che coinvolge anche Israele e Hezbollah, colpendo profondamente i civili. Un pericoloso ciclo di attacchi e ritorsioni rischia di alimentare una escalation incontrollabile in Medio Oriente, che non è nell’interesse di nessuno.
Il capitolo in questione chiarisce sin da subito da che parte stanno il G7, l’Europa e la NATO. Una presa di posizione evidente, sicuramente non inedita, che mira a stabilire prontamente delle gerarchie, al fine di evitare qualsivoglia incidente diplomatico. Il primo, primissimo, pensiero va alla condanna del 7 ottobre, il secondo alla spirale di violenza che coinvolge anche Israele (e Hezbollah). Una congiunzione inequivocabile, volutamente a sottolineare la subordinazione dell’azione israeliana ai brutali attacchi terroristici di quella maledetta data. Una sorta di coinvolgimento a loro insaputa, insomma. A un anno da quei fatti terribili, però, questa narrazione non regge più, non è accettabile. Non dinanzi a 42mila morti e 100mila feriti palestinesi, non dinanzi alle torture, alla fame, alla distruzione a cui sono costretti. Non dinanzi al genocidio.
[…] sottolineiamo l’importanza che tutte le parti agiscano in conformità con il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale. Quel diritto che da dodici mesi – per limitarci ai tempi più recenti – Israele non ha mai smesso di violare, addirittura attaccando a più riprese la missione ONU, suscitando soltanto finta preoccupazione per quelle che nel documento ci si limita a definire minacce alla sicurezza dell’UNIFIL. Eppure, gli stessi caschi blu possono garantire che si è andati ben oltre le minacce – e gli ordini perentori a lasciare la zona presidiata per la propria tutela. Se la protezione dei peacekeeper è responsabilità di tutte le parti in conflitto, a oggi solo una – indovina quale – non se n’è assunta l’incombenza. Ma non si può dire. Nemmeno questo.
[…] riaffermiamo il nostro impegno a sostenere un processo politico verso una soluzione a due Stati, quale unica opzione per garantire la coesistenza pacifica a lungo termine di israeliani e palestinesi, rispondendo alle legittime esigenze di sicurezza di Israele, accanto a uno Stato palestinese sovrano, autosufficiente e democratico. In cosa consista questo impegno non è dato saperlo se ancora oggi i firmatari del documento non riconoscono la Palestina e, quindi, il diritto a esistere e resistere del popolo palestinese.
Più volte, nel testo, vengono condannati senza ambiguità gli attacchi su larga scala con missili balistici contro Israele e, sempre senza ambiguità, viene ribadito l’impegno per la sicurezza di Israele. I Ministri della Difesa, l’Unione Europea e la NATO insistono, insomma, su un sostegno che però, se deve esserci, non può prescindere da una condanna esplicita degli atti assolutamente fuori da qualsiasi diritto che Netanyahu e i suoi stanno perpetrando. Altrimenti siamo dinanzi a una difesa tout court che pericolosamente si traduce in giustificazione di qualsivoglia violenza in nome di un genocidio che pare avallarne un altro. Il tabù dell’uomo bianco, lo chiama il giornalista Alberto Negri.
Ma come si possono ignorare le persone bruciate vive nella tendopoli del parcheggio di un ospedale? Nel Sud di Gaza, poi, che era stato indicato come luogo sicuro. Come si possono ignorare le grida di aiuto dei sopravvissuti nella Striscia, in Cisgiordania, in Libano? L’invasione di Stati sovrani, la cacciata e la pretesa di territori non propri?
Come si può accettare l’impegno a identificare soluzioni cooperative per affrontare la crescente necessità delle industrie della difesa di sostenere un elevato ritmo di produzione, lavorare sulla costruzione e il rafforzamento delle stesse e a trovare soluzioni efficaci per garantire la sostenibilità delle operazioni militari e una rigenerazione adeguata delle forze, mentre la parola “pace” non compare quasi mai e, soprattutto, mai in riferimento a una terra che ha visto morire ben 11mila bambini in appena un anno?
Eppure si fa. Eppure, la Dichiarazione Congiunta lo fa, senza ambiguità. Fa il verso ai caccia a bassa quota nel cielo di Napoli e provincia. Una dimostrazione ad altissimo impatto acustico di una voce grossa e roboante che i signori in doppio petto venuti a parlare di armi e guerra non hanno, non dinanzi alle storture ma solo – e soltanto – ai danni della povera gente. Sono i signori della guerra. È il G7 dell’attacco. Il rombo di una dimostrazione che per tanti, nel mondo, è colonna sonora della paura; per altri, il tintinnio del denaro. La fragorosa risata di chi stringe le mani al nazista che Napoli non ha mai accolto e oggi sembra intoccabile. Sembra invincibile.