Fate presto. A chiedervelo, stavolta, sono le donne. Prima che sia troppo tardi, prima che non si possa più tornare indietro, prima che non ve ne siano a sufficienza per gridare a gran voce. Non importa quanti anni abbiano, da dove vengano, quale sia il loro rango sociale, tantomeno ha valore il loro aspetto fisico: le donne sono in pericolo e noi, tutti, dobbiamo intervenire.
I numeri, d’altra parte, parlano chiaro: le vittime preferite di una società che non sa rinunciare alla violenza, perché su di essa concepita e costruita, sono le nostre mamme, le nostre sorelle, le nostre fidanzate, sono le nostre vicine di casa. Subiscono abusi, fisici e verbali, psicologici, subiscono offese e minacce, ricatti, la forza delle mani e il peso delle parole. Sono le più odiate di Italia, al primo posto di quella piramide dell’odio che lo scorso anno la Commissione Parlamentare Jo Cox – dal nome dell’europarlamentare laburista uccisa a Leeds nel 2016 – aveva denunciato nella presentazione del proprio rapporto riguardante i fenomeni di intolleranza, xenofobia e razzismo nel Bel Paese. Un primato per nulla invidiabile dal quale era emerso un dato già fin troppo chiaro.
Basta sfogliare un giornale, navigare sul web o, più semplicemente, passeggiare per le strade di una qualsiasi città dello Stivale: sguardi, frasi, sentenze non mancano mai. Eppure, meno di un italiano su due riconosce che le donne sono oggetto di discriminazione, nonostante oggi se ne parli più di ieri, nonostante sia stato necessario dare vita a movimenti e, addirittura, coniare un nuovo termine che, come un raccoglitore ad anelli, potesse schedare le vittime in base al sesso, in questo caso femminile. Dietro molte delle finestre dinanzi alle quali passiamo indifferenti, sono innumerevoli i momenti di abuso che si consumano mentre le tende sono ancora aperte o anche dopo, quando tutti fingono di dormire per non ammettere di aver sentito. Violenza fisica, certo, ma ancor prima e, talvolta ancor più impetuosa, psicologica, al fine di un annullamento totale dell’altra. Del sesso debole, si leggeva nella relazione, si ha la convinzione di poter fare ciò che si vuole. Soprattutto, aggiungiamo noi, adesso che la molestia si è fatta prassi comune.
Dalla tv alla politica, dal giornalismo al più ampio mondo del lavoro, infatti, si è imbarbarito nuovamente il linguaggio, sdoganato nella sua più totale brutalità, così animalesco e primordiale da apparire, a troppi, goliardico, persino normale. E, invece, è soltanto l’intolleranza che si palesa, la convinzione che una donna sia per natura sottomessa all’uomo. Alpha, ovviamente.
Le manifestazioni di odio nei confronti delle donne si esprimono nella forma del disprezzo, della degradazione e spersonalizzazione, per lo più con connotati sessuali, proseguiva lo studio della Commissione Parlamentare. Siano sufficienti i social per una prova di quanto affermato. Anche in questo caso, infatti, come per i migranti o per gli omosessuali, costituiscono le piazze principali in cui l’astio ha libero sfogo, con una predilezione nei confronti di giovani ragazze o signore adulte, a cui solo tra l’agosto del 2015 e il febbraio del 2016 è stato indirizzato più del 60% di tweet negativi. E non per forza scritti da uomini. Il sessismo, ahinoi, è stato accettato persino dalle stesse vittime che talvolta si fanno carnefici o sottovalutano la gravità di episodi che le trovano coinvolte. Commenti volgari, esternazioni senza censura alcuna, “battute” e offese non si contano nemmeno. Preoccupante il consenso silenzioso di una società che ormai non sa più scandalizzarsi quando dovrebbe. Ancor più allarmanti la capacità anche solo di pensarle certe cose e la voglia di emularle. Proprio come succede ogni giorno quando un tale – di certo, non un uomo – crede di avere il diritto di augurare uno stupro, spesso, molto spesso, a una donna che pensa con la propria testa e non ha timore di nasconderlo. Forse minacciato da un intelletto superiore, forte di una rete che per questi individui si fa scudo, il tale si crogiola nella sua finta virilità e tira fuori il peggio di sé, scoraggiando la malcapitata che, minacciata, si ritira nel suo silenzio, si spaventa, raramente trova il coraggio di esporsi di nuovo e reagire. Sola nel disgusto di un maschilismo imperante.
Tanto triste quanto poco rumoroso sui rotocalchi nazionali, d’altronde, è piuttosto recente l’ennesimo episodio di questo genere. Al centro, ovviamente, una donna. Per fortuna, una di quelle che non hanno avuto paura ma la lucidità di replica. Alessandra Clemente, infatti, l’Assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Napoli è stata la destinataria di un commento violento e misogino, condito di epiteti irripetibili, sul suo profilo Facebook. Anche in questo caso, il maschio Alpha (nome e cognome sono già reperibili online) ha ritenuto di provocare e intimorire apostrofando l’Assessore in modo volgare con l’augurio di soccombere alla brutalità di un suo simile. Alessandra, però, ha pensato bene di non tacere, riproponendo lo scritto senza oscurare nulla, mettendoci la faccia, facendosi portatrice di un nuovo messaggio: «Le critiche le ho sempre trovate un momento di crescita anche quando dure e urlate. Ma gli attacchi di fascisti, razzisti, sessisti e omofobi li respingo al mittente con fierezza. Nessun dialogo con loro. Ma tanta forza ed entusiasmo». Un messaggio importante il suo, un incoraggiamento a tutte colore che quotidianamente soccombono, senza l’opportunità di far sentire la propria voce.
In un momento storico delicato come quello che stiamo vivendo e in un Paese che ha pensato bene di eliminare, almeno per i prossimi cinque anni, il Ministero delle Pari Opportunità – certo, fino a ora garante di ben poche parità –, il coraggio della Clemente è un monito alla società, un punto esclamativo deciso: le donne non vogliono più avere paura. Affinché questo sia realmente possibile, però, è necessario non solo che queste si uniscano e collaborino, ma che a loro si affianchino anche tutti gli uomini che in quei commenti non si riconoscono, disgustati da tanto astio e decisi a combattere ogni ingiustizia riguardi le altre. È importante fare presto, però, perché il passo dalle parole agli atti, talvolta, non è così lungo.