Delle due tornate elettorali tenutesi domenica scorsa, a destare minore sorpresa è stata sicuramente quella in Calabria, dove la vittoria del centrodestra era, da tempo, data per scontata. Meno scontato, invece, sembrava il primato di Forza Italia su Lega e Fratelli d’Italia, a differenza di quanto avvenuto altrove. Del tutto deludente, infine, il tasso di astensionismo che, come in altre occasioni, ha certificato il distacco di molti cittadini dalla questione politica.
Anche stavolta, la Calabria ha scelto la discontinuità con il governo regionale precedente, premiando una candidata, Jole Santelli, che non ha nemmeno potuto votare in quanto residente nel Lazio. La campagna elettorale calabrese, inoltre, è stata messa in secondo piano rispetto a quella emiliana nonostante la regione del Sud sia sicuramente tra le più arretrate d’Italia, con la conseguente – e spaventosa – emigrazione dei giovani e lo spopolamento dei piccoli borghi. Per capirne di più abbiamo intervistato Francesco Donnici, giornalista del Corriere della Calabria, che in questi mesi ha viaggiato nella terra dell’Aspromonte intercettandone gli umori locali.
Cominciamo da quello che molti imputano alla Calabria, cioè di aver fatto resuscitare Berlusconi…
«Non è tanto resuscitato, in realtà B. in Calabria non è mai morto: qui la componente della destra sovranista non è molto sentita. Un fattore che fa riflettere, però, è che l’ex Cavaliere abbia ancora presa in molte zone dove c’è una componente legata fortemente a quelle idee e a quel modo di fare politica. Il risultato ottenuto parte proprio da questo sentire che gli ha concesso di portare una fedelissima della sua area».
Come mai la Calabria si è differenziata dal resto d’Italia, dando più voti a Berlusconi che a Salvini?
«Questo discorso è legato al modo in cui funzionano le elezioni in Calabria: intanto, il voto non è disgiunto, quindi, quando voti il candidato presidente della coalizione, devi votare anche uno dei partiti che lo appoggiano. Le liste in Calabria si formano in base alle forze politiche che hanno più consenso e, da questo punto di vista, la Lega poteva essere più appetibile, tuttavia sono confluiti verso il partito di Salvini alcuni che erano in zone della destra non berlusconiana: FI ha mantenuto la sua forte componente storica e, quindi, anche il suo consenso che nasce da dinamiche più vecchie. Il punto è che qui non si fa voto d’opinione, anzi, se dovessimo considerare questo, dovremmo notare che la Lega ha avuto molti più voti degli altri partiti di centrodestra, ad esempio, a Reggio Calabria dove c’è un netto distacco tra i voti presi dalla lista e quelli relativi alle preferenze personali, mentre votare FI è legato alle persone che ne fanno parte. Questo perché spesso in Calabria non si vota il partito ma si vota la persona».
Qual è la tua interpretazione di queste elezioni?
«Secondo me è contro natura vedere un calabrese che vota Lega per le ragioni storiche che hanno ispirato il partito, ma fa riflettere. Se da un lato molti calabresi hanno votato il Carroccio anche se non sono concordi con le politiche di Salvini – non so nemmeno in quanti siano consapevoli che il partito di via Bellerio vorrebbe l’autonomia differenziata, cosa dannosissima per la nostra regione –, dall’altro la Lega di per sé era molto desiderabile e Salvini è visto come una persona carismatica. Nonostante il risultato, però, vorrei dire che non bisogna buttare la spugna: a maggior ragione ora noi calabresi non dobbiamo arrenderci in quest’opera di sensibilizzazione delle coscienze, che magari non ci sarà mai, ma nel dubbio dobbiamo sempre provare a prescindere dal risultato elettorale dove non hanno vinto né la Lega né la Santelli, bensì l’astensionismo».
Il Fatto Quotidiano scrive che in Calabria vince il malaffare e in Emilia l’etica e che la Calabria profonda è stata fedele alle proprie consuetudini (corruzione, familismo, ’ndrangheta) votando, non da oggi, come l’“Onorata società”comanda. È una costante delle elezioni calabresi o si è verificato un cambiamento di tendenza?
