In questi giorni tanto surreali, per alcuni sembra sempre più complicato fidarsi delle autorità. Diventa invece fin troppo facile cedere a malsane tentazioni, come quella di cercare spasmodicamente un colpevole della diffusione del coronavirus. Ma, mentre la pandemia incalza, le norme di contenimento si inaspriscono e resistere diventa ogni giorno più difficile, cosa alimenta davvero la nostra paura al punto da spingerci a comportamenti irrazionali?
Sin dall’inizio dell’emergenza, la popolazione italiana si divide in animata da comportamenti responsabili, scelte difficili, sacrifici personali per il bene comune da un lato e gravi atti di incoscienza dall’altro. Che si tratti di sfidare la paura del virus, di mettere in discussione le decisioni delle autorità o di individuare un maligno colpevole dietro la pandemia, un’apparente irrazionalità smuove le menti e le azioni irresponsabili di alcuni. Eppure, dietro l’insensatezza si cela sempre la paura.
Nei giorni scorsi, anche prima che i provvedimenti ufficiali ci vietassero di uscire se non per seri motivi, molti personaggi di rilievo hanno lanciato l’hashtag #iorestoacasa, un’esortazione a non contribuire alla diffusione della malattia tramite le proprie scelte personali. Ma, parallelamente, è nato un movimento pericolosamente contrario, che ha invitato le persone a popolare le strade, a non farsi imprigionare, a non cascarci. Chi è andato per locali, chi ha fatto l’aperitivo, chi ha affollato i mercati, era davvero animato da profonda incoscienza o si trattava solo di paura nascosta dietro una maschera di finto coraggio? Probabilmente, rinunciare a tutto, fare dei sacrifici e chiudersi in casa è stato un modo doloroso di avere paura, di aspettare che il morbo ci raggiungesse, mentre dimostrarsi impavidi si è rivelata un’ottima strategia per convincere se stessi di non avere nulla da temere.
In più, è dall’inizio della diffusione del virus che si cerca una fonte del contagio, consapevole, il più autorevole possibile e con interessi economici. Prima, quando solo la Cina era in ginocchio, era una mossa per arrestare la sua scalata sulle alte cime del mercato globale; ora che anche l’Italia vive il terrore, invece, abbondano le teorie su elezioni da truccare, loschi tentativi di abbassare l’età media nazionale e, ovviamente, spietata ricerca di guadagni da parte delle case farmaceutiche che venderanno il vaccino. E se le teorie del complotto sorgono sempre puntuali immediatamente dopo un problema di ordine globale, un motivo deve esserci, e probabilmente ha a che fare proprio con la gestione della paura.
Psicologicamente, con il termine paura si definisce la sensazione di pericolo nei confronti di qualcosa che non si può controllare. La mancanza di controllo caratterizza e pervade il mondo in cui ci troviamo a vivere, un mondo in cui tutte le dotazioni tecnologiche e tutte le conoscenze scientifiche non bastano per gestire l’ignoto e l’indomabilità della natura. Assegnare all’incontrollabile delle cause umane, delle cause gestibili, in qualche modo rassicura. Sapere che un gruppo di uomini, di simili, può creare un cataclisma significa che altrettanti esseri umani possono porvi fine. Mentre se le cause sono esterne, che si tratti di persone diverse ed estranee alla comunità, o che si abbia a che fare con l’irrefrenabile forza della natura, l’individuo inizia a sentirsi troppo piccolo, in balia di forze a cui non potrebbe in alcun modo opporsi.
Così, il cittadino italiano, in questi giorni, non ha fatto altro che orientare le sue paure. Non ha paura del coronavirus, non lo teme, ha più paura di restare chiuso in casa, e allora meglio eludere le misure preventive promosse dal governo. Non ha paura del contagio, quello non spaventa, ma se Conte annuncia misure severe ecco la corsa ai supermercati notturni – e non importa se l’assembramento di persone contribuisce alla diffusione del virus. Ma in fondo, le reazioni dell’uomo contemporaneo, mediamente istruito e abbondantemente informato, non sono poi tanto diverse da quelle dell’uomo seicentesco vittima della peste manzoniana. Quella che Manzoni descriveva prima che la peste arrivasse al suo picco, infatti, era una maniacale convinzione della presenza di maligni untori che avevano l’obiettivo di infettare la popolazione. E la certezza della massa era così radicata da condurre alla condanna di uomini innocenti, una condanna che lo stesso autore definiva infame ma irrefrenabile, dato il bisogno delle persone di identificare una causa, un mandante in qualche modo controllabile, condannabile.
L’avventatezza e i comportamenti irrazionali, addirittura incoscienti, dunque, non sono sempre il risultato dell’ignoranza o di un pessimo giudizio. A volte, semplicemente, è la paura a generarli, una paura fondata che si traduce in terrore irrazionale o, addirittura, fobia. L’assalto ai supermercati dei giorni scorsi, d’altronde, non è stato altro che l’espressione di un’isteria di massa espressa, invece che con l’auto-reclusione, con la paura delle misure prese proprio per impedire il contagio. Con la convinzione che un periodo di crisi diventi più catastrofico del previsto.
Le decisioni razionali hanno fatto più paura del virus stesso e i provvedimenti, per quanto ragionevolmente severi, hanno scatenato il timore di restare senza scorte di cibo, di restare chiusi in casa senza poter fare la spesa, preoccupazioni del tutto irrazionali. Insomma, le misure di sicurezza hanno spaventato più che tranquillizzato e al vero pericolo, invece, è stato riservato un atteggiamento di sfida, di impavido eroismo. Ma, anche se tutte queste reazioni sono in qualche modo comprensibili, è fondamentale imparare a difendersi dalla paura e a gestire la nostra irrazionalità, per avere speranze di superare i momenti più bui che ci stanno investendo.