Flora e fauna (Wojtek Edizioni) è una raccolta di racconti in cui Gilda Manso rielabora generi e forme della letteratura ispano-americana come il fantastico e la microfinzione. Ne pubblichiamo un estratto.
Matrioska
Camilla corre nel bosco; ha i piedi insanguinati e le gambe a pezzi. Ogni mezzo minuto si guarda alle spalle, in cerca del suo inseguitore o, ancora meglio, della sua assenza. Il suo corpo di bambina è anche di cervo e schiva gli alberi con maestria. Ma il suo inseguitore è un cacciatore ed è un animale senz’anima, e forse per questo può correre sempre più velocemente di Camilla. I ventidue grammi che – dicono – pesa l’anima, a Camilla sembrano ventidue tonnellate, un immenso sacco di sabbia sulla testa, una zampa di elefante sul petto. E Camilla si ferma, si appoggia a un tronco e, un secondo prima di essere straziata dalla zampata del suo predatore, la bimba chiude gli occhi (funziona sempre), li apre, e il bosco svanisce, e lei è stesa nel suo letto, intrisa di sudore e di incubi.
La porta della stanza si apre ed entra papà. Deve chiamarlo così sebbene sia solo il fidanzato di mamma. Camilla chiude gli occhi con forza, come nel bosco; poi li apre, ma non cambia nulla. L’uomo, questa volta, è ancora lì.
Rumore di scorpioni
Mi svegliò il camion della spazzatura, e gli uccellacci insonni che starnazzavano fra i rami del tiglio. Pensavo di poter tornare ad addormentarmi, ma per strada, proprio di fianco alla mia finestra, passò la vecchia suonata che vive di fronte, quella che alleva colombi sul cavo della luce, insultando il suo seguito di cani pazienti; forse urinavano troppo lentamente. Mi svegliai quasi senza rimedio, dormicchiando a tratti, dieci minuti al massimo. E all’alba sentii che dall’armadio usciva un suono come di tamburo soffocato. Mi mancava solo questo, riuscii a pensare, sommersa nel limbo del sonno rimandato. Aprii l’armadio e lo spettro che si rifugiava fra le mie grucce mi guardò, con gli occhi ben aperti; neanche lui riusciva a dormire.
«Ti sembra un’ora consona per metterti a bussare?», gli chiesi. Mi disse che era stato svegliato dal rumore degli scorpioni, quelli della sua stessa testa, e così mi impietosii. So cosa si prova.
«Vieni che ti cullo un po’», gli dissi. Mi avvicinai e si accovacciò sul mio seno.
Mi svegliai ore dopo, stordita dallo strepito del sole sul mio letto. Dello spettro nessuna traccia.
I lettori incastrati
Un lettore di Borges gira l’angolo e si scontra con una lettrice di Cortázar. Sente una dolce oppressione al petto e mormora, senza poterla guardare negli occhi:
«È l’amore. Dovrò nascondermi o fuggire»[1].
Lei lo ascolta e lo fissa, insieme confusa e decisa. Con paziente masochismo gli risponde svelando al contempo un desiderio:
«Che ogni cosa crudele sia tu che ritorni»[2].
Ed entrambi restano incastrati nelle proprie rispettive vite, aspettando che arrivi infine uno scrittore estraneo e imparziale a benedirli con un punto interrogativo o con un incoraggiante punto e virgola.
[1] Frammento da El amenazado, poesia di Borges. (Nota dell’Autrice.)