Tra visite a gattili, censimenti dei campi rom e nervosismo dovuto all’indagine per corruzione internazionale che riguarda il suo Savoini, il nostro Ministro dell’Interno sembra essersi stancato di questo governo in cui gli alleati pentastellati paiono trovarsi nello stato tipico delle lucertole quando ricevono mazzate di scopa ma la coda riesce ancora a dare qualche colpo, probabilmente dopo aver capito dalla lezione del 26 maggio che la strategia della sottomissione funziona poco.
Appare essersi incrinato, infatti, l’elemento principale che faceva andare avanti l’intesa tra i due alleati, ossia la fiducia tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che aveva, a dire il vero, sorpreso tutti fin dall’inizio, quando vi era una palese sintonia tra i due, con il primo che faceva di tutto per somigliare al secondo. Ma, si sa, la luna di miele non è eterna e i problemi di coppia si risolvono solo se vi sono lealtà e intenzione di andare avanti da entrambe le parti. Il leader della Lega, però, è circondato da sirene esterne che lo corteggiano e che consigliano al figliol prodigo di tornare a casa.
D’altronde, è stato abbastanza chiaro: si è interrotta la fiducia personale che lo legava a Di Maio, ha fretta, come anche i governatori leghisti del Nord, di chiudere sulle autonomie e vuole che le cosiddette grandi opere vengano completate. Ma soprattutto – e questo è il cavallo di battaglia di ogni rappresentante del centrodestra italiano degli ultimi 25 anni – vuole la riforma della magistratura. Quella stessa magistratura non ancora perdonata per aver affermato che Carola Rackete, ribattezzata zecca comunista dal massimo rappresentante dell’ordine pubblico del nostro Paese, ha agito per adempiere al dovere di salvare i migranti.
Nel frattempo, il Ministro dell’Interno va dicendo da mesi che non pretende nessun rimpasto di governo, nemmeno dopo il trionfo delle Elezioni Europee che ha visto arrivare il suo partito al 34.33% («Usiamo questi consensi non per regolamenti di conti interni», ipse dixit ), pur facendo negli ultimi giorni nomi e cognomi dei membri del Consiglio che non starebbero lavorando in maniera efficiente: Danilo Toninelli, Ministro delle Infrastrutture, ed Elisabetta Trenta, Ministro della Difesa. Parliamoci chiaro: il leader leghista ha compreso che ormai può fare benissimo a meno dei grillini – che, tra l’altro, ha divorato in termini di voti nel giro di un anno – e, soprattutto, che può puntare a Palazzo Chigi, tant’è vero che nei fatti già da tempo si atteggia a Premier (basti pensare all’incontro con le parti sociali, quando ha parlato a nome esclusivamente del suo partito delle idee sulla manovra economica), specificando che non vede nell’attuale Parlamento un’alternativa a questo esecutivo, ergo sarebbe necessario andare a nuove elezioni.
E qui torniamo alle sopracitate sirene: già, perché da una parte ci sono i parlamentari leghisti che non aspettano altro che tornare a votare, dall’altra c’è il resto della coalizione di centrodestra di cui Salvini non si è mai dimenticato, come dimostrano le recenti Regionali a cui il titolare del Viminale si è regolarmente presentato insieme a Silvio Berlusconi e a Giorgia Meloni, la quale pressa da tempo affinché il Vicepremier faccia cadere il governo e si ritorni alle urne. D’altro canto, nonostante il caso Sea-Watch, nonostante l’inchiesta su Savoini, nonostante gli attacchi ai giudici, le ultime rilevazioni di Termometro Politico danno la Lega al 37.9%, Fratelli d’Italia al 6.8% e Forza Italia al 6.2%: è sufficiente avere una calcolatrice alla mano per capire che un’alleanza tra i primi due li condurrebbe al 44.7%, quindi, stando all’attuale legge elettorale, a più di 350 seggi alla Camera e circa 200 seggi al Senato.
Questo dato li porterebbe anche a valutare l’ipotesi di sbarazzarsi di Forza Italia, che non sarebbe necessaria a raggiungere la maggioranza assoluta e che forse risulterebbe un po’ ingombrante, data l’inclinazione di B. a comandare, senza dimenticare che il partito dell’ex Cavaliere agli occhi degli elettori non rappresenta una novità, diversamente dagli altri due della coalizione. Ma ammettiamo che lo spirito di gratitudine e di magnanimità del duo Salvini-Meloni prevalga e che decidano di imbarcare anche Forza Italia, la conseguenza matematica sarebbe il superamento del 50% dei seggi in Parlamento con più di 400 deputati e più di 200 senatori per l’intero centrodestra. Il resto va da sé: un governo Salvini con la post-missina Ministro dell’Interno e, perché no, Berlusconi Ministro della Giustizia.
Ecco che, allora, sarebbe scontata la riforma di cui sopra, dato che tutti e tre si trovano sulla stessa lunghezza d’onda. Magari si realizzerebbe il sogno – o incubo, a seconda dei punti di vista – di separare le carriere dei magistrati, svanirebbe del tutto la speranza di una serie legge sulla tortura (Abolire il reato di tortura che impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro – Giorgia Meloni, tweet cancellato, 12/07/18), forse si attuerebbe il rinomato blocco navale o si potrebbero persino affondare le navi, come auspicato sempre dalla leader di FdI, poi condoni qua e là, certamente maggiore autonomia alle regioni del Nord, chissà, reintroduzione delle gabbie salariali e tanto altro ancora.
Certo, ci sarebbero i limiti previsti dalla Costituzione che sicuramente farebbe da argine. Tuttavia, una presenza schiacciante di questo tipo potrebbe superare i due terzi degli scranni parlamentari e ricordiamo che l’art.138 esclude il referendum popolare qualora la legge di revisione costituzionale sia approvata nella seconda votazione a maggioranza di due terzi dei componenti delle Camere, dunque Lega, FdI e FI avrebbero facoltà di modifica della Costituzione senza passare dal voto degli elettori.
Di fronte a un quadro del genere, forse, ci conviene godere di questi battibecchi quotidiani e delle infinite giravolte al governo. Divertiamoci con le continue smentite reciproche dei Vicepremier, guardiamoli con tenerezza quando parlano di Bibbiano e continuiamo ad aspettare pazientemente che qualcuno riferisca sul Russia Gate. Ricordiamoci: il meglio deve ancora venire.