Da un lato dell’arena, Elon Musk. Bellissimo, imponente, il principe di Marte entra nel Colosseo a torso nudo. Il suo corpo marmoreo scolpito dall’Ozempic brilla al sole, bianco come una mozzarella sotto steroidi. Dall’altro lato, Mark Zuckerberg. Vestito interamente da gladiatore, le sue orbite da rettiliano scrutano rapidamente ogni passo dell’avversario. Suona un corno e lo scontro più epico della modernità ha inizio.
Un anno fa, avrei apprezzato molto questo incipit. Ottimo lavoro, Noemi: un altro dei tuoi raccontini satirici è andato in porto. Ma come ti è venuta questa idea dei due tecnocrati che si prendono a mazzate nel Colosseo? Fortissima (sì, spesso mi faccio i complimenti da sola). Purtroppo, devo spiegare alla me del passato che no, questo non è un nostro raccontino. È un evento che stava per accadere davvero.
Elon Musk e Mark Zuckerberg si volevano menare. Sappiamo i retroscena: i due magnati della Silicon Valley si sono stuzzicati e punzecchiati per un po’, e poi si sono lanciati dei guanti di sfida sui rispettivi social. Sì, hanno dichiarato di volersi prendere a botte in mondovisione. E la location “epica” dello scontro doveva essere in Italia.
La diceria era stata confermata dal Ministro della Cultura Sangiuliano: un pezzo del nostro patrimonio storico e culturale era stato di fatto messo a completa disposizione dei due tecnocrati. Il Ministro aveva parlato di una rievocazione storica a tema gladiatori nell’antica Roma – che sciccheria, eh? – in un’arena degna di questo nome: chissà se il Colosseo o Pompei.
Purtroppo, non scopriremo mai la location scelta. E non vedremo neanche i due tecnocrati con i muscoli oliati e i gladi in mano. Musk e Zuckerberg hanno fatto marcia indietro, e lo scontro non si farà (almeno in Italia). Questo teatrino demenziale ha però almeno avuto il merito di svelare un nuovo fenomeno.
E no, non parlo del concetto di evento culturale di Sangiuliano né della prostituzione mediatica e memetica di un pezzo della nostra storia. Tutto questo non è assolutamente nuovo: è dagli anni Novanta che la grammatica dell’intrattenimento ha riscritto l’approccio dell’Italia alla politica e alla cultura.
Sotto il berlusconismo, tutto ciò che era noioso e serio è stato riconfezionato in un pacchetto leggero, sbrilluccicante e glamour. L’abbiamo chiamata in passato politica pop: se l’acchiappi hai vinto. Veline, comparsate in programmi spazzatura, culi in mostra sui cartelloni-pubblicità del Salento: ben venga il grottesco, il volgare e il kitsch se porta visibilità.
Il seme del trash italiano, piantato dal Cavaliere, è stato coltivato con cura dalla successiva classe politica: più di tutti, dalla nostra attuale Premier, perfettamente in grado di usare remix satirici e meme di Meloni-Chan a suo vantaggio. Il mondo social di oggi vive di trash, proprio come una casalinga degli anni Novanta, e i meme/sfottò non fanno altro che aumentare la visibilità di un certo personaggio pubblico.
Perché non pensate mai che farsi riprendere in contesti grotteschi e imbarazzanti mini la credibilità dei potenti. Così come le barzellette inappropriate di Berlusconi allora e i meme di Meloni-Barbie adesso non hanno fatto che aumentare la popolarità dei due politici, così sarebbe anche per il combattimento tra Musk e Zuckerberg.
Se il match dei due tecnocrati ci sarà davvero (almeno negli USA), verrà riprodotto su ogni piattaforma social, clonato, modificato, memato e renderà i due – se possibile – ancora più ricchi e popolari. La gente ama essere intrattenut, e ama chi la intrattiene. E il trash, cari lettori, intrattiene sempre. Perciò, l’Italia sarebbe sato il paese più coerente per lo “scontro epico”: a questo giochetto ci eravamo arrivati già decenni fa.
Ma facciamo un passo indietro. Perché, un tempo, i nerd non facevano parte di questi meccanismi. Negli anni Novanta, quando in Italia i membri di Forza Italia uscivano su Cioè mentre brindavano con allegri spumantini, Boldi e De Sica erano all’apice della loro carriera e ad Arcore si pippava cocaina dai fondoschiena di modelle brasiliane, l’ambiente del mondo del tech era ben più sobrio.
Garage pieni di cavi e chip, occhialetti tondi, polo a righe e acconciature fuorimoda: era questo l’immaginario della Silicon Valley. Prendete una foto qualsiasi di Bill Gates nei Novanta, l’icona di ogni smanettone: non era niente di più che un ragazzo secco e sorridente con qualche brufolo, occhiali troppo grandi e la camicia a righine.
La mascolinità degli allora geni del software era sommessa, raziocinante, totalmente opposta ai muscoli e all’arroganza dei bellocci palestrati. Era impossibile immaginare Steve Jobs e Bill Gates vestiti da ninja che si battono nella Città Proibita: non sembravano usciti da un film di Tarantino, ma da una canzone di Max Pezzali.
