Elezioni e G7, poltrone nere e taranta. Potrebbe dirsi morta nelle prime due settimane di giugno questa Europa che va ridefinendosi priva di colori. Una bandiera di stelle senza luce, ogni punta a formare le dita di una mano che saluta fuorilegge. Potrebbe dirsi morta se non lo fosse già, non più agonizzante, non più sbiadita, non più insicura, sepolta com’è dal suo passato colonizzatore, dal suo presente democratico, dal suo futuro guerrafondaio.
È l’Europa dell’Erasmus e della leva obbligatoria, dei pacchi liberi e della polizia di confine, dei popolari senza popolo e dei populisti con troppe pecore. È l’Europa delle missioni di pace, del Medio Oriente deturpato e delle armi all’Ucraina, delle sanzioni alla Russia e dei finanziamenti di Israele. È l’Europa che non sogna più Londra e di Berlino che si scorda del Muro, che si accorda con il dittatore e subappalta disumanità. È la Memoria senza Storia, il Mediterraneo a occultarne i cadaveri. Niente di più, niente di nuovo, se solo i molti campanelli fossero serviti da allarme.
Se n’è parlato tanto nelle ultime settimane, non abbastanza e forse persino male, come se un improvviso rigurgito fascista stesse disturbando la lenta digestione di un’Unione che sembra banchettare sulle nostre spalle, sul nostro sudore, sulle nostre speranze. Ma non è un rigurgito e non è improvviso, è la portata principale servita al momento giusto, quando il popolo ha fame e il gas ad alimentare il forno delle brioches se lo possono permettere in pochi. Quei pochi che siedono già al tavolo. Siedono e ridono, siedono e mangiano, siedono e ballano. Intanto, il mondo, quello che hanno promesso, non esiste più.
E, così, l’Europa si è spinta sempre più a destra, stavolta squarciando il velo di Maya che ancora offuscava la vista di molti, quelli che hanno creduto ai moderati che li svendevano ai liberali, poi ai liberticidi. Ma non siamo preoccupati. Perché?
Soltanto poche settimane fa, nelle stesse ore in cui l’Italia – che per questa Europa è esempio – dava il primo via libera al premierato, mentre si concretizzava il progetto di autonomia differenziata, al largo della costa ionica calabra la guardia costiera recuperava i corpi di sei persone. Almeno cinquanta risultavano disperse. Altre dodici venivano portate in salvo. Erano partite da Iran, Siria, Iraq pochi giorni prima, quando in Puglia i grandi della Terra bevevano il vino di Bruno Vespa e indirizzavano il futuro: armi, armi e ancora armi. Eppure, quelle persone erano partite per motivi simili, per tutte quelle volte in cui l’Unione ha fatto la forza e ha rovesciato i dittatori, rinforzato i successori, obbedito allo zio Sam. Erano partite – anche – per colpa dell’Europa, ma l’Europa di loro non si chiedeva, i grandi della Terra nemmeno. Di loro, non si chiede mai nessuno. Pure se tutti ne parlano.
E, così, i giorni passano con il fiato sospeso, a guardare alla Francia dove mai si pensava che potessero tornare in auge i fascisti, anzi no, la destra estrema. Ché se la si chiama così sembra meno cattiva. Tuttavia, è questo che rappresentano Marine Le Pen – ancora, sempre, lei – e Jordan Bardella, il giovane che le farà le scarpe. Chiamateli patrioti, camerati, nostalgici: non cambia molto, non cambia niente. Stavolta non è finta sinistra, è destra vera. Rassemblement National è il partito con più seggi in Europa.
Si guarda poi alla Germania, dove mai si pensava che AfD potesse ottenere così tante preferenze, il secondo partito tedesco più votato a Strasburgo. I nazisti nel Paese di Hitler: se è uno scherzo, svegliateci subito. Se non lo è, svegliamoci ancora prima.
E non parliamo dell’Austria, dell’Ungheria, della Polonia, di quei luoghi già patria di soprusi e sopraffazioni, di diritti negati alle donne come allo straniero, a tutti coloro che rappresentano un’immagine diversa da quella storicamente propinata a supporto di un’ideologia che vede nell’ordine e nella disciplina le sue parole chiave. E non parliamo di noi, dell’Italia nuovo laboratorio d’Europa, dove con la scusa del sovranismo ci siamo dimenticati del senso dello Stato, dell’unità nazionale, della Costituzione antifascista. Dove ridiamo, ci sbellichiamo e ridiamo ancora, eppure ci vuole coraggio a ridere senza pane e senza denti.
Non basta eleggere Cecilia Strada o Mimmo Lucano – ben vengano –, non basta fare la conta e aspettare il prossimo naufragio, la prossima boiata patriota, i porti chiusi per propaganda, ma aperti per caporalato. Non basta più guardare, guardare e continuare a guardare che cosa succederà. Succede quello che è successo, succede che l’Europa si estremizza e noi con lei. Succede che arrivano i Le Pen che sostengono gli antisemiti; i nazisti che si impongono in Germania; i fascisti che inneggiano al Duce alla luce del sole, che i Vannacci… fanno i Vannacci. Succede che si compromette il presente e si annienta il futuro, si distrugge il sogno di chi all’Europa ha creduto e per l’Europa ha lottato. Non questa, di certo. Non quella che muore in mare, che muore in guerra, che muore nel furgone di un corriere. L’Europa che muore e noi con lei.
È un momento cruciale quello che stiamo vivendo, quello nel quale le destre radicali godono di un importante sostegno popolare che non riesce più a specchiarsi nella sinistra che sin troppo bene ha imparato a fare la destra. È il momento della muta, l’Europa che cambia pelle ma rimane tristemente se stessa: un continente colonizzatore, fintamente democratico, fortemente guerrafondaio.
È quello che abbiamo voluto, quello a cui stiamo contribuendo, quello che ancora non ci spaventa ma finirà con il farlo. E non nelle forme che crediamo, non nei volti dai quali fuggiamo, non nelle modalità del tempo che fu, ma del mancato coraggio delle proprie idee, di chi sa che è meglio una cravatta di una camicia nera, un video su TikTok di un discorso al balcone, un ventottenne della banlieue di un generale in divisa.
Finirà come il mondo predetto da Zafón, non distrutto da una bomba atomica, come dicono i giornali, ma da una risata, da un eccesso di banalità che trasformerà la realtà in una barzelletta di pessimo gusto. E non ce ne accorgeremo. Non ce ne siamo accorti.