Voglio provare a descrivervi una sensazione ed è quella di imbattervi in un corpo ustionato. Il senso più colpito è l’olfatto. L’odore della carne, viva, bruciata entra nelle narici e penetra in profondità. È un tipo di odore inconfondibile, accompagnato, di solito, da grida di dolore o da profondo silenzio dovuto alle ingenti quantità di sedo-analgesia che si somministrano a un paziente gravemente ustionato. Che cosa succede senza la disponibilità di questi farmaci? Succede che il dolore è talmente forte da implorare la morte o, se l’ustione interessa tutti gli strati della cute, l’unica “fortuna” può essere nell’avere le terminazioni nervose distrutte. Non sentire più niente.
Provate a chiudere gli occhi e a immaginarvi in un campo minato con i rumori e gli odori di bombe e sangue. La morte non sembra, forse, più dolce paragonata allo strazio delle ferite su corpi dilaniati? Gli ustionati più gravi muoiono per collasso o per infezioni e nell’assistere una persona con ferite del genere il dolore ti trapassa corpo e anima. Penso a ferite da esplosione, fratture, lacerazioni, lesioni cerebrali; a tutto quello a cui i civili, coinvolti nelle guerre, vanno incontro. Lo sapete che, oggi, sono in corso ben 59 conflitti nel mondo?
Penso al personale sanitario impegnato in guerra che, quotidianamente, lavora con scarsi mezzi. Provo molta angoscia nell’immaginare tutto il dolore non lenito. Nella maggior parte dei casi, è il dolore di minori innocenti.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni giorno nella Striscia di Gaza vengono uccisi o feriti in media 420 bambini. Più di 4mila sono morti e si ritiene che più di 1500 siano sepolti sotto le macerie. Sempre l’OMS chiede la fine delle ostilità e il rispetto della neutralità delle strutture, dei mezzi e del personale sanitario, nonché di tutelare i civili. La stessa FNOMCeO (Federazione Nazionale Ordine Medici Chirurghi e Odontoiatri) esprime preoccupazione per le condizioni dei professionisti sanitari che lavorano nella Striscia di Gaza nell’assistere i malati lì presenti.
Dopotutto, chi sceglie di intraprendere una professione di aiuto è ben conscio di cosa comporti la sensazione di impotenza nel vedere la sofferenza e non poterla placare. Per chi sceglie di contrastare il dolore è contro natura vedere un bambino che, soffrendo, espia delle colpe non proprie. Come vi sentireste, da operatori sanitari, se vi dicessero di abbandonare i vostri pazienti dipendenti da macchinari salvavita?
Penso che sia nostro compito, così come la prevenzione delle malattie croniche o la diffusione dell’educazione sanitaria, combattere la perdita di vite umane dovute ai conflitti. Questo nei riguardi di tutte le guerre che devono essere ripudiate come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali. Dopotutto, se la nostra etica è quella di scegliere una professione di aiuto, come potremmo, moralmente, accettare il conflitto armato? Guerra non è sovrapponibile a salute.
Diviene quindi un dovere di tutti gli operatori della sanità agire per la prevenzione dei conflitti armati. Garantire e lottare per la pace non significa essere distaccati dalla realtà ma effettuare una grande opera di tutela della salute pubblica, prevenendo perdite umane.
Voglio citare le parole di Pirous Fateh-Moghadam, illustre epidemiologo perché non ne ho trovate di migliori:
L’ulteriore escalation del conflitto israelo-palestinese avvenuta dopo gli attacchi terroristici di Hamas il 7 ottobre rendono ancora più urgente il netto posizionamento del settore biomedico a favore della pace.
Gli attacchi terroristici, l’uccisione di civili e la presa di ostaggi da parte dei fondamentalisti islamici di Hamas sono da condannare con assoluta fermezza e senza bisogno di analisi politiche o di contesto preliminari. Nulla può giustificare la violazione del diritto internazionale umanitario, neppure la trasgressione di questi principi da parte del proprio avversario. Gli attacchi devono fermarsi, gli ostaggi devono essere liberati e sarebbe auspicabile che pratiche democratiche di gestione del potere venissero riavviate.
Va fermato l’intervento militare israeliano nella Striscia di Gaza dove va ristabilito il diritto internazionale e sollevato il blocco. L’intervento militare israeliano si configura come crudele punizione collettiva inflitta all’intera popolazione palestinese e non può essere compreso nel diritto di Israele a difendersi.
Avvitare ulteriormente la spirale della violenza non può essere la strada per garantire sicurezza, pace e diritti, né per i palestinesi né per gli israeliani. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle del 2001 gli USA hanno dato avvio alla “guerra contro il terrorismo”, invadendo e occupando l’Afghanistan per 20 anni. Il risultato di questa strategia è sotto gli occhi di tutti.
Penso che l’unica opzione a disposizione, per chi svolge una professione sanitaria, sia quella di schierarsi opponendosi alle guerre, prevenire i conflitti e promuovere la pace. Svolgo una professione di aiuto e qualsiasi guerra si scontra profondamente con la “mission” della mia scelta etica.