L’aria alla The Big Bang Theory – polo a righe, capelli radi, fisico mingherlino – era propria anche dei nostri due gladiatori: se un Andrew Tate qualsiasi avesse incontrato Elon Musk e Mark Zuckerberg a diciott’anni, gli avrebbe consigliato (ridendo) una lampada e una escort. Ma cos’è successo poi? Come siamo arrivati ai muscoli oleati, i match di box e le orge?
Sì, perché in Silicon Valley ci sono anche le orge. Altro che incel e nerd sfigati: almeno una volta al mese, gli innovatori del tech si incontrano in una villa a San Francisco o a Hillsborough, o perfino su uno yacht in partenza per Malibu e Ibiza, e danno il via a dei baccanali che farebbero impallidire anche Silvio Berlusconi.
È tutto vero: un reportage di Vanity Fair si è addentrato, tramite testimonianze e interviste, nei sex party che la créme de la créme dell’imprenditoria tech organizza nel centro globale per l’alta tecnologia, l’innovazione, il capitale di rischio e i social media. Com’è possibile che le carte in tavola siano cambiate così tanto? Semplice: grazie ai soldi (e al potere).
Gli invitati ai festini sono importanti investitori, famosi imprenditori e top executives. Alcuni di loro sono titani della Valley, con profitti che a Wall Street e a Hollywood se li sognano. Le imprenditrici che decidono di non partecipare ai baccanali vengono immediatamente penalizzate ed escluse da business innovativi e sperimentali. Perciò, sono portate a partecipare: chi sovverte le regole della società viene visto come audace, progressivo e di mentalità aperta, quindi in grado di distruggere e ricreare anche le regole della tecnologia.
Ma non c’è modo per vincere: una volta entrate nel giro dei festini, le imprenditrici perdono di credibilità. È una delle basi della misoginia, la favoletta della chiave che apre tutte le serrature e della serratura che viene aperta da ogni chiave: la libertà sessuale delle donne non avrà mai lo stesso carattere positivo di quella degli uomini.
E lo stesso vale per la libertà sessuale queer, perché attenzione: gli uomini, ai festini, sono soltanto eterosessuali. Gli atteggiamenti saffici sono ben accetti finché stuzzicano la fantasia dei maschi presenti, ma uomini che amoreggiano con altri uomini? Non sia mai. Alla faccia dell’apertura mentale.
In sostanza, nascosto sotto una patina di innovazione, eccentricità e ribellione, c’è il solito vecchio machismo tossico. Il tutto è forse più autoironico, memetico e smaliziato, ammicca ai social e al trash, ma è sempre la solita dimostrazione di potere da parte di branchi di maschi rampanti che cercano di essere gli alpha (o i sigma) della situazione. Dimostrare di avere il controllo delle donne e delle risorse è importante per i tecnocrati: hanno bisogno di liberarsi del loro passato da beta.
Già, perché il comune denominatore di molti imprenditori tech è un’adolescenza solitaria e priva del contatto col genere femminile. In Brotopia: Breaking Up the Boys’ Club of Silicon Valley, Emily Chang descrive una demografica di ex incel che finalmente dopo anni di isolamento e mancanze affettive stanno vivendo il loro sogno. E non intendono fermarsi: i più non si lanciano in relazioni serie perché, dopo tutta quella deprivazione sessuale, sentono di dover ancora recuperare.
Arrivati in vetta, i suddetti tecnocrati decidono di non sovvertire i meccanismi di cui sono stati vittime. Nonostante il bullismo, l’ostracismo e le umiliazioni subite da adolescenti, una volta ottenuti soldi e potere, i techbro hanno ricreato un ambiente in cui, per essere qualcuno, devi avere un sacco di donne e tanti soldi. E non guastano neanche dei bei capelli e dei bei muscoli: tanto, per quelli ci sono il testosterone, i trapianti e le siringhe di Ozempic.
Un po’ come i Ken di Barbie (2023), i nerd hanno di colpo scoperto il patriarcato e gli è piaciuto. Tremate, donne: hanno preso il controllo del pianeta e ce l’hanno con voi. Sì, voi che alle medie li avete presi in giro, scherniti ed evitati: da oggi sarete corpi da recuperare, foto nelle chat aziendali, escort, frigide, pedine, ma non colleghe di pari dignità.
E il bello è che tutto questo baraccone non serve a conquistare e impressionare le donne, ma gli altri uomini. Altrimenti, perché fare sesso solo in una stanza piena di investitori e competitor brillanti del proprio settore? E perché rifiutare ogni tipo di connessione emotiva con l’altro genere a priori, dopo un’adolescenza di totale solitudine? O collezionare in galleria tutte le foto delle donne conquistate e mostrarle continuamente ai colleghi?
Il machismo è una performance di uomini, per uomini. E sarebbe stato giusto che finisse in bellezza, con un bel combattimento tra multimiliardari vestiti da gladiatori. Sono gli uomini che non vedono l’ora di vedere la scazzottata di Musk e Zuckerberg in mondovisione. Sono gli uomini che vogliono acclamare un vincitore. Ed è degli uomini che i due tecnocrati cercano disperatamente l’approvazione.