Bamboccioni, fannulloni, mantenuti, figli di papà: siamo così, felicemente mammoni, viziati e senza alcuna voglia di lavorare. La politica e l’informazione, d’altra parte, ce lo ripetono spesso: noi giovani italiani siamo dei falliti senza futuro.
A ribadirlo, in attesa di Brunetta, impegnato a scegliere la poltrona in queste confuse settimane parlamentari e orfano di quel Poletti che molte ne aveva suggerite, ci ha pensato anche l’Eurostat, l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea, che ha reso noto un suo recente report sull’attitudine alla mobilità dei ragazzi disoccupati tra i 20 e i 34 anni residenti nel Vecchio Continente.
Secondo i dati ufficializzati, circa il 50% degli europei senza impiego – compresi nella fascia d’età di cui sopra – non sarebbe disposto a fare le valigie, risultando riluttante al trasferimento nonostante un presente instabile e un futuro ancora più incerto. Nello specifico, però, a superare la media continentale penserebbero i giovani del Bel Paese, con il 60% di essi per nulla intenzionato a lasciare le strade familiari. I più statici, tuttavia, non sarebbero loro, battuti in quanto a immobilismo da maltesi (73%), olandesi (69%), ciprioti (68%), rumeni 63%) e danesi (62%).
Diversa, invece, la situazione per ciò che concerne la minore difficoltà nella mobilità con variazioni in base alla destinazione finale. Tra i confini nazionali, infatti, i più propensi al trasferimento risulterebbero i rumeni e i tedeschi (37%), seguiti da irlandesi e cechi (35%), mentre sereni di immaginarsi in un Paese diverso da quello di origine sarebbero estoni, croati (26%) e slovacchi (25%). Oltre l’UE, invece, si spingerebbero più volentieri gli svedesi (34%), gli spagnoli, i finlandesi (28%) e i francesi (27%). Eccezionale, infine, la situazione bulgara con la quota dei disoccupati pronti a partire (23%) che quasi raddoppia la cifra di chi sceglie di restare.
Dati, quelli emersi, che ovviamente si basano su sondaggi che non rispondono alla realtà delle cose risultante piuttosto variabile se si guarda a chi si è trasferito sul serio. In questo caso, infatti, l’Italia, ad esempio, si rivela il Paese con la percentuale maggiore di giovani lavoratori che non si sono mai spostati per cercare un impiego pari al 98% – e saremmo curiosi di conoscere le condizioni in cui questi occupati ricoprono il loro ruolo attuale – contro una media europea del 60%, il cui primato spetta all’Irlanda.
Che abbiano un lavoro o meno, dunque, gli under 35 del Bel Paese pare non siano disposti a fare i bagagli. Assicurarsi un domani, avere un’entrata economica fissa, costruirsi una famiglia, secondo l’Eurostat e non solo, quindi, non sarebbe una priorità. Eppure, i numeri su cui vogliamo concentrarci noi sono altri, meno strumentalizzabili e, forse, più vicini al nostro precario vivere quotidiano. Lo stesso Ufficio Statistico dell’Unione Europea, infatti, appena ieri ha diramato un nuovo studio sul tema della disoccupazione giovanile italiana secondo cui in un solo mese, tra gennaio e febbraio dell’anno in corso, gli inoccupati residenti nello Stivale sarebbero aumentati dello 0.3%, con la percentuale che è passata dal 32.5% al 32.8%. I disoccupati tra coloro che hanno meno di 25 anni, dunque, si concretizzerebbero in 507mila, con duemila unità in più in appena trenta giorni. Se a livello nazionale, infatti, la situazione è leggermente migliorata, con un’oscillazione che va dall’11.1% al 10.9%, per i più piccoli le cose non cambiano, bensì peggiorano a causa di scelte scellerate di chi riforma il lavoro senza pensarlo mai a loro vantaggio. A fare peggio, nel continente, sempre in termini di ragazzi, solo i governi di Grecia (oltre il 40%) e Spagna (35.5%). Seguono l’Italia la Croazia (25%) e la Francia (21.4%).
Sono anni che, con frequenza più o meno alterna, noi giovani di questo Paese in rovina ci sentiamo accusare per la nostra presunta nullafacenza. Sono anni, però, che nonostante con altre statistiche vogliano affermare il contrario, ci ripetono pure che Londra – stando ai dati del 2016 – risulta la “quinta città d’Italia”, dopo Roma, Milano, Napoli e Torino, con almeno 250mila dei nostri connazionali che vi risiedono. Sebbene a domanda rispondano di non voler partire, infatti, pare che gli italiani mettano comunque vestiti, ricordi, affetti e speranze in una borsa e vadano in cerca di fortuna altrove. I flussi migratori verso l’estero – ve lo abbiamo già raccontato lo scorso agosto, dopo le prime anticipazioni del Dossier Statistico Immigrazione 2017 di IDOS, in collaborazione con il Centro Studi Confronti – sono tornati quasi ai livelli del dopoguerra, a conferma che i nostri, nonostante non vi sia un conflitto in atto, sono sempre più specializzati e costretti ad andare via, accompagnati dal solo ronzio dei motori di un altro aereo e da tanto amaro in bocca. Lasciare lo Stivale è inutile negarlo, non è quasi mai un atto volontario, non più. Spesso appare l’unica soluzione per sopravvivere, per sperare in un domani che abbia a cuore la propria dignità. Sentirsi appagati nel grigio Regno Unito piuttosto che nella stacanovista Germania non è voltare le spalle a uno Stato che se ne infischia o rinnegare le proprie origini, bensì è darsi un’opportunità, è scegliere di scegliersi.
Basta numeri, sondaggi e appellativi offensivi, dunque. Non ne possiamo più di sentirci denigrati ogni giorno. Siamo stanchi di essere umiliati e di sentirci inutili perché il Paese in cui nasciamo non ci mette nelle condizioni di lavorare o di farlo secondo legge. Siamo stanchi di essere sfruttati, di fare esperienza se poi quell’esperienza non serve mai, siamo stufi di dover ringraziare il cielo per il rimborso spese, quando ci è concesso. Non vogliamo più aspettare le vacanze di Natale per salutare gli amici di sempre, non possiamo più accogliere le rughe di mamma e papà in videochiamata su Skype. Chiediamo rispetto, pretendiamo una scelta. Prima di raccogliere nuovi dati, altrimenti, cambiate la domanda. Non chiedeteci se siamo propensi a trasferirci, ma se ci sono possibilità concrete di restare. Non scrivete che il 60% dei giovani disoccupati italiani non è disposto a cercare un lavoro, aiutateci a trovarlo. Se, invece, non vi piacciono le nostre risposte, cambiate direttamente interlocutore. Del resto, siamo abituati a vivere nell’ombra.