Galleggia a pelo d’acqua una moltitudine di corpi esanimi sospinti a valle dalla corrente di un fiume. Tra questi ce n’è uno riconoscibile. La telecamera lo cerca. È lo stesso corpo di quell’uomo che portava la croce pesante sulle spalle. È quello di Aldo Moro in mezzo a molti altri. In questa seconda parte del suo Esterno Notte, uscita nelle sale il 9 giugno, Bellocchio riprende la storia da dove l’aveva interrotta, indagando la vicenda di nuovi e importanti personaggi che ebbero un ruolo cruciale nel rapimento Moro. Drammatico e maestoso racconta di chi siamo stati, di chi siamo e risponde a tante domande riguardanti il nostro sistema politico e il suo funzionamento.
L’ambientazione di questa seconda parte non varia, è sempre la Roma violenta degli anni Settanta a fare da sfondo alle vicende narrate. Però, non sono più i palazzi del potere i luoghi nei quali il film è girato, bensì tre appartamenti. Uno è quello della brigatista Adriana Faranda, ai vertici del nucleo romano delle BR; l’altro è quello di Eleonora Moro, moglie del presidente della DC; l’ultimo, invece, è quello in cui si consumò l’omicidio di Moro stesso. Le vicende di queste due donne agli opposti permettono allo spettatore di comprendere a pieno lo stato della faccenda che ha da un lato le BR, le loro contraddizioni, e il loro tentativo di ottenere un riconoscimento politico attraverso un atto violento e, dall’altro, la freddezza delle bugie degli uomini della DC raccontate alla famiglia di Moro. La storia riparte da questi punti di vista femminili, raccontandole trattative e i tanti tentativi fatti, su più fronti, perché il salvataggio effettivamente avvenisse.
Adriana Faranda, madre di una bambina e fidanzata di Valerio Morucci, membro di spicco delle BR, è una donna lucida e convinta delle ragioni per le quali rischia la vita. Crede realmente nella possibilità di una rivoluzione proletaria all’interno dei confini italiani e ci crede a tal punto da uccidere, da allontanare da sé sua figlia. È una donna razionale, tanto da disapprovare, opponendosi alla linea seguita dal suo stesso gruppo BR, la condanna a morte del presidente Moro.
All’opposto, nel secondo episodio, ossia il quinto totale, in scena vi è Eleonora Moro, moglie dell’uomo rapito a via Fani. Donna cristiana e ben consapevole di come funzioni la macchina della società, ci viene presentata mentre si lamenta con il prete delle poche attenzioni concessele dal marito, ma dopo il rapimento è talmente forte da essere in grado di redarguire per la sua ignavia l’allora presidente della Repubblica, Leone, o da accusare di ingratitudine il segretario della DC, Zaccagnini. Bellocchio ci racconta di come abbia provato, con il sostegno dei figli, a fare qualcosa e di come lei abbia atteso che qualcosa venisse fatto. Senza risultati.
L’ultimo episodio è quello nel quale l’attenzione torna su Aldo Moro. Gli ultimi eventi di quel momento storico ci sono mostrati in un insieme di immagini di repertorio e ricostruzioni sceniche che portano lo spettatore a maturare rabbia per come questa vicenda drammatica sia finita. Infine, viene fuori la consapevolezza della necessità della classe politica del tempo di avere un “martire”. Cosa c’è di folle nel non voler morire?, queste alcune delle ultime parole di Moro scritte da Bellocchio.
È evidente che Bellocchio condanni l’azione delle BR. Per quanto cerchi di nascondersi dietro la trasposizione accurata dei fatti e personaggi per come sono stati, in più momenti è chiara la sua volontà di sottolineare la vacuità e l’immoralità dell’azione brigatista. Addirittura, arriva a far dire a Morucci, uno dei killer più sanguinari delle BR, che da parte sua non c’era mai stata la consapevolezza di credere nell’effettiva possibilità di una rivoluzione proletaria e che quella vita era solamente come la vita di uno dei protagonisti di Mucchio selvaggio, il film nel quale gli eroi già sanno che prima o poi moriranno. Morucci in più afferma che la vera radice dell’ideale BR stava nella necessità di trasgressione e nella volontà di vivere al limite. In queste frasi viene fuori il giudizio di Bellocchio che pare trovare i brigatisti come soggetti ipocriti, colmi di una retorica fasulla e nei fatti sconclusionata.
Il regista, nel montaggio, riprende anche alcune immagini di manifestazioni del PCI a Roma contro l’operato delle Brigate Rosse. I brigatisti sono ragazzi illusi che rincorrono la propria voglia borghese di far parte di qualcosa di più grande, operando per se stessi in nome di un’intera classe di individui, e facendolo soprattutto con la violenza e con le modalità dei terroristi.
La regia di Bellocchio è attenta e colma di primi piani. Le emozioni dovrebbero essere il motore di questo film, ma l’intensità delle prime tre puntate la si ritrova solamente in parte nell’ultimo “episodio”. Qui il regista in poco tempo riesce a comunicare al pubblico la grandezza di Moro e la sua natura di effettivo rivoluzionario cristiano. È lui che si rifiuta di morire, che vorrebbe scegliere ancora e ancora la vita, la sua famiglia sopra ogni cosa. Questo è il gesto rivoluzionario al di sopra dei rivoluzionari, che erge Aldo Moro sul piedistallo dei martiri, ucciso dall’ignavia e dall’ideologia ottusa.
C’è una citazione cinematografica e onirica verso la fine. È una citazione alla bellezza della settima arte e all’infinità di possibilità che questa offre. Bellocchio per qualche minuto si distanzia dalla cruda realtà di prigionia generale che racconta e, come in C’era una volta a Hollywood di Tarantino, pone lo spettatore dinanzi al brivido di quello che non è successo. Aldo Moro che si alza dal portabagagli di quella Renault in Via Caitani e che con il personale medico entra in ambulanza, salvo. Vivo. Un sogno del povero Cossiga, la rivincita del regista, lo sfogo di quella che pare la sua rabbia.
Questa pellicola ha senza dubbio un valore monumentale per il modo in cui la storia italiana viene raccontata. Poche persone la conoscono nel dettaglio, se non quelli che hanno vissuto quei momenti, visto quei telegiornali, assistito ai funerali. A scuola questi periodi storici non vengono studiati, eppure lo dovrebbero essere. Il maestro Bellocchio ci ricorda quanto è importante conoscere per conoscerci, con una pellicola che rimarrà nel tempo e che magari un giorno verrà studiata in classe.
Contributo a cura di Ignazio Cimino