«Che ci sia stato un cambiamento è ancora impercettibile. Sicuramente le cose sono diverse dato che la politica è più monitorata e visti gli arresti, ma la svolta epocale certamente non c’è stata. Non credo che ci sia un partito più o meno sostenuto dalla ‘ndrangheta o che questa preferisca un partito anziché l’altro: chiaramente ci sono delle situazioni storiche che fanno pensare che i voti della mafia siano andati a una fazione piuttosto che a un’altra semplicemente perché ci sono determinate persone che magari hanno chiesto voti alle ‘ndrine o potevano contare su pacchetti di voti riconducibili a esse e una volta al potere hanno dovuto restituire il favore. Tutto sommato, non credo che in Calabria abbia vinto il centrodestra perché vincono sempre malaffare e corruzione altrimenti dovremmo dire che nel centrodestra sono tutti cattivi, e non è vero, oppure dovremmo dire che il centrosinistra è l’anti-malaffare e l’anticorruzione, e abbiamo visto che non è vero nemmeno questo. Il centrodestra ha vinto per il malcontento della gente e per la tendenza a creare discontinuità, cosa che però può essere avallata dal malaffare».
Il tuo giornale ha parlato di Giuseppe Raffa e Domenico Tallini: chi sono e perché, secondo te, la classe dirigente calabrese di centrodestra ha candidato due soggetti che la Commissione Parlamentare Antimafia ha ritenuto impresentabili?
«Faccio un passo indietro: la divulgazione dei dati, sulla base delle verifiche fatta dalla Commissione presieduta da Morra, quanto può essere utile per i modi e per i tempi in cui è stata presentata? Perché non è stato fatto prima? Ciò non toglie che in generale i cosiddetti impresentabili vengano candidati perché, talora in assenza di condanne, nel dubbio si preferisce avanzare lo stesso queste candidature. Inoltre, spesso le scelte non dipendono dal curriculum dei candidati ma dal fatto che queste persone possano portate voti, a prescindere da come li portano e i nomi che hai fatto tu hanno un’influenza politica abbastanza forte da queste parti».
La deputata calabrese Enza Bruno Bossio (Partito Democratico) ha sostenuto che in Calabria comanda il PD delle Procure, dunque perde. È la stessa che criticò Gratteri per la maxi-retata di metà dicembre. Ora, la parlamentare è moglie di Nicola Adamo, ex Consigliere Regionale coinvolto dalle inchieste del procuratore reggino. Perché, dunque, ci si ostina ad affidarsi a personaggi simili? Forse i partiti dovrebbero fidarsi un po’ di più di quello che emerge dalle Procure e dai tribunali…
«Il PD delle Procure? Sono opinioni personali e non so cosa volesse intendere con quest’espressione. So, però, che la deputata Bossio ha affermato che voterà insieme a FI a favore dell’emendamento Costa che è contro la riforma Bonafede. Non posso sapere se sia garantismo o altro, fatto sta che in Calabria è fondamentale il lavoro delle Procure. Ognuno può esprimere la propria opinione e argomentarla, ma c’è il rischio che queste dichiarazioni possano distaccare i cittadini dalle istituzioni».
Abbiamo nominato Gratteri: tu che in questi caldi mesi calabresi eri presente sul territorio, che tipo di clima hai percepito nei suoi confronti? In campagna elettorale quest’inchiesta è stata presa in considerazione?
«L’inchiesta Rinascita è stata molto tenuta in considerazione. La percezione è che la società civile si sia schierata fortemente a sostegno delle Procure anche perché è stato dato un colpo forte a uno dei clan più pericolosi della regione toccando anche la politica. Dunque, la gente ha sentito molto l’effetto positivo dell’indagine avvertendo l’esigenza di rimboccarsi le maniche, come un po’ ha fatto anche la politica. Alcuni politici sono stati toccati in prima persona e in questi casi non si deve subito condannare, la politica però deve tenere conto delle inchieste che in realtà hanno influito anche sulla composizione delle liste».
Sappiamo la posizione di vari politici, giornali e associazioni verso Gratteri, ma com’è visto il procuratore nell’immaginario collettivo dei suoi conterranei?
«Gratteri è molto ben voluto e sostenuto, purtroppo non tutti i cittadini sono persone perbene e alcuni si sentono toccati dal suo lavoro o altri ancora non amano il lavoro delle Procure in generale. Basti pensare a chi abitava nel quartiere di Falcone e Borsellino e, infastidito dal rumore delle serene, chiedeva di mandarli a vivere altrove, come a dire di non voler subire le conseguenze dell’impegno altrui. Nel caso di Gratteri, il sostegno è dimostrato da coloro che nel giorno della maxi-retata, anziché chiudersi in casa come spesso succede, sono andati in strada ad applaudire, sono scesi in piazza – come ha fatto Libera il 24 dicembre – o hanno mandato fiori in Procura».
