Stefano Bonaccini, candidato alla presidenza dell’Emilia-Romagna in forza al PD, si è riconfermato alla guida della regione rossa, scansando l’ombra di Matteo Salvini e della Lega. Si è imposto, il Governatore uscente, con oltre il 51% delle preferenze, staccando la rivale di verde vestita Lucia Borgonzoni di quasi 8 punti, ben oltre ogni più rosea previsione.
Fallito, dunque, l’attacco al potere dell’ex Ministro dell’Interno, convinto di giocarsi la partita emiliana con la squadra giusta a offendere e portare a casa il massimo risultato, non solo l’ufficio principale di Viale Aldo Moro a Bologna, ma anche Palazzo Chigi, con la testa di Giuseppe Conte da offrire alla folla assetata che ne ha benedetto ogni passo di una campagna elettorale – va detto! – stoica, fisica, baciando mani e salami, invocando famiglie tradizionali da riguadagnare e forme di parmigiano da elevare sull’altare dei valori fondanti della società firmata Lega.
Nulla, però, del suo teatrino – a tratti squallido – è bastato, né la felpa di Simoncelli sfoggiata a Coriano, né il citofono del ragazzo tunisino bollato come spacciatore fatto squillare a favore di telecamera, tantomeno aver tirato in ballo i bambini della cittadina più strumentalizzata d’Italia, Bibbiano. Ha perso ovunque, Salvini, in Emilia-Romagna, ha perso lì dove ha focalizzato il suo apostolato, dal quartiere Pilastro, al Comune amministrato da Andrea Carletti. Giù le mani dai bambini!: stavolta le mamme e i papà di quei ragazzini sfruttati dalla dialettica sovranista si sono riappropriati del celebre slogan e lo hanno indirizzato a chi di dovere.
«È il secondo errore di Matteo Salvini», ha commentato, oggi, un entusiasta Romano Prodi, figlio dell’Emilia-Romagna rossa e principale rappresentante della politica della regione. «Ora il centrosinistra trovi le idee giuste per rinnovarsi». Comunque la si pensi nei riguardi del professore una volta leader dell’Ulivo, non si può non riconoscergli un’innata capacità di analisi di qualunque situazione politica.
La vittoria del PD, infatti, per quanto straordinaria per numeri e partecipazione, non è figlia soltanto dell’indiscutibile azione governativa di Bonaccini – forse il miglior Governatore d’Italia –, ma anche di altre due componenti che dalla sede di Roma farebbero bene a non sottovalutare. Nicola Zingaretti, poche ore dopo la certificazione della vittoria in Emilia-Romagna, ha tirato un sospiro di sollievo, conscio di aver rinsaldato la sua posizione fino a sabato tutt’altro che stabile.
Impossibile non rendere merito all’onda delle sardine. L’incredibile partecipazione popolare incoraggiata dai ragazzi di Bologna capitanati da Mattia Santori, infatti, ha spinto chiunque non si fosse già arreso all’avanzata di un nuovo periodo nazionalista a far fronte comune, un muro contro le politiche dell’odio, delle frontiere da alzare contro nemici che nemici non sono mai stati, anime inermi, anzi, vittime della follia espansionista che è propria dell’Occidente. L’Emilia-Romagna democratica, che ama la democrazia, che canta Bella Ciao alzando la voce alla strofa …ho trovato l’invasor, ha difeso le proprie città dall’utilizzo fatto da Salvini e Meloni, invitando i leader sovranisti a tornare d’estate, costumi e mojito alla mano, dove – forse – si sentono più di casa, tra i lidi di Milano Marittima.
A questo va aggiunta la confluenza nelle cassaforti del centrosinistra dei voti dei delusi – a ben donde – del MoVimento 5 Stelle, ormai ridotto a brandelli da incompetenza, inconcludenza e leader incapaci di tener fede alle roboanti promesse sbandierate qua e là assieme a qualche vaffa ben assestato. La mancanza di identità, di coesione, di coerenza nella lotta alle logiche della vecchia politica hanno presto scavato la fossa a un gruppo di accalorati spentisi al primo vento freddo spirato dalla Padania leghista. L’elettorato grillino è tornato a guardare al bipolarismo, alla tradizione, alla concretezza al netto dei suoi difetti, e si è dipinto il volto di squame, nuotando verso lo spirito ittico che, a oggi, sembra essere l’unica garanzia della libertà e, al contempo, spauracchio di chi intende minarla.
Non dunque una vittoria soltanto di Stefano Bonaccini e del PD, in realtà impalpabile nella comunicazione quanto nella risposta offerta all’offensiva violenta e costante del suo antagonista, ma una coincidenza di fattori che, però – com’è stato anni fa, dando il via alla scalata del MoVimento 5 Stelle nella città di Parma –, torneranno a chiedere conto di quanto offerto al Governatore pronto a concedere il bis. Perché la logica del meno peggio, del voto a una pseudo sinistra per difendersi dalla minaccia di una vera destra – la storia lo insegna – dura il tempo di uno stimolo da destare.
Il voto in Emilia-Romagna salva, sì, lo scranno dell’ex e neo Presidente, ma anche la tenuta dell’intero governo del Paese, modificandone, inevitabilmente, le gerarchie. Dopo essersi lasciati sbranare dalla bestia leghista, i pentastellati, da oggi, dovranno guardare al PD consci di dovergli lo scettro. A conti fatti, ciò che la tornata elettorale di domenica 26 gennaio potrebbe sancire – ma non siamo così fiduciosi – è la scomparsa dell’antipolitica come condotta per fare politica, il dissiparsi dell’ignavia (né l’uno, né l’altro) a discapito di idee e ideali. E ciò è bene che funga da insegnamento e da sprone anche per i pesciolini sfuggiti all’inscatolamento… e ai #gattini.