Restringere il campo della non punibilità nei casi di malattie psichiatriche: è questo l’intento della proposta di legge prospettata da Fratelli d’Italia, anche se non ancora consegnata né assegnata alla Commissione Giustizia. Il tema era già stato affrontato tempo fa – perché a dire di molti si richiedono troppe perizie psichiatriche e così si sfugge al carcere – ed è tornato alla ribalta dopo la tragica vicenda che ha riguardato la psichiatra di Pisa assalita e uccisa da un suo ex paziente.
In base al vicecapogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Alfredo Antoniozzi, «il ragazzo non è folle. È un antisociale… e se accadrà quello che speriamo, dovrà avere l’ergastolo. Siamo stanchi di psicopatici assassini che poi vanno a intasare le REMS». L’intenzione, dunque, è quella di intervenire sugli articoli 88 e 89 del Codice Penale che riguardano rispettivamente il vizio totale di mente – che esclude l’imputabilità di chi per infermità non era capace di intendere e di volere al momento del fatto – e il vizio parziale di mente – che invece non esclude l’imputabilità ma diminuisce la pena nel caso in cui la capacità di intendere e di volere fosse grandemente scemata a causa della propria infermità.
Queste norme sono state variamente e a lungo interpretate. Tuttavia, a seguito di una storica sentenza della Corte di Cassazione (la n. 9136 del 2005), nel novero degli infermi andrebbero ricompresi non solo coloro che sono affetti da disturbi psicotici, ma anche coloro che sono affetti da disturbi della personalità. Questi ultimi invece, in base alle intenzioni del Governo, verrebbero esclusi perché rei di non essere abbastanza malati.
Si propone, dunque, l’unica soluzione che la destra nostrana sembra conoscere, quella penale, securitaria e segregante. E non ci stupisce se pensiamo alla recente proposta di utilizzare il carcere contro gli attivisti per il clima. Così, senza alcuna base scientifica, si condannerebbero alla reclusione persone che hanno bisogno di altri tipi di interventi e che soprattutto vedrebbero la propria condizione peggiorare in un (non) luogo come il carcere che è di per sé patogeno e che a causa delle sue criticità, come sovraffollamento e angustia degli spazi, mancanza cronica di personale, strutture fatiscenti, è assolutamente incapace di farsi carico di fragilità e patologie psichiatriche.
Come abbiamo già affermato in altre occasioni, negli istituti penitenziari la salute mentale è un vero e proprio tabù: la storia di M. che abbiamo raccontato qualche tempo fa ci confermava che l’approccio è meramente contenitivo. Si somministrano farmaci, mentre la presa in carico da parte di specialisti e psicologi è praticamente inesistente, trattandosi di poco personale che ha in cura troppe persone e per un tempo sufficiente solo a distribuire pillole. Si dà così priorità alle esigenze di ordine e sicurezza, negando di fatto quelle riabilitative e risocializzanti. E se persone che vivono condizioni di disagio psichico grave vengono condannate al carcere, la situazione non può che peggiorare.
Non si nega che in taluni casi – che non rappresentano però la maggioranza – l’infermità è utilizzata come strategia difensiva anche in maniera ingannevole e soprattutto siamo consapevoli che le Residenze per le misure di sicurezza vivono una situazione di gestione critica, ma non può essere questa la soluzione. Il tema è stato di recente anche al centro di una pronuncia della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che non solo ha condannato l’Italia per trattamenti inumani e degradanti, ma ha soprattutto precisato che vanno assolutamente pensati nuovi modelli per la cura della salute mentale e che le REMS non sono l’unico strumento disponibile a tal fine.
Se è vero che esse abbracciano una finalità di cura e riabilitazione, va detto però che si rivolgono a chiunque manifesti una pericolosità sociale tale da non poter essere trattata con strumenti alternativi e soprattutto, non detentivi. Dunque, non si tratta né di svuotare le REMS in cui – come sostenuto da alcuni – i medici sarebbero costretti a occuparsi di malati che non hanno nulla o nulla di grave, a discapito di malati “veri”, né di costruirne di nuove, bensì di dare la giusta rilevanza alla salute mentale, sia per chi si trova in carcere sia per chi commette reati in ragione della propria malattia psichiatrica.
Ragionare in un’ottica meramente repressiva e vendicativa, pensando che condannare al carcere un malato psichiatrico comporti una soddisfazione per la vittima e la sua famiglia, ci rende una società non adeguatamente civile, oltre a rappresentare una proposta che non si fonda su alcuna solida base scientifica. Si promettono investimenti da parte del Ministero della Giustizia per far fronte alla migliore gestione di simili condannati, eppure sappiamo bene in quale unica direzione si muovono gli investimenti provenienti da questo Governo e non solo: sicurezza e repressione, le due parole d’ordine che hanno caratterizzato la campagna elettorale e questi primi mesi di legislatura.
Tra i tanti che hanno dato l’allarme rispetto a una simile proposta, il Garante nazionale per le persone private della libertà personale Mauro Palma, che ha parlato di una battuta d’arresto, un terribile passo indietro che non possiamo permettere. Il disagio psichico, al di là dell’imputabilità o meno, va trattato innanzitutto con la predisposizione di strumenti preventivi, di presa in carico, di cura in collaborazione con i servizi territoriali, con serietà e da professionisti, oltre che in luoghi adeguati: il carcere non può essere una soluzione.