Chi c’era in strada, a Roma, quando il corteo no vax ha fatto irruzione nella sede della CGIL? Nel fine settimana, la Capitale è stata messa a soqquadro da un nutrito corteo di contestatori fascisti che protestavano contro le misure governative relative al green pass che entreranno in vigore il prossimo 15 ottobre. A partire da venerdì, la certificazione rilasciata in seguito ad attestato di doppia vaccinazione, guarigione da Covid-19 o esito negativo di tampone naso-faringeo sarà obbligatoria per qualsiasi categoria di lavoratori.
L’impeto di Piazza del Popolo, gremitasi di gruppi manifestanti provenienti da diverse regioni italiane (come già avvenuto a Trieste qualche settimana prima), nel giro di poche ore è sfuggito di mano alle forze dell’ordine ed è mutato nella violenta rappresaglia mossa ai danni della sede della CGIL. Un affare piuttosto noioso per la politica di casa nostra che si è dimostrata, al contempo, impreparata e lasciva di fronte alla nutrita componente dei neofascisti che soffiava sul fuoco dei dimostranti.
Appuntamento nel cuore di Roma, dove poco meno di diecimila persone sventolavano le immancabili bandiere tricolore e gridavano il proprio concetto di libertà. Come detto, a protestare contro il provvedimento emanato da Mario Draghi vi era una decisa componente no vax, tutt’altro che ascrivibile esclusivamente allo squadrismo che, da lì a breve, avrebbe lasciato il corteo e si sarebbe diretto verso il presidio del sindacato. Nuovi volti vengono segnalati dai giornalisti e da alcuni manifestanti presenti sul luogo del contendere, contrari alle restrizioni imposte dal governo: si tratta di uomini e donne disposti a lasciarsi attrarre dalla propaganda populista fino a prendere parti agli scontri. Perché?
Circoscrivere la questione andata in scena sabato scorso a una rappresaglia di tipo fascista è pericoloso quasi quanto la violenza stessa, anzi, rischia di alimentarla. C’è da precisare: nessuno sconto va offerto al cordone distaccatosi da Piazza dal Popolo capitanato da Roberto Fiore e Giuliano Castellino, che oltre ad aver fatto irruzione alla CGIL ha tenuto in scacco Palazzo Chigi e altre strade di Roma. Anzi, la prova di forza messa in campo dai leader di uno dei partiti nostalgici del Ventennio dovrebbe spingere le forze politiche a muoversi, finalmente, nella direzione di sciogliere definitivamente questi raggruppamenti contro Costituzione. Tuttavia – come dicevamo – a lasciarsi ammaliare dalla risolutezza dei neofascisti sono tante, troppe persone che nel governo non vedono un organo capace di intercettarne istanze e malumori. E liquidarle con il solito atteggiamento respingente è sbagliato.
Per anni, le forze di centrosinistra si sono limitate a stigmatizzare l’elettorato leghista con l’epiteto dell’ignoranza, quasi a dichiarare la propria missione lontana dai dogmi della sinistra stessa, una forza politica rappresentante delle fasce più disagiate, più povere, i lavoratori, gli operai, i braccianti. Così facendo, al contrario, ha espresso consenso soltanto nei riguardi di Confindustria e dell’élite. La situazione attuale non è molto dissimile.
Essere intransigenti va bene nella misura di sciogliere le organizzazioni neofasciste, poi c’è assolutamente da mettersi nella condizione di eliminare le ambiguità che hanno generato i malcontenti che, dallo scoppio della pandemia, tornano a manifestarsi. Innanzitutto – lo ripetiamo – introdurre l’obbligo vaccinale sarebbe una misura molto più coerente che disporre della finta libertà di scelta garantita dal green pass. Così facendo, scongiurato ogni rischio di equivocità, andrebbe, dunque, aperto un tavolo di confronto con le classi sociali, con i lavoratori, come la politica non fa più da tempo.
A sostegno dei fascisti – come già accadde un anno fa a Roma, a Torino e a Napoli al ripristinarsi delle prime restrizioni in regime di zona arancione o rossa – c’è una parte di popolazione decisa a non cedere più alle decisioni univoche del governo. Si tratta di commercianti, di operai, e a questi la politica deve offrire delle soluzioni, pur non cedendo di un millimetro sulle proteste violente e non arretrando sulla campagna di vaccinazione, ma garantendo il diritto al lavoro e l’equità sociale che la pandemia ha messo ancora più in crisi.
Tra i manifestanti arrestati ieri, come la scorsa settimana a Milano, sono risultati volti ignoti alle forze dell’ordine, nomi lontani dalle logiche squadriste che oggi riempiono le prime pagine dei giornali. Tra questi ci sono – certo! – nuove leve della rappresaglia fascista e delle frange del tifo organizzato, e dunque soggetti meritevoli dell’attenzione delle autorità, ma appaiono anche tanti esasperati da una situazione politica che da due anni decide e offre poche risposte o garanzie. Perché non ascoltarli prima che il loro malcontento rischi di generare nuova forza lavoro per le componenti della destra estrema, come accaduto?
Come la storia insegna, la prontezza dell’ultra-destra, il suo pensare poco e agire di nervi, sa fare breccia nell’animo degli scontenti, e ciò è un rischio che la tenuta democratica del Paese non può e non deve permettersi. La crescita esponenziale di partiti come Fratelli d’Italia, l’affermazione dei frugali in Europa, fino a queste piazze via via sempre più gremite e violente, sono elementi da non sottovalutare e da combattere con le idee del confronto e la chiarezza delle informazioni.
Solo così si potrà distinguere davvero la rappresaglia dei neofascisti dagli scioperi che devono mantenere il loro sacrosanto diritto a esistere. Perché bollare le manifestazioni esclusivamente con l’onta del fascismo per sedare, domani, qualsiasi protesta che verrà anche dalle classi sociali, non solo non dev’essere ammesso, ma rischia di convincere altri che quella della ritrovata adunanza nera sia l’unica strada per combattere la legge dettata dagli interessi del mercato globale.