Il dato più grave, dicevamo in apertura, è certamente quello dell’astensionismo: tralasciando i fuorisede che spesso hanno difficoltà a tornare per il voto, perché molti cittadini non si rendono conto dell’opportunità che la scheda elettorale rappresenta, cosa che succede soprattutto nelle zone più “complesse”?
«A tante cose e a un certo stato d’animo: a questa tornata c’era una disperazione che suonava come una resa. In più in Calabria le uniche elezioni sentite sono quelle locali. Tutto dipende da come noi cittadini intendiamo lo Stato e le istituzioni e qui, a livello concettuale, lo Stato è come se non esistesse perché il cittadino medio in ogni caso non si sente rappresentato, dunque spera almeno di ricavarci personalmente qualcosa di positivo. Alle elezioni locali è più facile in quanto ci sono i candidati che vanno a chiedere voti porta a porta e promettono qualcosa. A questo giro c’è stata proprio la sensazione che i cittadini non volessero votare perché tanto non cambia nulla. Naturalmente, c’entrano anche il malgoverno e le dinamiche clientelari ma non sottovalutiamo che a questo cambiamento dovrebbero aspirare i giovani che in Calabria sono pochi e forse si fanno travolgere dal sistema piuttosto che cercare di importare qualcosa per modificare un sistema marcio».
Hai centrato un punto nevralgico: in alcune parti del territorio è come se lo Stato non esistesse. E, si sa, a tale assenza, in genere, sopperiscono le mafie: possiamo dire che non votare favorisce involontariamente questa attitudine e che, quindi, c’è una responsabilità dei cittadini?
«Assolutamente. Il problema è che c’è uno scollamento per cui i cittadini non riescono a percepire la propria responsabilità e si sentono estranei rispetto ai processi istituzionali e amministrativi, dunque in molti non capiscono che il voto non è un favore. A volte, i candidati non vengono votati per le competenze, per il bene che potrebbero portare alla collettività o perché potrebbero far sentire la voce di territori meno rappresentati – si pensi ai luoghi in cui vengono chiusi gli ospedali e i tribunali. Il fatto è che il cittadino si dissocia dall’elettorato e, pensando di doversela vedere da solo per campare alla giornata, si fida di colui che gli promette profitto facile o aiuto per incrementare i guadagni e questo è il processo automatico tramite cui le mafie si sostituiscono allo Stato. Non so se cambierà qualcosa perché sono i singoli individui che dovrebbero maturare la concezione per cui non si può vivere pensando all’utile personale ma si dovrebbe pensare all’utile collettivo. La Calabria è piena di eccellenze e di belle storie, ma queste vengono messe al servizio degli altri o vengono utilizzate solo per il proprio utile? La seconda opzione, purtroppo, rappresenta la sintesi del discorso».
Trovi che la Calabria sia cambiata da un punto di vista culturale in questi anni? Penso, ad esempio, a Riace…
«C’è stata un’evoluzione in positivo anche se sarebbe meglio concentrarsi sul concetto di giustizia sociale, facendo dialogare i territori, partendo ovviamente dall’aspetto culturale. Un fattore pesante è la crisi occupazionale che ha portato via molti giovani e alcuni che sono rimasti sui territori fanno cose spettacolari: cito il centro polifunzionale don Pino Puglisi di Polistena, sito in uno dei più grandi beni confiscati della provincia di Reggio Calabria, dove si svolgono tantissime iniziative riguardanti questi temi e che volgono alla sensibilizzazione dei più giovani e, in generale, di tutta la comunità. La forza motrice, anche dell’innovazione culturale, devono essere i ragazzi e per trattenerli bisogna non solo cambiare lavoro ma anche responsabilizzarli e su questo la mia regione è un po’ indietro. Come ha detto il Presidente Mattarella, chiediamo sempre ai giovani di prendersi le proprie responsabilità ma non li responsabilizziamo, infatti sono pochi i ragazzi calabresi che fanno politica attiva e per questo troviamo sempre le stesse facce. È anche vero che a queste facce piace essere là e ciò inibisce i giovani che temono che, venendo a contatto con loro, possano dimenticare i valori e i principi originari ed essere ispirati da altri sottovalori e sottoprincipi che non hanno fatto il bene della regione. In Calabria non solo non si crea occupazione ma in quei pochi posti di lavoro, tranne qualche eccezione, non si tiene conto del curriculum e i giovani servono solo per mettere il cappello su qualcosa. Ormai le distanze geografiche si sono ridotte ma ci sono elementi che sono insiti nella mentalità e sono difficili da superare».