Una data storica per il cinema, quella del 5 aprile 2021, grazie al decreto firmato dal Ministro della Cultura Dario Franceschini che abolisce ufficialmente la censura cinematografica in Italia. Già la legge n. 220 del 14 novembre 2016 – nota come Legge Franceschini – aveva discusso la questione, al fine di riformare le procedure attualmente previste dall’ordinamento in materia di tutela dei minori nella visione di opere cinematografiche e audiovisive, con l’istituzione di quattro categorie. Finalmente, oggi non sarà più possibile imporre censure riguardo tagli, modifiche o addirittura impedire l’uscita in sala.
La nuova Commissione per la valutazione delle opere cinematografiche – diretta dal Presidente emerito del Consiglio di Stato Alessandro Pajno – prevede quindi quattro differenti categorie di film in uscita, a seconda del target di pubblico a cui sono rivolti: i film adatti a chiunque e quelli vietati ai minori di 18, 14 e 6 anni. Il team sarà composto da quarantanove membri scelti tra studiosi di cinema, critici o autori, esperti in materie giuridiche, avvocati e magistrati, docenti di psicologia, psichiatria o pedagogia, sociologi, educatori, rappresentanti delle associazioni di genitori e per la protezione degli animali. Ogni opera verrà in primis autoclassificata dagli stessi produttori o distributori e la Commissione si occuperà di confermare o, eventualmente, discutere la proposta in un massimo di venti giorni. Una soluzione decisamente più democratica che tutela in maggior misura la libertà di espressione, negli anni ferocemente osteggiata.
Già durante il regime fascista, un film doveva destreggiarsi attraverso una serie innumerevole di rigidi controlli e divieti, fino al dopoguerra e all’avvento del neorealismo, in cui Giulio Andreotti ricoprì inoltre la carica di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo Spettacolo. Tra le varie tipologie di censura, vi era quella preventiva – attuata già sulla sceneggiatura – poi, a film concluso, la cosiddetta Commissione di revisione era incaricata di visionare l’opera prima della distribuzione, eliminando qualsiasi scena risultasse offensiva della morale e del buon costume, secondo il Codice Penale. Infine, pure se il film riusciva ad arrivare sugli schermi, poteva subentrare la magistratura, sequestrando la pellicola incriminata e andando persino a processo.
Una situazione, quella della censura cinematografica italiana, che per anni ha mietuto numerose vittime, molte anche piuttosto celebri. Totò e Carolina, diretto da Mario Monicelli nel 1955, subì numerosi tagli – circa ottantadue – e modifiche a scene e dialoghi già nella sceneggiatura, principalmente con l’accusa di aver ridicolizzato il ruolo degli agenti di polizia. Commentò lo stesso Totò: «Se a un comico tolgono la possibilità di fare la satira che gli resta?». Il film divenne un vero e proprio caso sulla stampa, che si interrogava sui motivi di tanto accanimento. Addirittura, venne obbligatoriamente inserita una dicitura subito dopo i titoli di testa che ribadiva la distinzione tra il ruolo di fantasia che un attore interpreta e le reali mansioni di chi lavora nelle forze di polizia.
Anche Totò che visse due volte (1998), del duo Daniele Ciprì e Franco Maresco, fu dichiarato all’epoca vietato a tutti, poiché considerato degradante per la dignità del popolo siciliano, del mondo italiano e dell’umanità, offensivo del buon costume, con esplicito “disprezzo verso il sentimento religioso” e contenente scene “blasfeme e sacrileghe, intrise di degrado morale”. La pellicola era composta di tre episodi e, nel terzo, Totò interpretava un vecchio Messia affiancato da un gobbo Giuda in giro per luoghi regolati dalla mafia, cosa che provocò chiaramente le ire della Commissione, oltre che dell’ambiente ecclesiastico.
Uno dei casi più noti è senz’altro Ultimo tango a Parigi (1972), di Bernardo Bertolucci, il film dello scandalo per le scene sessuali esplicite. Sequestrato poco dopo la sua uscita per esasperato pansessualismo fine a se stesso, nel 1976 una sentenza della Corte di Cassazione decretò la distruzione di tutte le copie del film. Solo nel 1987 l’opera fu riabilitata, divenendo il classico che oggi tutti conosciamo, nonostante le controversie sul modus operandi di Bertolucci riguardo certe scene.
Forse tra i registi più censurati di sempre, Pier Paolo Pasolini non era certo uno che edulcorava. Il suo Teorema, del 1968, fu sequestrato dalla Procura della Repubblica di Roma per oscenità e per le diverse scene di amplessi carnali, alcune delle quali particolarmente lascive e libidinose, e per i rapporti omosessuali. Pasolini e il produttore Donato Leoni finirono a processo e il Pubblico Ministero Luigi Weis avanzò persino la richiesta di reclusione di sei mesi dei due imputati e la distruzione dell’opera. Alla fine, il Tribunale di Venezia assolse Pasolini e Leoni, annullando il bando del film trattandosi incontestabilmente di un’opera d’arte.
E che dire di Salò o le 120 giornate di Sodoma, altro capolavoro del discusso regista, descritto da quest’ultimo proprio come sfida alla censura. Presentato postumo al Festival cinematografico di Parigi nel 1975, generò un’esplosione di proteste e persecuzioni giudiziarie come poche volte nella storia, protagonista di ben trentuno casi processuali. Il produttore Alberto Grimaldi fu accusato di oscenità e corruzione di minori, mentre la pellicola fu sequestrata e rimessa sugli schermi solo nel 1978. La Commissione era esterrefatta poiché si parlava di immagini così aberranti e ripugnanti di perversione sessuale che offendono sicuramente il buon costume e come tali sopraffanno la tematica ispiratrice del film sull’anarchia di ogni potere.
Tra i prodotti più recenti, un film horror indipendente del 2011, Morituris, diretto da Raffaele Picchio, fu censurato dalla Commissione di revisione che negò il rilascio del nullaosta per motivi di offesa al buon costume e considerato un saggio di perversità e sadismo gratuiti. Si tratta del primo film italiano censurato dopo quattordici anni – cioè dopo Totò che visse due volte – e l’ultimo prima della recente abolizione della censura.
Nell’attesa che le sale cinematografiche riaprano al più presto, possiamo solo accogliere con soddisfazione tale risultato, schierandoci dalla parte dell’artista e dell’opera d’arte.