Se nel regno del cinema abbiamo Dario Argento o David Lynch e nella letteratura Stephen King, nel mondo dell’arte un posto in prima linea spetta certamente a lui: Francis Bacon (Dublino, 1909 – Madrid, 1992), forse uno tra i pittori d’arte contemporanea più inquietanti della storia. Personalità non ascrivibile ad alcun movimento pittorico o scuola di pensiero, ebbe un carismatico e prestigioso ruolo in quello che può essere definito un realismo trasfigurato. Partendo dalla fotografia, Bacon stravolgeva l’opera, attraverso pennellate forti e devianti. I suoi dipinti seppero scioccare, terrorizzare, far discutere, eppure il suo successo commerciale fu decisamente cospicuo e precoce, al contrario di molti eminenti ma bistrattati colleghi.
L’infanzia e la vita, scandita da lutti, vizi e traumi, non furono affatto felici. Di origine irlandese e nobile – si ipotizza che potesse esserci una certa parentela con il filosofo omonimo, italianizzato come Francesco Bacone –, i suoi acuti problemi di asma cronica gli impedirono di frequentare la scuola come il resto dei coetanei. Inoltre, fu presto cacciato di casa da suo padre. Il motivo era la sua dichiarata ed evidente omosessualità, oltre alla passione per l’arte, cosa che la famiglia riteneva inutile e poco fruttuosa, se non una vera e propria decadenza di costumi.
Francis crebbe a Londra, concedendosi a ricchi uomini per tornaconti economici, studiando da autodidatta e intrattenendosi nella cerchia degli omosessuali inglesi. Fondò uno studio di interior design e si dedicò contemporaneamente alla pittura dopo un viaggio a Parigi, dove era rimasto folgorato dalla vista di Picasso, esposto alla Galleria Paul Rosenberg. I suoi esordi, per l’appunto, ripresero soluzioni quasi surrealiste e cubiste. Grazie alle amicizie con svariati collezionisti d’arte moderna, Bacon divenne presto noto e organizzò la sua prima esposizione personale all’età di vent’anni. Ma mentre la fama cresceva, il suo animo si corrodeva ferocemente e la sua arte si deformava, rendendolo, come oggi è ricordato, un pittore disturbante e disturbato, maestro indiscusso della defigurazione. Questo perché nelle sue opere il soggetto perde ogni volta una diversa componente umana, fino a divenire un ammasso di carne informe. Non c’è da stupirsi. Gli orrori della Seconda guerra mondiale minarono di molto la sua psiche, sebbene egli fosse scampato al fronte per via dell’asma.
Non sono pochi gli intellettuali e gli artisti contaminati dagli shock bellici o semplicemente motivati dall’urgenza di una denuncia personale. Basti pensare a Jean Fautrier, esponente dell’arte informale, il cui chiodo fisso erano gli Otages, una serie di dipinti raffiguranti i volti deformi dei cadaveri trascinati via dalle SS naziste. Oppure il compaesano Alberto Burri, il quale, di ritorno dal campo di concentramento, realizzò opere astratte declinate come i Neri, i Catrami, le Muffe, utilizzando addirittura la fiamma ossidrica al fine di lacerare la superficie.
«Siamo potenziali carcasse» diceva Bacon, omosessuale in un’epoca e in una nazione in cui era reato, smarrito nella promiscuità e nei fumi dell’alcool, oberato di debiti a causa del gioco d’azzardo. Neppure l’amore riuscì a confortarlo: ben due dei suoi amanti morirono in tragiche circostanze, entrambi, paradossalmente, la sera prima di due importanti esposizioni dell’artista, alla Tate Gallery di Londra e al Grand Palais di Parigi. Forse tutto questo accumulo di dolore si è riversato nelle sue tele, che forniscono quindi il profilo psicologico di un uomo dilaniato, monco e informe come quei soggetti.
Lo notiamo nel trittico Three Studies for Figures at the Base of a Crucifixion, che nel 1944 ne consacrò la notorietà. Ma l’opera in assoluto che lo ha reso celebre al pubblico di massa è Study after Velázquez’s Portrait of Pope Innocent X (1953). Inclusa nella serie Popes, Bacon trovava così affascinante il capolavoro di Diego Velázquez del 1650 che lo riprodusse circa quarantacinque volte. Qui i colori sono forti e violenti e il Papa si deforma in un grido agghiacciante, il che rende il dipinto uno dei maggiori esempi di pittura horror nella storia dell’arte.
Non è da meno la serie Heads, realizzata dal 1949. Se inizialmente è possibile scorgere la figura umana, anche se deforme (ad esempio in Study for a head o Head III), a poco a poco ogni elemento umanizzante svanisce del tutto, come in Head II, un delirante groviglio di carne e colore, distinguibile solo da una sorta di dentatura. Una furia omicida verso l’immagine umana che Bacon dirottava sulla tela, passando attraverso il proprio subconscio.
L’artista non si preoccupò neppure di sfidare la censura dell’epoca, dipingendo nel 1953 Two figures, in cui è rappresentato un rabbioso rapporto sessuale tra lui e il suo amante Peter Lacy. La chiave di ogni sua opera resta sempre la deformità, ottenuta tramite un’aggressione spietata ai volti e ai corpi, sfigurati, scarnificati, in preda a follia e disperazione. Una brutale autobiografia della sua psiche ormai straziata da una realtà più grande di lui.
Nel 1992, Bacon morì a Madrid per arresto cardiaco, lasciandosi dietro un’eredità immortale di pittore tra i più controversi e deliranti ma anche tra i più quotati, sebbene egli stesso avesse distrutto nel tempo molti suoi dipinti. Nel 2013 il suo trittico Three Studies of Lucian è stato venduto in un’asta a New York per la cifra record di circa 142 milioni di dollari. Un’eternità ottenuta pagando un prezzo decisamente troppo alto.
«La mia arte non è violenta. È la vita che è violenta» – Francis Bacon