No alla cultura dello scarto che vorrebbe imporci il pensiero unico, no alla cultura della morte, sì alla difesa della vita umana dal concepimento alla morte naturale. Così si è più volte espressa, anche nel corso della campagna elettorale, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni con riferimento al fine vita e a quella che lei definisce la deriva eutanasica in cui sta piombando il nostro Paese.
Eppure, a discapito di quanto da lei sostenuto, noi notiamo solo una grande arretratezza sul tema, che in Italia rappresenta ancora un enorme tabu, complice anche la forte influenza della Chiesa, dei cui valori – interpretati a proprio favore si intende – la destra si definisce strenua paladina.
Ad appena due persone è stato finora permesso di mettere fine alle proprie sofferenze ricorrendo al suicidio medicalmente assistito, dopo anni di battaglie legali e richieste inascoltate. In entrambi i casi – di cui il secondo ha avuto una risoluzione in senso positivo solo pochi giorni fa con l’individuazione del farmaco da utilizzare da parte della Commissione di esperti – competente a decidere nel merito della richiesta è stata l’ASUR, l’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche, dove a governare è proprio il partito della Meloni. Non a caso, l’ASUR ha portato avanti una forte opposizione, dichiarandosi inizialmente incompetente, in particolare per stabilire le modalità del suicidio assistito. Le resistenze sono state vinte solo in seguito a lunghe controversie legali.
Come ben sappiamo, una simile difficoltà dipende dalla mancanza di una legge in materia, che rimane disciplinata dalla sola sentenza della Corte Costituzionale intervenuta nel 2019, con la competenza sui singoli casi delle aziende sanitarie locali e criteri non specificamente individuati.
In quell’occasione, la Consulta dichiarò l’illegittimità di una parte dell’articolo 580 del Codice Penale, stabilendo che non è punibile chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Inoltre, la Corte invitò il legislatore a provvedere a un’adeguata disciplina sul tema del suicidio assistito, cosa a oggi non ancora avvenuta.
Di recente, un timido disegno di legge ha fatto capolino in Parlamento e su di esso abbiamo già espresso numerose perplessità, dovute essenzialmente al rischio che si creassero ingiuste discriminazioni tra pazienti ugualmente sofferenti e che si costringessero questi ultimi a lunghissime procedure prive di senso. Come sottolineato dall’Associazione Luca Coscioni, infatti, si trattava di una proposta di legge peggiorativa delle condizioni fissate dalla Corte Costituzionale, che escludeva tutti quei malati che non fossero collegati a macchinari di sostegno vitale, oltre a tutti coloro che non avessero più alcuna autonomia fisica e che quindi non potessero somministrarsi il medicinale prescelto, non essendo stato fatto alcun passo in avanti sul tema dell’eutanasia cosiddetta passiva. Ciononostante, per quanto insoddisfacente, neppure questo disegno di legge è riuscito a completare l’iter in Parlamento e ora è stato definitivamente affossato dalla crisi di governo.
Guardando al futuro, le prospettive sul fine vita non sono rosee, se si considera che le idee propugnate da Giorgia Meloni sono condivise da gran parte degli esponenti politici, che anche nei casi in cui non si mostrino apertamente in opposizione rispetto a tale necessaria svolta di civiltà, rimangono comunque indifferenti, il che è altrettanto grave.
Ancora una volta, i partiti in campo si confermano incapaci di rappresentarci e di intercettare le istanze dei cittadini, nonostante si dicano loro strenui paladini: se pensiamo all’interesse manifestato in occasione della raccolta firme per l’indizione del referendum sull’eutanasia legale, è chiaro che si tratta di un tema non solo fortemente sentito ma che merita un’attenzione particolare.
Noi non vediamo alcuna deriva eutanasica né alcuna cultura dello scarto o della morte, ma solo il diritto assolutamente inviolabile a vivere dignitosamente e a morire con altrettanta dignità, circondati dai propri cari, e senza dover fare a meno del supporto dello Stato.
È necessario affermare con determinazione il diritto a decidere della propria vita e del proprio dolore: non c’è nessuno che possa farlo al posto nostro.