Non pensavo che tutto questo sarebbe mai stato possibile, di vederti per l’ultima volta in questa bara bianca… ti hanno portato via da me, spezzando tutti i sogni e i desideri che ti caratterizzavano. Queste le ultime parole che la sorella ha dedicato a Francesco Pio, il diciottenne ucciso a Napoli una settimana fa da un proiettile probabilmente non rivolto a lui, coinvolto in una lite finita tragicamente. Una lite tra adolescenti, in un’età in cui non si dovrebbe neppure avere delle armi, in un’età che dovrebbe essere caratterizzata dalla spensieratezza, in cui non si dovrebbe affrontare nulla con la violenza.
Eppure, a Napoli, si torna a sparare sempre più spesso. E sempre più spesso la violenza esplode tra i giovanissimi. Sarebbe troppo facile però rincorrere la solita retorica delle mele marce, degli episodi isolati, delle notizie sconvolgenti: in realtà ciò che sta accadendo qui, così come in moltissime altre città, è frutto del clima di repressione e abbandono in cui si vive.
Quelle parole pronunciate dalla sorella di Francesco Pio sono forse le uniche sensate proferite in questa settimana in cui chi avrebbe dovuto dire ha per lo più taciuto e non sono invece mancati – prima di tutto da parte delle testate giornalistiche – commenti superficiali. È così partita una corsa a cercare particolari perversi, dal lato della vittima e da quello dell’omicida, come se uno qualsiasi di questi elementi potesse giustificare in qualche modo la morte di un diciottenne. Come se, per non essere ucciso a giusta ragione, si dovessero sprecare infiniti commenti, spiegare che era un bravo ragazzo, che lui no, non la meritava questa fine.
A poche settimane dall’inizio del processo a carico del carabiniere che tre anni fa colpì il quindicenne Ugo Russo con un proiettile provocandone la morte, il Sindaco Gaetano Manfredi torna a proporre le stesse soluzioni a problemi complessi: dichiara che simili episodi di violenza fanno riflettere perché coinvolgono persone così giovani. Eppure non ci sembra facciano riflettere tanto se ciò che promette, nuovamente, sono più controlli serrati sul territorio e dunque repressione. Non ci stupiamo, considerata anche la coerenza con Vincenzo De Luca, dato che queste sono le uniche misure messe in campo dall’inizio del suo mandato.
Napoli, ben oltre l’emergenza pandemica, è stata soggetta a un coprifuoco che ha riguardato le attività del centro storico, in una continua caccia alle streghe contro i giovani e le loro aggregazioni. Se si controlla il territorio, si potrà così attribuire la responsabilità di simili episodi alle famiglie, anche se queste sono lasciate sole dalle istituzioni e, in molti casi, nell’impossibilità di farsi carico dell’educazione dei propri figli.
Una città, e un’intera società allo sbando, se si considera che interlocutori privilegiati delle istituzioni cittadine e nazionali – non c’è alcuna differenza nonostante il dichiarato colore politico – sono coloro che appartengono a classi sociali lontane dal disagio, se nel nome del decoro si svuotano le strade dai poveri e dai marginali. È proprio questo tipo di visione del mondo che rende impossibile a tali rappresentanti cogliere le necessità di città complesse come Napoli, proponendo soluzioni repressive che negli anni si sono sempre rivelate inutili. E ancora di più adesso, in un momento in cui qualsiasi manifestazione di dissenso viene repressa, sfociando spesso anche in episodi di violenza ingiustificati da parte di chi rappresenta lo Stato, e la rabbia tra i giovani si fa ancora più strada, non trovando alcuna accoglienza in strumenti educativi e comunicativi sani.
La nostra classe politica, dunque, normalizza gli episodi di violenza provenienti dalle stesse istituzioni – l’abbiamo vista negare episodi come quelli del carcere di Santa Maria Capua Vetere e più di recente proporre l’abolizione del reato di tortura – ma contemporaneamente propone come unica soluzione alla violenza altrui le sanzioni penali. Lungi da noi sminuire l’utilizzo della pena, soprattutto in casi così tragici che portano alla perdita di vite così giovani, tuttavia, se si vuole evitare che simili episodi si ripetano, si deve tentare una riflessione più ampia, che guardi alle ragioni di determinate manifestazioni di violenza e rabbia tra i giovanissimi. Esse sono spesso frutto di un contesto familiare e sociale che di certo non le giustifica però le spiega, offrendoci così gli strumenti per tentare di superarle.
Preoccuparsi di simili episodi significa preoccuparsi dei giovani che ne sono protagonisti, non solo piangendo le vittime, ma facendosi carico anche di quelli che sono considerati i carnefici, non solo comminando loro una pena e abbandonandoli in un luogo da cui usciranno probabilmente in condizioni peggiori di quelle in cui vi sono entrate, bensì aiutandoli a superare le ragioni che li hanno portati a delinquere. E volendo ancora aspirare a qualcosa di meglio, si dovrebbe forse cercare di intercettare i loro bisogni prima che sfocino in simili tragedie, mettendo in campo gli strumenti educativi di cui sappiamo tanto riempirci la bocca, ma che sembrano vacillare quando servono davvero.
Dunque, caro Manfredi, significa forse questo prendersi cura della propria città? Cura va portata lì dove occorre, e non solo agli elettori che più ci aggradano. Non significa strade sicure attraverso camionette e posti di blocco, bar e attività costrette al coprifuoco, abusi ingiustificati di potere. Una città armata non è mai più sicura, neppure se quelle armi le possiede lo Stato.